29 Agosto 1973
Come faremo, Fratelli e Figli carissimi, come faremo a risolvere i problemi, a superare le difficoltà, che il programma, a sé proposto dalla Chiesa per l'Anno Santo, solleva e mette nelle loro enormi dimensioni?
Perché, ripetiamolo, l'Anno Santo, che si avvicina e che già svolge il suo sforzo operante nelle Chiese locali, vuole avere questo carattere di generale riconciliazione e di sincero rinnovamento di vita cristiana, al quale l'eredità del recente Concilio ci impegna, e di cui abbiamo ormai più volte parlato.
Vogliamo imprimere a questo avvenimento, o meglio a questo movimento dell'Anno Santo, un aspetto di serietà e di efficacia; abbiamo già più volte accennato alle grosse difficoltà, che incontra questo nostro proposito, condiviso, noi speriamo, dalla Chiesa cattolica intera; e mano mano che ci appressiamo alla realtà morale, sociologica e storica del nostro tempo, nel quale dobbiamo dar prova della validità dei nostri intenti, l'attualità ci scopre nuovi problemi e nuovi ostacoli; cioè esige da noi una sapiente penetrazione delle presenti condizioni religiose e morali, e un « preventivo » più generoso, e più fondato sulla fiducia nella divina assistenza.
Come faremo, ad esempio, a superare la difficoltà della divisione, della disgregazione, che, purtroppo, s'incontra ora in non pochi ceti della Chiesa?
Non è, per verità, che la Chiesa sia dichiaratamente divisa in se stessa; anzi quelli stessi che le infliggono il disagio, e talora lo strazio interiore di dissensi e di arbitrii inconciliabili, affermano più che mai di voler essere nella Chiesa, o meglio di voler essere « Chiesa », tanto è imperioso il bisogno, risultante dalla vocazione cristiana, dell'unità organica e visibile del Corpo mistico.
Non mai s'è tanto parlato di comunione quanto ora e sovente proprio da quelli che promuovono forme associative che sono il contrario della vera comunione; cercano cioè la distinzione, la separazione dall'autentica società dei fratelli, dall'univoca famiglia ecclesiale.
Dopo d'aver forse cercato di screditare l'aspetto canonico, cioè giuridico, istituzionale della Chiesa, si vorrebbe da costoro legalizzare, con ogni pretesa tolleranza, la propria appartenenza ufficiale alla Chiesa, abolendo ogni ipotesi di scisma, o di autoscomunica.
Cioè la divisione, di cui oggi soffre la Chiesa cattolica, non è tanto nella sua compagine strutturale, quanto piuttosto è negli animi, è nelle idee, è nel contegno di molti, che ancora, e spesso con ostinata convinzione di superiorità, si dichiarano cattolici, ma a modo loro, con libera e soggettiva emancipazione di pensieri e di atteggiamenti, ed insieme con fiera ambizione d'intangibile autenticità.
Oh! voi conoscete certamente i fenomeni, alcuni almeno, di questa situazione, e voi potete comprendere quanto essi ci riempiano il cuore di amoroso dolore.
La ricomposizione dell'unità, spirituale e reale, all'interno stesso della Chiesa, è oggi uno dei più gravi e dei più urgenti problemi della Chiesa.
Non vogliamo turbare i vostri animi con paurosi fantasmi, ma piuttosto vogliamo invitare ciascuno di voi a rimontare, in occasione dell'Anno Santo, nella Chiesa il senso effettivo della sua costituzionale unità, l'amore e il sacrificio per la sua pace interiore, il gusto e la passione della sua sincera armonia di fede e di carità.
Come ci consente il carattere elementare di questo discorso, noi riduciamo a due punti, che crediamo principali, la diagnosi negativa di questo deplorevole stato di cose.
Il primo punto riguarda lo spirito di contestazione, che oggi è diventato di moda, e che tutti quelli che nel campo ecclesiale pretendono ad essere moderni, popolari e personali, si arrogano spesso con irresponsabile disinvoltura.
Per sé, la contestazione vorrebbe rivolgersi a individuare e a correggere difetti meritevoli di riprensione, e perciò mirare ad una conversione, ad una riforma, ad un aumento di buona volontà; e noi non esorcizzeremo una positiva contestazione, se essa tale rimane.
Ma, ahimé!, la contestazione è diventata una forma di autolesionismo, troppo spesso privo di sapienza e di amore; è diventata un vezzo facile, che vela lo sguardo sui propri difetti e lo apre invece su quelli altrui; essa abitua ad un giudizio, spesso temerario, sui falli della Chiesa, e indulge, fino alla simpatia e alla connivenza, a quelli degli avversari della Chiesa, dei negatori del nome di Dio, dei sovvertitori dell'ordine sociale; essa si schiera radicalmente per le riforme più audaci e pericolose, e sottrae poi la propria adesione, umile e filiale, allo sforzo rinnovatore che il cattolicesimo tenta di stabilire in ogni settore della vita e dell'attività umana.
Scaturisce da tale spirito negativo un facile istinto alla propria distinzione dalla comunità, alla preferenza egoistica del proprio gruppo, al rifiuto della solidarietà per le grandi cause dell'apostolato per il regno di Dio; parla di liberazione, e naviga, anche senza volerlo, amara e senza gioia, verso « un libero esame », verso cioè un'affermazione soggettiva, che non è certamente conforme al genio della carità.
La quale carità deve guarire la Chiesa da questo contagio della critica contestatrice e corrosiva, ch'è penetrato qua e là anche nel tessuto del Corpo mistico: il carisma della carità dev'essere ricollocato al posto dovuto, il primo: « la carità è paziente, è benefica; la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto sopporta, a tutto si accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sostiene » ( 1 Cor 13,4-7 ).
E così via.
Ricordate questo inno di San Paolo alla carità; questa, la carità, deve purificare la legittima, e talora doverosa contestazione; e riabituare la Chiesa a ritrovare in se stessa il proprio cuore, nel quale pulsa nel profondo il cuore divino, dolce e forte, di Cristo: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore! » ( Mt 11,29 ).
E il secondo punto?
Questo riguarda una distinzione, che dall'ordine logico passa facilmente, ma abusivamente, a quello vissuto;
la distinzione, diciamo, della Chiesa istituzionale da quella carismatica;
dalla Chiesa di Gesù Cristo a quella del Popolo guidato dallo Spirito Santo;
dalla Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ad una Chiesa concepita secondo i propri lumi personali, o anche i propri gusti spirituali soggettivi.
Anche questo punto meriterà la nostra riflessione, in ordine specialmente alle conseguenze negative, che derivano dalla superficiale preferenza, che oggi molti sogliono dare ad una così detta Chiesa carismatica nei confronti della tradizionale Chiesa istituzionale.
E le conseguenze negative sono principalmente due: la disobbedienza e un pluralismo oltre i suoi legittimi limiti; temi questi che esigerebbero ampi e onesti sviluppi.
Sarà, a Dio piacendo, per altra volta.
Ma ora noi ci limitiamo a negare la distinzione sostanziale fra la Chiesa istituzionale e una presunta Chiesa puramente carismatica.
Quale Chiesa infatti ha fondato Gesù?
Gesù ha fondato la sua Chiesa su Pietro, su gli Apostoli, non altre.
Non esistono diverse Chiese; piena e perfetta, nella sua concezione, ne esiste una sola.
Ed è a questa Chiesa che Gesù ha mandato lo Spirito Santo, affinché la Chiesa istituzionale viva dell'animazione dello Spirito Santo, e dello Spirito Santo sia custode e ministra.
I carismi, cioè i doni speciali che lo Spirito infonde anche nei fedeli, sono a profitto dell'unica Chiesa esistente e per la sua dilatazione nel mondo; come si sa ( Cfr. 1 Cor 12 ).
Perciò noi dovremo restaurare quel vero « senso della Chiesa » che risponda alle divine intenzioni, e che conferisca alla Chiesa quell'unità interiore, quella vitalità, quella gioia di essere e di operare, che diano testimonianza a noi, al nostro tempo della presenza e della salvezza di Cristo ( Cfr. Gv 17 ).
Cristo ci assista con la sua, ora nostra Benedizione.