19 Settembre 1973
Una volta ancora noi ci riferiamo all'Anno Santo che viene, e che vorremmo fosse largamente e profondamente un'occasione di rinnovamento cristiano, al quale il Concilio ci ha invitati.
Il nostro vecchio e insidiato cristianesimo deve esprimersi in mentalità e in forme di condotta, che dimostrino due cose:
la sua autenticità e la sua vitalità; e ciò al confronto,
primo, della sua migliore tradizione;
secondo, al confronto delle condizioni concrete, in cui oggi la nostra vita, presa nelle maglie formidabili del costume vigente, si svolge;
e terzo, al confronto del mondo profano, che si professa laico e tutto orientato verso un modo di pensare e di vivere, non certo con coerenza cristiana, mentre il cristianesimo ha la missione di penetrarlo del suo spirito a profitto ed a salvezza del mondo stesso, in Cristo Signore.
Pensiamo cioè che convenga rendersi conto fin d'ora delle difficoltà che un tale programma presenta.
Come altra volta dicemmo, le difficoltà sono molte e sono gravi; bisogna almeno conoscerle, studiarle se si può, e predisporre le condizioni di spirito opportune per superarle con la nostra personale testimonianza, fidando nella virtù dello Spirito Santo.
Una di queste difficoltà è costituita dalla decadenza del senso morale.
Se ne è già accennato; ma non è superfluo richiamare la nostra attenzione su questo enorme ostacolo che si oppone alla diffusione del messaggio cristiano e alla sua effettiva efficacia.
Che cosa intendiamo per senso morale?
Domanda importante.
È l'innata coscienza del bene e del male; confortata dal giudizio rivolto non soltanto a ciò che è bene e ciò che è male, ma altresì a ciò che deve essere bene per noi e che deve essere evitato perché male per noi.
È un concetto nodale, che
implica intelligenza e volontà circa le cose da farsi e da non farsi;
implica il gioco decisivo della libertà, quello perciò del dovere,
e quello successivo della legge, della norma direttiva delle nostre azioni, e quindi quello dell'autorità da cui emana la legge.
Possiamo dire ( prescindendo ora dalle esigenze verbali filosofiche ) che è l'avvertenza, cioè la coscienza dell'ordine da compiere dentro e fuori di noi.
Questo istinto, questo orientamento spontaneo dapprima, pensato e voluto poi, dell'obbligazione morale, convalidata da un magistero estrinseco e sociale, ovvero da quello religioso, e rivolta all'azione conforme ad un piano naturale, esso stesso intuito come riflesso di una Intenzione trascendente, e noi la chiamiamo moralità.
Quali sono le forze, gli stimoli, che entrano in gioco? il dovere? le passioni? gli interessi? il costume? l'abitudine? l'esempio? il comando? il timore?
… È tutta una gamma che l'educatore ben conosce, e che la coscienza, cioè la riflessione personale è chiamata a valutare nella sua onestà e a dosare con scelta volontaria nell'efficienza dei suoi influssi esecutivi.
Accenniamo soltanto a questo complesso groviglio operativo perché ci possiamo rendere conto della densità di significato della comunissima e stupenda espressione: « essere buoni », che vuol dire essere positivamente morali; e perché non ci sorprenda il fatto del facile disordine che può introdursi nel complicato meccanismo psicologico dell'agire umano; disordine, ahimé!, che esiste già allo stato potenziale nell'uomo dopo il guasto introdotto dal peccato originale, con efficacia più o meno contenuta e contenibile.
Ed allora ci domandiamo ( Cfr. 1 Cor 10,13 ): è possibile essere buoni? conformi alla legge del bene, e vittoriosi di fronte alle tentazioni del male?
Questo è il dramma quotidiano d'ogni essere umano; questa è la prova a cui è sottoposta la nostra vita presente.
Ma noi dobbiamo essere ottimisti, e dobbiamo rispondere che sì, è possibile; l'uomo è di natura sua orientato verso il bene; inoltre noi abbiamo un prodigioso sussidio che ci fa buoni e che ci aiuta a diventare buoni sempre di più: è la grazia, l'effusione interiore dello Spirito Santo: purché gli apriamo la porta del cuore, con l'adesione sincera e l'accettazione profonda del Vangelo, come la Chiesa c'insegna e ci aiuta a fare.
È questo, in fondo, il senso globale della vita cristiana e della salvezza ch'essa reca con sé: essere uomini buoni, giusti, forti, liberi e veri, viventi in Cristo.
L'uomo « nuovo » è così.
Riusciremo a formare una generazione, una società d'uomini simili.
Questo è il proposito, questa la speranza.
Dov'è il pericolo? E se c'è, dove il rimedio?
Parliamo del senso morale; e ci limitiamo ora a indicare due pericoli, già prementi sulle coscienze di tanta gente del nostro tempo.
Il primo è quello di deviare il senso morale dall'asse deontologico dell'agire umano, di privare cioè il senso morale del quo imperativo assoluto, che deriva dal riferimento del nostro agire a Dio.
Siamo responsabili di fronte a Dio.
Il timore di Dio è il fondamento della vita morale ( « principio della sapienza è il timore di Dio » - Sal 111,10 ), dice la Bibbia.
Tolto dall'animo il timore di Dio non ha più senso la parola santità, cioè la perfezione suprema dell'essere nostro; e non ha più senso la parola peccato, ch'è una violazione assurda della legge divina.
Oggi la norma della moralità piega verso il costume, cioè verso l'uso corrente, verso la moda del comportamento etico; ieri era il costume che cercava di adeguarsi alla norma morale, oggi il contrario.
Se il costume fa legge, la legge in realtà non esiste più nel suo intrinseco vigore; e il costume si degrada da sé.
Diventa mutevole e provvisorio.
La corruzione può trovare in tal modo libera circolazione nella vita sociale.
Questa mentalità relativista, che sembra giustificarsi dalla libertà propria d'una società così detta matura, può degenerare facilmente in licenza ed essere la rovina della comunità e delle persone che la compongono.
Non sarebbe difficile addurre esempi storici insigni a tale riguardo.
L'ecologia del costume, in ogni ordine di attività, perciò dovrà essere per noi uno dei compiti primarii del rinnovamento cristiano a cui aspiriamo.
L'altro pericolo del senso morale è dato dall'edonismo, cioè dal sistema etico che mette il piacere al posto del bene; sistema questo a cui oggi siamo tanto proclivi.
Si vuole la vita facile, comoda, gaudente.
Si cerca di abolire ogni sforzo, ogni sacrificio.
L'imperativo morale, il dovere, è quasi dimenticato; si esalta solo il diritto.
Si teorizza sulla liceità di dare alle passioni dei sensi ogni possibile soddisfazione.
L'erotismo diventa una moda, il piacere un diritto, il vizio un'inezia.
Non si calcola lo sperpero d'ogni valore umano con simile flessione morale.
La fede, la religiosità, la spiritualità, il vigore della volontà, la grandezza d'animo vi si dissolvono.
« L'uomo animale, ammonisce S. Paolo, non può comprendere le cose che sono dello Spirito di Dio » ( 1 Cor 2,14 ).
Noi, che abbiamo la fortuna e la responsabilità d'essere battezzati, sapremo derivare da questo fatto decisivo e meraviglioso lo stile e l'energia della vita forte e nuova.
L'austerità della croce non ci dovrà detrarre da un impegno cristiano coraggioso, ma attrarre.
Rieduchiamo al carattere schietto e virile del seguace di Cristo la nostra condotta; così daremo autenticità e vitalità alla nostra professione cristiana, e diventeremo idonei, con l'aiuto di Dio, a portare al nostro mondo il messaggio rinnovatore e beatificante del regno di Cristo.
Così, con la nostra Apostolica Benedizione.