17 Ottobre 1973
Figli e Fratelli carissimi,
Ci prepariamo all'Anno Santo, come già si è più volte ripetuto; e ci sentiremo ripetere due parole programmatiche: rinnovamento e riconciliazione.
Potremmo vedere
nella prima parola, rinnovamento, tutto lo sforzo, l'opera, il frutto spirituale, morale e sociale soggettivo, che ciascun fedele e la Chiesa intera intende operare sopra di sé;
nella seconda parola, riconciliazione, sembra invece adombrata un'azione oggettiva, o meglio relativa a rapporti che superano i confini personali o collettivi dell'ambito interiore nostro, e che si riferiscono all'ambito esteriore nel quale viviamo e dal quale siamo circondati.
Comunque i termini sono molto chiari e intuitivi per tutti: dobbiamo rinnovarci al di dentro, e dobbiamo pacificarci al di fuori.
Dentro e fuori.
Tuttavia questa divisione è semplicista, e nella realtà poi dev'essere integrata.
Vediamo, ad esempio, questa volta, il senso che intendiamo dare alla seconda parola programmatica: riconciliazione.
Che cosa vuol dire?
a chi e a che cosa si riferisce?
Notiamo subito che essa suppone una rottura, alla quale dobbiamo portare rimedio e riparazione;
suppone un disordine,
un contrasto,
un'inimicizia,
una separazione,
una solitudine,
un'interruzione nell'armonia d'un disegno che reclama un'integrità, una perfezione, la quale corregga e superi un nostro isolamento egoista ed instauri in noi e intorno a noi una circolazione dell'amore.
Abbiamo noi coscienza di questo bisogno di riconciliazione?
Questo è un punto importante.
Rappresenta una grande novità nella coscienza umana, sia dell'uomo rispetto a se stesso: non è forse più uomo, veramente uomo, colui che, avendo coscienza di sé, avverta, col proprio tirannico egoismo, anche la propria angusta esistenza, la propria aseità, il proprio isolamento, la propria insufficienza?
sia poi nella coscienza sociale: il bisogno degli altri è iscritto nel nostro essere stesso; nessuno basta a se stesso; come ciascuno pensa d'integrarsi nel rapporto con gli altri?
nella lotta, o nell'ordine?
e poi ancora, e specialmente, nella coscienza religiosa, la quale segna il vertice della consapevolezza della nostra posizione nel mondo dell'Essere e nel destino relativo che a noi è riservato.
Riflettiamo bene, ed accorgiamoci che abbiamo bisogno, su questo triplice fronte, quello solipsista, quello sociale, quello religioso, d'una riconciliazione.
Non siamo, da noi stessi, circondati da un ordine perfetto; da ogni lato ci viene il pungolo d'una deficienza, d'un rimprovero, d'un rimorso, d'un pericolo.
L'analisi psicologica ci porterebbe lontano.
Fermiamoci per ora a un semplice accenno ai tre aspetti ( ai tre fronti, abbiamo detto ) denunciati dalla nostra coscienza come bisognosi di riconciliazione.
Il primo, quello della nostra inquietudine interiore, dal fatto che ci sentiamo vivere e insieme venir meno, insufficienti a noi stessi, pieni di energie e di deficienze, tormentati da un nostro insaziabile egoismo, documento al tempo stesso del nostro diritto a vivere e della nostra soggettiva povertà.
Dove, come trovare la pacificazione?
l'integrazione, l'equilibrio, la pienezza della nostra personalità?
La risposta è pronta: l'amore è la nostra pace interiore.
La questione allora si sposta: quale amore?
Non risponderemo ora a questa domanda; diremo soltanto che per essere felici bisogna apprendere « l'arte di amare »; arte di cui la natura stessa è maestra, se bene ascoltata e interpretata secondo la grande e sovrana legge dell'amore, quale Cristo ci ha insegnata: ama Dio, ama il prossimo, con le applicazioni austere e vitali, che tale legge comporta.
Se imparassimo davvero ad amare come si deve non sarebbe trasformata nella pace e nella felicità la nostra vita personale, e di conseguenza quella collettiva?
L'Anno Santo dovrà mettere nei suoi programmi anche questo capitale paragrafo: l'amore, restaurare l'amore, quello vero, quello puro, quello forte, quello cristiano.
E circa la riconciliazione sociale, che cosa diremo?
Oh! quale capitolo dalle mille pagine!
diremo soltanto che la riconciliazione, cioè la pace, diventa ogni giorno più una stringente necessità, una insorgente necessità.
Non si sperava noi tutti, dopo l'ultima guerra mondiale, che finalmente la pace sarebbe acquisita per sempre?
non ha fatto il mondo degli sforzi veramente grandiosi per inserire costituzionalmente la pace nello sviluppo della civiltà?
per rendere i popoli sicuri per sé, fratelli per gli altri?
Ma l'atroce e paurosa esperienza di questi anni ci richiama ad una triste realtà: la guerra è ancora, è sempre possibile!
la produzione e il commercio degli armamenti ci mostra anzi ch'essa è più facile e più disastrosa di prima.
Viviamo anche oggi una dolorosa, e non unica vicenda di guerra.
Siamo umiliati e impauriti.
Possibile che sia questo un malanno inguaribile dell'umanità?
Qui, noi dovremmo ancora osservare la sproporzione congenita nell'umanità fra la sua capacità idealizzatrice e la sua morale attitudine a mantenersi coerente e fedele ai suoi programmi di progresso civile; e allora si è tentati di dire: è impossibile al mondo conservarsi pacifico.
Rispondiamo: no; Cristo, nostra pace ( Ef 2,14 ), rende possibile l'impossibile ( Cfr. Lc 18,27 ); se seguiamo il suo Vangelo, il connubio fra la giustizia e la pace può realizzarsi; non certo cristallizzarsi nell'immobilità d'una storia ch'è invece in continuo svolgimento; ma può essere! può rigenerarsi!
Ed è ciò che noi mettiamo allo studio dell'Anno Santo: la riconciliazione, a tutti i livelli, della vita familiare, comunitaria, nazionale, ecclesiale, ecumenica.
Ed anche sociale.
Perché non può concepirsi una convivenza sociale, dove certamente gli interessi sono differenti e contrastanti, che sia fondata sulla organica e giusta cooperazione, e perciò sulla pace umana e cristiana di quanti vi hanno parte?
Sono sogni? sono follie?
Ecco la nostra originalità; noi crediamo che questa escatologia politica, questa parusia morale, sia dovere cristiano, qualunque sia nella contingenza storica il grado della sua effettiva applicazione; l'amore, la giustizia, la pace sono ideali vivi e buoni, pieni di energia sociale, che noi non dobbiamo mutuare all'odio e alla lotta, per tendere a quella concreta pacificazione, che realizzi nella sapienza e nella bontà la parola di Cristo: « voi tutti siete fratelli » ( Mt 23,8 ).
Ecco un altro immenso compito per l'Anno Santo.
Il quale avrà indubbiamente una preferenza da assegnare alla terza pacificazione, quella religiosa, che di fatto sta al primo posto; vogliamo dire il ristabilimento per ognuno di noi, per la Chiesa intera, e, Dio volesse, per il mondo, del rapporto di verità e di grazia col Padre celeste.
È il compito primo, immancabile dell'Anno Santo: ristabilire la pace fra noi e Dio nell'esperienza meditata e vissuta della parola incomparabile, tanto cara a S. Paolo, di riconciliazione.
Ma essa esige una lezione a sé, e perciò ci contentiamo di affidarla alla vostra memoria, fin d'ora e per l'Anno Santo che viene.
Riconciliazione con Dio ( Cfr. 2 Cor 5,20 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.