21 Novembre 1973
Dedichiamo ancora una riflessione introduttiva al fatto, al processo spirituale e morale, che dovrà essere, con l'aiuto di Dio, per noi tutti il prossimo Anno Santo.
Abbiamo detto già qualche cosa in proposito: dovrà essere un rinnovamento di vita cristiana.
Quale rinnovamento? quello proclamato dal Concilio.
Su quale disegno generale?
quello che suppone una nostra reviviscenza cristiana autentica;
quella che interpreta il nostro rapporto con Dio, mediante Cristo, nello Spirito Santo, il mistero della nostra salvezza, considerato con profondità di sguardo e con sincerità di adesione; capo primo e fondamentale;
poi capo secondo, e in un certo senso non meno importante, il nostro rapporto, qualificato, modificato, corretto, col mondo, con gli uomini del nostro tempo, con la vita moderna.
Riassumiamo il duplice aspetto della questione in una sola formulazione: come può e deve vivere il cristiano fedele, il figlio sincero della Chiesa, oggi all'ultimo quarto del secolo ventesimo, del presente secolo stupefacente e travolgente, nel mondo circostante?
In altre parole: come si può essere veri cristiani, oggi.
Vivendo nella società che ci condiziona e ci assorbe con irresistibile fascino, o con prepotente sopraffazione?
Il problema è vastissimo, e investe tutte le forme della nostra vita: pensiero, azione, sentimento, costume.
Ed è inevitabile: può lo stile religioso, insegnatoci dalla Chiesa, sopravvivere nella vita moderna?
Noi non pretendiamo certo di risolvere ora in due frettolose parole tale problema; ci basta di presentarlo come un grande tema di quel travaglio critico e rinnovatore che noi vorremmo fosse l'Anno Santo.
Diamo al problema una prospettiva evangelica, la parabola del buon grano che cresce nel medesimo campo insieme con la zizzania.
Voi la ricordate ( Mt 13,24-30 ).
Il padrone del campo vieta ai suoi coltivatori dipendenti di estirpare la zizzania, per impedire che tale operazione coinvolga anche il buon grano.
Immagine finissima e profonda del mondo, della storia, della compenetrazione delle forme di vita corrispondenti al disegno di Dio con quelle che da tale disegno prescindono, anzi lo avversano.
Immagine del pluralismo contraddittorio della nostra società umana, il quale non giustifica, non parifica le espressioni negative della società stessa, ma le tollera e quasi le difende con un liberalismo magnanimo e paziente, in ordine al bene stesso delle espressioni positive, e in vista d'una giustizia escatologica, cioè la scena presente dell'economia temporale, quando il bene ed il male, ora mescolati e confusi, saranno inesorabilmente separati e trattati con adeguata e differente sanzione.
Per quanto ci riguarda:
noi non dobbiamo orientarci verso il sogno irreale d'un'umanità perfetta;
né verso l'irreversibile schema d'una società di tipo medievale, stabile e disciplinata, pur nella distinzione dei poteri e delle competenze, da un'unica ideologia religiosa;
né verso atteggiamenti intolleranti e reazionari nei confronti della legittima autonomia delle « realtà terrene », cioè, come insegna il Concilio, delle cose create e delle stesse società, che hanno leggi e valori propri: « in virtù della creazione stessa … le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie ed il loro ordine » ( Gaudium et Spes, 36 ).
Ricordiamo bene questa grande lezione, che deve penetrare nella pedagogia del cristiano moderno: guardare con serena obiettività tutto l'orizzonte delle cose e dei fatti che ci circondano; anzi
con ammirazione, con entusiasmo e con occhio scientifico tutto il panorama della creazione;
con rispetto, con simpatia,
con amore ogni volto umano, straniero o nemico che sia;
con sguardo saggio e critico ogni manifestazione dell'esperienza umana, che offenda, o non accolga il giudizio morale, al quale la nostra professione cristiana ci obbliga.
Qui cominciano le difficoltà.
Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti in questo atteggiamento, al quale la scuola del cristianesimo moderno ci invita:
il riconoscimento del mondo profano nei suoi diritti e nei suoi valori;
la simpatia anzi e l'ammirazione che gli sono forse dovute.
Noi siamo spesso, nella pratica, andati oltre il segno.
Il contegno così detto permissivo del nostro giudizio morale e della nostra condotta pratica;
la transigenza verso l'esperienza del male, col sofistico pretesto di volerlo conoscere per sapersene poi difendere ( la medicina non ammette questo criterio; perché dovrebbe ammetterlo chi vuol preservare la propria salute spirituale e morale? );
il laicismo, che volendo segnare i confini di determinate competenze specifiche, si impone come autosufficiente e passa alla negazione di altri valori e di altre realtà;
la rinuncia ambigua, e forse ipocrita, ai segni esteriori della propria identità religiosa; eccetera,
hanno insinuato in molti la comoda persuasione che oggi, anche chi è cristiano, deve assimilarsi alla massa umana, qual è, senza prendersi cura di marcare a proprio conto qualche distinzione, e senza pretendere, noi cristiani, d'avere qualche cosa di proprio e di originale, che possa, al confronto degli altri, apportare qualche salutare vantaggio.
Siamo andati oltre il segno nel conformismo con la mentalità e col costume del mondo profano.
Riascoltiamo il richiamo dell'Apostolo Paolo ai primi cristiani: « Non vogliate conformarvi al secolo presente, ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito » ( Rm 12,2 ); e quello dell'Apostolo Pietro: « Come figli di obbedienza non conformatevi ai desideri d'una volta quando eravate nell'ignoranza ( della fede ) » ( 1 Pt 1,14 ).
Una differenza della vita cristiana da quella profana e pagana, che ci assedia, ci vuole; una originalità, uno stile proprio.
Diciamo pure: una libertà propria di vivere secondo le esigenze del Vangelo.
Col mondo dovremo mantenere un'indipendenza spirituale.
A questo riguardo la padronanza di sé, lo spirito ascetico, la tempra virile della condotta cristiana, non ci dovranno sembrare pii ammonimenti sorpassati, ma esercizi di agonismo cristiano, oggi tanto più opportuno quanto maggiore è l'assedio, è l'assalto del secolo amorfo, o corrotto, che ci circonda.
Difendersi, preservarsi; come chi vive in un ambiente epidemico.
Resta una domanda finale: dovremo allora uscire dal mondo?
La fuga mundi dei maestri medievali sarà la nostra regola?
Il discorso spirituale oggi è diverso, e ci ricorda gli accenti del Vangelo: non essere del mondo, ma essere per il mondo; cioè compenetrarlo col nostro spirito cristiano, dargli un'anima nuova, servirlo per amore.
Così il Concilio ( Cfr. Gaudium et Spes, 40ss.; Y. Congar, in L'Eglise dam le monde de ce temps, vol. III, pp. 15-38, Cerf, 1967 ), così l'Anno Santo!
Con la nostra Benedizione Apostolica.