28 Novembre 1973
Ancora una parola su l'Anno Santo.
Si è già detto che uno dei cardini, sui quali dovrà imperniarsi la sua spiritualità, dev'essere la riconciliazione.
Riconciliazione con Dio, riconciliazione con la nostra coscienza.
Riconciliazione con gli uomini, fratelli o nemici che siano.
Riconciliazione con i Cristiani tuttora in posizione di distacco, o di distanza, o di separazione rispetto alla Chiesa cattolica, quella dall'unica fede e dalla piena carità; la riconciliazione ecumenica, Dio volesse!
E poi la riconciliazione, ossia la presa di contatti purificanti, animatori, santificanti col mondo profano e moderno; anche a questo riguardo: Dio volesse!
Temi sconfinati.
Ma un punto c'è, che interessa in modo particolare il nostro animo pastorale e apostolico; ed è quello della riconciliazione nella Chiesa, con i figli della Chiesa, i quali senza dichiarare una loro rottura canonica, ufficiale, con la Chiesa sono tuttavia in uno stato anormale nei suoi riguardi; vogliono essere ancora in comunione con la Chiesa, e Dio volesse che davvero così fosse, ma in un atteggiamento di critica, di contestazione, di libero esame e di più libera polemica.
Alcuni difendono questa ambigua posizione con ragionamenti per sé plausibili,
cioè con intenzione di correggere certi aspetti umani deplorevoli, o discutibili della Chiesa,
ovvero di far progredire la sua cultura e la sua spiritualità oppure di mettere la Chiesa al passo con le trasformazioni dei tempi;
ma si arrogano tali funzioni con tanto arbitrio e con tanto radicalismo, che, senza forse avvedersene, offendono, e
perfino interrompono quella comunione, non solo « istituzionale », ma altresì spirituale, alla quale vogliono rimanere congiunti;
tagliano da sé il ramo della pianta vitale, che li sosteneva; e, accorgendosi poi del guasto prodotto,
si appellano al pluralismo delle interpretazioni teologiche ( che, salva l'adesione essenziale e autentica alla fede della Chiesa, dovrebbe essere non solo consentito, ma favorito ), senza badare che essi costruiscono così dottrine proprie, di comodo, e di equivoca aderenza, quando non siano addirittura contrarie alla norma e alla obiettività della fede stessa.
A noi questo fenomeno, che si diffonde come un'epidemia nelle sfere culturali della nostra comunione ecclesiale, procura grande dolore, temperato soltanto da un sentimento di maggiore carità verso quelli che ne sono la causa.
E il dolore si accresce: osservando con quanta facilità si formano gruppi qualificati come religiosi e spirituali, ma isolati e autocefali, i quali spesso, per attestarsi come iniziati a una concezione più interiore e più squisita del cristianesimo, diventano facilmente antiecclesiali, e scivolano quasi per inconscia gravitazione, verso espressioni sociologiche e politiche, dove purtroppo allo spirito religioso si sostituisce quello umanistico, e di quale umanesimo!
Come riprendere questi figli che s'inoltrano su così pericolosi sentieri, come ristabilire con loro un rapporto di gioiosa e concorde comunione?
La nostra sensibilità pastorale subisce altra ferita per la crisi dello spirito d'associazione, della quale crisi diversi strati sociali sperimentano le conseguenze, e alla quale anche molte file del nostro quadro organizzativo ecclesiale versano non lieve tributo.
Non ne vogliamo ora analizzare le cause complesse e profonde.
Vorremmo piuttosto pensare che l'amorosa pedagogia della Chiesa, rivolta alla riconciliazione, sapesse trovare l'arte di ritessere rapporti associativi adeguati a confortare appunto la comunione interiore ed esteriore per cui la Chiesa risulta quello che è e dev'essere: corpo sociale e mistico di Cristo, e vorremmo che di tale comunione l'Anno Santo ci ridonasse nuova esperienza.
Sì, noi vorremmo che la stagione di ripensamento e di fervore, alla quale ci prepariamo, questo scopo, questo effetto potesse produrre: un accrescimento d'un autentico sensus Ecclesiae.
Dovremmo tutti, dopo il Concilio, che ha avuto la Chiesa come principale tema dei suoi studi e dei suoi decreti, ripensare questa Chiesa benedetta; ricordare ch'essa è segno e strumento della nostra unione con Dio e dell'unità del genere umano ( Lumen Gentium, 1 ); sentire la fortuna e la responsabilità di appartenerle;
la gioia di poterle essere figli e testimoni;
la premura di servirla e di obbedirle;
la umile fierezza di partecipare alle sue prove e alle sue sofferenze;
la sicurezza d'incontrare e d'amare in Lei quel Cristo che « la amò e che per lei si sacrificò » ( Ef 5,25; cfr. S. Ambr. In Ps. 218, 5: PL 15, 1317-1318; H. DE Lubac, Méd. sur l'Eglise, VIII ).
Figli e Fratelli, amici vicini e lontani, uomini tutti: possa quest'ora di riflessione, di ravvedimento, di lucidità essere scuola per noli del mistero e della realtà della Chiesa di Cristo: rivelazione di Dio-Amore, salvezza per l'umanità ( Cfr. Ef 1 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.