2 Gennaio 1974
Chi ha celebrato il Natale, scoprendo nell'umile fatto della nascita di Gesù il mistero dell'Incarnazione, e cioè della venuta di Cristo nel mondo, vale a dire del Salvatore, del Messia, del Verbo eterno di Dio fatto uomo, è introdotto ad una successiva scoperta, la quale ci apre il punto focale di tutta la religione, il quale è il segreto della vita di Dio ed insieme il segreto della vita dell'uomo.
Il Natale non ci rivela soltanto Cristo, ma Lui mediante, per la manifestazione, l'epifania, che da Lui traspare di Figlio di Dio e di Figlio dell'uomo, si apre la visione abbagliante e avvincente della Paternità di Dio, e con questa il mistero della vita stessa di Dio, il mistero della santissima Trinità: Dio è Padre eternamente generante in Se stesso il Figlio, il suo proprio vivente Pensiero, il suo Verbo identico nella natura, cioè nell'Essere, al Dio unico Principio assoluto, e insieme, nell'identità di sostanza del Padre e del Figlio, spiranti l'Amore, lo Spirito Santo.
Unico l'Essere divino, ma sussistente in tre Persone eguali, distinte e coeterne ( Cfr. Denz-Schön. 800 ); verità eccedente la nostra capacità di conoscenza; essa tratta della Vita di Dio in se stessa, e perciò ineffabile, ma non senza un minimo, ma meraviglioso riflesso, che riscontreremo nella nostra costitutiva, spirituale psicologia, e che ha dato tema a S. Agostino per le sue speculazioni teologiche.
« Io dico, egli scrive, queste tre cose: essere, conoscere, volere, esse, nosse, velle.
Io sono infatti, io conosco e io voglio …
In queste tre cose quanto sia inseparabile la vita, … e quanto inseparabile la distinzione … veda chi può … » ( Conf. XIII, 11 ).
Né noi ora ci fermeremo sopra così alta e impenetrabile speculazione.
Solo faremo una deduzione, che ci deve rendere felici, e che deve formare il cardine della nostra fede e perciò della nostra vita religiosa.
Noi sappiamo adesso che Dio è Padre.
Padre per la sua stessa natura divina, in se stesso, nella generazione del Verbo, del Figlio suo unigenito; ed è perciò Padre di quel Gesù, il Cristo, che si è fatto uomo; uomo come noi, uomo per noi; nostro simile, nostro fratello.
Pertanto a titolo ben diverso, ma essenziale analogicamente, Dio è anche Padre nostro.
È Padre, perché Creatore; è Padre, perché a noi rivelato e a noi dato per adozione.
È stata una delle finalità principali dell'Incarnazione, uno degli scopi che ha dominato la vita di Cristo: Egli è il rivelatore del Padre.
Egli ce lo dice in quella sua preghiera finale, rivolta appunto al Padre celeste, la quale riassume nei termini più alti e più densi il significato della sua venuta nel mondo: « Io ho manifestato il Tuo nome agli uomini … » ( Gv 17,6 ).
E lo aveva già detto nei termini non meno alti e densi, ma piani e quasi familiari; ai discepoli che domandavano al Maestro d'insegnare loro a pregare, come tutti ricordiamo, Gesù rispose: « Così voi pregherete: Padre nostro, che sei nei cieli … » ( Mt 6,9; Lc 11,1 ).
Ad ascoltarla così sembra la formula più ovvia.
Sì, perché ce l'ha insegnata Gesù.
Già nella pagina dell'Antico Testamento a Dio è attribuito il titolo di Padre del Popolo eletto, per l'elezione che Dio ne ha fatto e per l'intimo rapporto religioso che con esso Egli ha voluto stabilire ( Cfr. Is 45,10; Dt 32,6; ecc.; cfr. A. Heshel, Dieu en quête de l'homme, 1955, Seuil 1968, Paris ); ma nel Vangelo questo appellativo di Padre, riferito a Dio, mediante Cristo, diventa abituale, normale, e acquista una pienezza in cui si concentra non solo tutta la teologia, ma altresì tutta la spiritualità della vera religione.
Noi dovremmo valutare questa rivelazione della suprema verità ontologica e religiosa come la chiave di volta di tutto il nostro pensiero e come la sorgente beatifica di tutta la nostra vita spirituale.
Dio Padre!
Noi ora siamo confusi di dovervi appena accennare, in modo fuggente e superficiale, quanto l'importanza primaria d'un tale tema e il suo inesauribile significato dovrebbero arrestare qui, e per sempre, il nostro discorso.
Dio Padre!
L'Essere primo, necessario, assoluto, infinito, eterno, Dio si qualifica Padre, ed è, per la generazione del Figlio unigenito, Dio da Dio, e per la generazione a noi in via adottiva mediante Cristo elargita nello Spirito Santo ( Gc 1,18 ).
Qui è la nostra fede, qui è la nostra religione, qui è il nostro battesimo, qui è la nostra capacità.
Di qui il nostro volo nel mistero della vita divina, di qui la radice della nostra umana fratellanza, di qui la intelligenza del senso del nostro presente operare, di qui la comprensione del nostro bisogno dell'aiuto e del perdono divino, di qui la percezione del nostro destino escatologico.
Ma, in via pratica, per la pedagogia evangelica che vogliamo trasfondere nella psicologia apatica, o smarrita della moderna generazione, una nota ci sembra su tutte da rilevare: Dio è Padre, dunque ci ama.
E allora: quale dev'essere il nostro atteggiamento fondamentale verso di Lui?
La nostra religione non può essere perciò che beata, fiduciosa, serena, ottimista, piena di energia, e dominata da una sola parola filiale: Sì! sì, o Padre!
la nostra felicità è tutta in questa risposta.
Questo significa, Figli e Fratelli carissimi, che d'ora innanzi la nostra pietà, la nostra fedeltà devono alimentarsi dell'orazione, che Gesù stesso ci ha insegnata e che noi, come diciamo, alla Messa: « osiamo dire: Padre nostro, che sei nei cieli … ».
Con la nostra Benedizione Apostolica