23 Gennaio 1974
Abbiamo celebrato il Natale.
Consideriamo il Natale come l'incontro religioso dell'umanità con Cristo, cioè col Verbo di Dio fatto uomo.
Questo incontro ci riguarda personalmente.
È su questo aspetto del mistero celebrato che dobbiamo fermare ora la nostra attenzione.
Cioè dobbiamo abilitarci a conversare con Cristo, e per suo tramite con Dio; con quel Cristo-Dio che per incontrarsi con noi, ha fatto un così lungo cammino: è disceso dal cielo.
Questa conversazione segna una nuova e amplissima tappa della vita religiosa cristiana.
Semplificando ora diremo: dobbiamo imparare a parlare col Signore, a parlare al Signore.
Un colloquio diretto, nostro, sincero col Signore costituisce un genere di preghiera particolare: la preghiera personale.
Sorge la domanda: siamo capaci di preghiera personale?
Potremmo dire senz'altro di sì, se per preghiera personale intendiamo la recita di alcune formule di orazioni abituali, che tutti conosciamo e che vogliamo credere dànno voce alla nostra consueta osservanza religiosa: chi è che non recita un « Padre nostro» ? un'« Ave Maria »? e non sono molti fra voi che recitano ogni giorno qualche preghiera all'inizio e al termine della giornata?
Per di più, molte persone buone dicono ogni giorno il Rosario, ed altre solite preghiere, entrate nel programma della giornata del buon cristiano.
E sta bene; sta molto bene: conserviamo questi elementari atti religiosi,
come presa quotidiana di coscienza del nostro carattere cristiano;
come espressione della nostra fedeltà alla concezione cristiana della vita;
come segno di quel nostro ossequio religioso a Dio col quale vorremmo assolvere il primo, massimo e sintetico comandamento religioso e morale, quello dell'amore;
come invocazione dell'aiuto divino, senza del quale resta insufficiente ogni nostra virtù speculativa ed operativa;
come conforto infine alla quotidiana fatica nel compimento dei nostri doveri.
Sta bene, ripetiamo, conservare puntuale e seria l'abitudine di recitare le preghiere quotidiane, con la semplicità del fanciullo, dalla quale vorremmo si mantenesse ornata e caratterizzata ogni nostra età.
Ma bastano queste poche formule sempre eguali, e spesso più vocali che spirituali, per dare alla nostra esistenza
il suo profondo significato religioso?
il suo autentico ed attuale timbro spirituale?
il suo originale e personale colloquio col mistero divino?
Chi professa con sincerità i propri sentimenti religiosi avverte che manca qualche cosa a codesta breve orazione convenzionale: essa diventa facilmente un atto puramente esteriore; un appuntamento fra due assenti: Dio e il cuore.
E che diremo di coloro che tralasciano anche di ricordare questo appuntamento, e si abituano a dimenticarlo; anzi, diventati, come si suol dire, « maturi », non ne avvertono più né il dovere, né il bisogno.
Una semplice inchiesta sulle abitudini religiose della gente del nostro tempo ci documenterebbe tristemente della totale, o quasi totale, assenza di preghiera personale in moltissime persone, aliene ed alienate ormai da ogni espressione di interiore religiosità: anime spente, labbra mute, cuori chiusi all'Amore, alla Fede, alle sollecitazioni o alle urgenze dello spirito!
E quante sono!
Vi è chi sostiene che l'uomo moderno così è e così dev'essere: senza preghiera personale.
Qui c'è una confusione di termini, tra uomo moderno e uomo autentico.
L'uomo autentico, l'uomo vero, e aggiungiamo: se davvero moderno, cioè consapevole del valore della sua progredita esperienza culturale, operativa, sociale, rimane radicalmente religioso, cioè essenzialmente orientato verso una ricerca e verso un rapporto con Dio, e perciò avido e capace di preghiera personale.
Tralasciamo il grande tema della pietà religiosa, della devozione ( Cfr. S. TH. II-IIæ, 101-102; S. Francesco di Sales, La Filotea; L. De Grand-Maison, La religione personale; ecc. ).
Ci limitiamo a porre il problema, tanto importante nel campo pastorale e psicologico, tanto delicato in quello pedagogico e spirituale: come è possibile rimettere negli animi della gente profana, areligiosa, atea perfino, l'impulso, la capacità, la corretta espressione d'una parola rivolta a Dio, a Cristo, alla Madonna?
Lasciamo a voi, agli esperti, ai pastori, lo studio e la risposta a questo problema, solo osservando quanto essa sia attuale, specialmente in ordine al rinnovamento religioso e morale, che l'Anno Santo vorrebbe produrre nel popolo, oltre che negli ambienti già educati alla vita spirituale; e affermando, ancora una volta, che non deve essere problema insolubile, prova ne sia certa sensibilità interiore, anzi religiosa, che si riscontra in alcuni strati più seri e pensosi della gioventù.
Ci si conceda piuttosto di accennare all'espressione minima e momentanea della conversazione del nostro spirito con Dio, la preghiera-scintilla, l'invocazione, quasi esplosiva, che può sprigionarsi da un'anima; giaculatoria, la diranno le anime pie; invocazione, gemito, grido può sgorgare anche da uno spirito non allenato al colloquio religioso; e forma questo genere di preghiera una fenomenologia interessantissima nelle cronache del regno di Dio, a cominciare da quella del così detto « buon ladrone », che con una sola implorazione strappa da Cristo, con lui crocifisso e morente, la propria salvezza: « Signore, ricordati di me, quando sarai giunto nel tuo regno!
E Gesù gli rispose: Ti dico, in verità, oggi tu sarai meco in paradiso! » ( Lc 23,42-43 ); per concludere con la singolare testimonianza di André Frossard, vivente, che la intitola: Dieu existe, je l'ai rencontré ( Fayard, 1969 ).
Sì, bisogna ricordare che all'appuntamento, di cui dicevamo, due sono in causa; noi, forse pigri, tardi e restii interlocutori, e Dio, che previene ed ama, e per primo è in cerca di noi ( 1 Gv 4,10 ), e ci colpisce col suo raggio misterioso.
Una sorpresa: la grazia è appunto tale!
Dio voglia, che nell'intento di stabilire con lui il nostro regolare e filiale, ma spesso lento e renitente colloquio, tale sorpresa, quella della sua operante presenza sia anche a noi riservata.
Con la nostra Benedizione Apostolica.