8 Maggio 1974
Ancora noi proseguiamo a celebrare in noi stessi il mistero pasquale, cioè l'estensione alle nostre singole vite personali del dramma redentore di Cristo.
Egli è morto, Egli è risuscitato, per noi, e questa sua morte e questa sua risurrezione si comunicano a noi, si celebrano misticamente, ma effettivamente in noi mediante due processi, che di fatto rigenerano la nostra umana esistenza: uno è la fede, l'altro è il battesimo; essi si integrano a vicenda, ed operano in noi la « giustificazione ».
Scrive San Paolo: « Voi siete tutti ( diventati ) figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, quanti siete stati battezzati in Cristo; siete stati rivestiti di Cristo » ( Gal 3,26-27 ).
« Ignorate voi forse, riprende l'Apostolo scrivendo ai Romani, che quanti di noi siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella morte di lui?
Noi siamo stati dunque sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita …
Così anche voi fate conto d'essere morti al peccato e di vivere a Dio in Cristo Gesù » ( Rm 6,3-11 ).
Questa dottrina è fondamentale per la nostra coscienza cristiana.
Essa meriterebbe un'analisi biblica e teologica, tradotta poi in termini liturgici e morali di primaria importanza, sia spirituale che pratica ( Cfr. F. Prat, La théol. de St. Paul, I, 266; II, 266-268; 306; 312-315; etc. ).
A noi basti ora fermare l'attenzione sopra un punto-cardine di questa autentica e irrinunciabile concezione cristiana della nostra vita.
Ed è questo: il nostro battesimo comporta un impegno morale: un forte, nuovo e stupendo impegno morale.
Tutti possiamo ricordare le rinunce e le promesse fatte per il nostro battesimo.
Un impegno morale?
Cioè un dovere nuovo, un obbligo molto esigente?
un vincolo alla nostra coscienza?
una scelta determinata per la nostra libertà?
Sì, un impegno morale, che investe tutta la nostra condotta.
La vita cristiana, inaugurata col battesimo, che ci eleva ad un livello esistenziale nuovo, quello di figli adottivi di Dio, ci vuole « santi ed immacolati » ( Ef 1,4 ).
Sembra questa un'esigenza eccessiva, un'utopia morale, un peso troppo grave.
Eppure è così ( Cfr. Lumen Gentium, 40 ).
E se realmente noi vorremo proporci un programma di rinnovamento di vita cristiana, non potremo prescindere da questa imperativa esigenza, che deve caratterizzare l'autenticità e l'originalità della nostra esistenza.
Bisogna davvero che essa sia vissuta in una grande riconoscenza a Dio per la santità già a noi conferita come suoi figli adottivi e in una tensione indefessa di perfezione.
Ce lo aveva già detto il Signore: « Siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste » ( Mt 5,48 ).
Ce lo ripete tutto l'insegnamento apostolico ( Cfr. Rm 12,2; Ef 4,13; Col 1,28; Gc 1,4; etc. ).
Ce lo insegna continuamente la Chiesa, cosciente delle proprie umane deficienze e sempre sollecita a battersi il petto accusandosi della propria fragilità, ma instancabile maestra di santità,
ci stimola e ci conforta con l'esempio e con l'assistenza di quei suoi figli migliori, che in questa vita scelgono per sé uno stile di perfezione morale, e che passati all'altra vita, quando l'epifania delle loro virtù e dei loro carismi risplende in modo particolare,
ce li propone campioni alla nostra imitazione, alla nostra venerazione, alla nostra invocazione nella comunione dei Santi.
Impegno morale: ma una prima obiezione ci invita per ora ad una semplice osservazione di risposta.
Obiezione: Cristo non è forse venuto per liberarci?
Come può essere proposta la vita cristiana come un impegno nuovo e più grave?
Qui occorrerebbe una lunga lezione ( Cfr. Card. G. Colombo, Per la liberazione dell'uomo, Rusconi Ed., 1972 ; lunghissima anzi, tanto questa parola « liberazione » è diventata quasi magica, quasi una seducente scoperta, che esonera l'uomo moderno da ogni scrupolo, e lo autorizza a vivere secondo la spontaneità dei suoi istinti, delle sue passioni, della sua coscienza puramente psicologica, nella erronea e talora fatale illusione, che svincolare la propria condotta da ogni autorità, da ogni proibizione, da ogni inibizione sia il mezzo migliore per rendere facile e felice la vita.
Non è così.
Il Signore, nell'economia del nuovo Testamento ha sì, liberato l'uomo dall'osservanza precettistica dell'antico Testamento ( Cfr. Mt 12,1-8; Mc 2,27 ), ma ha perfezionato taluni precetti morali dell'antica legge ( Cfr. discorso della montagna: Mt 5,17ss ) e conservando quelli della legge naturale, del decalogo ( Cfr. Rm 2,14ss ), due principali innovazioni perfettive ha introdotto nella dottrina normativa della vita umana: la prima ha consistito nel rendere veramente interiore l'atto morale e nel portare nel cuore, cioè nella coscienza dell'uomo la vera osservanza del bene ( Cfr. Mt 15,11; Lc 18,10ss; Mc 7,6 ); la seconda, ha concentrato nell'amore a Dio ed al prossimo « tutta la legge e i profeti » ( Mt 22,40 ), facendo cioè dell'amore che così si dà, fino al sacrificio, il principio fondamentale e fecondo della legge universale della moralità umana ( Cfr. Gv 13,35; Gv 15,13; Mt 25,31ss ).
Tutto questo ci fa pensare.
Pensare quanto sia fuori strada la così detta « moralità permissiva », cioè l'affrancamento della condotta umana dalle norme assolute del bene e del male;
quanto sia incompleta una norma soggettiva suggerita dalla sola coscienza psicologica, avulsa da quella morale, da quella cioè guidata dalla legge di Dio e dal magistero autorizzato, che la propone;
e quanto infine sia invece bella, gioiosa e forte una vita che fa del dovere sua guida, e il dovere ricava dalla luce e dall'impegno battesimale.
Con la nostra Benedizione Apostolica.