22 Maggio 1974
Ancora trattiene la nostra attenzione il mistero pasquale, che abbiamo recentemente celebrato, e che, come una luce accesa sul cammino della nostra vita, ci invita a formarci una nuova concezione di Cristo, della nostra esistenza e del mondo, concezione che possiamo definire escatologica.
Non ci spaventi la parola difficile, estranea alla terminologia degli antichi catechismi, i quali però usavano una parola, che possiamo dire equivalente, pur nel suo significato più ampio e più generico, quello di concezione cristiana della religione e della vita ( Cfr. M. Shimaus, Il problema escatologico nel cristianesimo, nel II vol. di Problemi e orientamenti di Teologia dogmatica, Marzotti 1957, p. 925 ss. ).
Escatologia è un vocabolo che, come si sa, deriva dal greco, e vuol dire « ultimo », finale, estremo;
e nel linguaggio biblico può avere un duplice significato, quello di ulteriore, di superiore, di superstite, di soprannaturale, quando si riferisce ad un'esistenza, che sorpassa, nella forma e nella durata la vita presente, temporale e mortale;
ovvero può significare, e più normalmente, lo stato profetico riguardante la fine di questo mondo, la situazione cosmica e esistenziale, quale sarà al termine della storia, quando Cristo ritornerà, nella gloria, per giudicare « i vivi e i morti », come ci lascia immaginare il discorso di Cristo circa la scena grandiosa e misteriosa del giudizio finale e della discriminazione fatale dell'umanità ( Mt 25,11-36 ).
I nostri testi tradizionali, sempre autentici, ci parlano di queste sublimi e tremende cose, in un trattato intitolato « i nuovissimi », che tratta quattro formidabili capitoli: morte, giudizio, paradiso e inferno, ai quali è unito quello del purgatorio, tutti documentati da precise riferenze e insegnamenti dogmatici del magistero ecclesiastico.
Come per tanti altri aspetti del mondo religioso, la materia si presenta assai abbondante, assai profonda e assai importante; merita certo ben più ampia riflessione che quella a noi possibile in questa sede e in questo momento.
Ma noi ora limitiamo il nostro interesse a soli tre accenni su questo immenso quadro escatologico.
Primo.
Circa la risurrezione di Cristo: realtà, e quale realtà?
È noto come lo studio circa la risurrezione di Cristo abbia dato origine, proprio in questi anni, ad analisi d'ogni genere, proclivi alcune a contestare la realtà storica e fisica di questo avvenimento centrale e capitale della storia umana e della fede cristiana ( Cfr. 1 Cor 15 ).
La dottrina nostra: biblica, storica, teologica, liturgica, spirituale, - voi lo sapete - non ammette dubbi circa questo avvenimento: Gesù Cristo è veramente risorto; cioè dopo la morte, una vera morte, Egli, per divina virtù, è ritornato realmente in vita, anima e corpo, ma in uno stato nuovo, come « uomo celeste » ( 1 Cor 15,47 ), cioè vivificato anche nella sua umanità da una superiore azione dello Spirito divino.
Siamo, sì, nel surreale, ma nella verità, di cui alcuni ( At 10,41 ), e non pochi ( oltre cinquecento, dice San Paolo ) ( 1 Cor 15,6 ), furono testimoni oculari, e di cui noi credenti dobbiamo essere non meno validi assertori ( Cfr. F. Prat, Théologie de St. Paul, 1, 157 ss.; circa le discussioni odierne: C. Porro, La Risurrezione di Cristo oggi, ed. Paoline 1973 ).
Certezza dunque, beata certezza sul fatto della risurrezione del Signore.
Secondo punto.
Il nostro personale ed ecclesiale rapporto con Cristo risorto.
Questo dice la nostra dottrina: anche noi, come Cristo, in Cristo, risorgeremo.
È straordinario.
Ma è così: la fede in Cristo e il battesimo, da lui istituito, nel nome del Dio vivente, Padre e Figlio e Spirito Santo, ci assicurano, se noi siamo fedeli, una analoga vittoria sulla morte; diciamo, con immenso stupore e con immenso gaudio: sulla morte.
La morte, la nostra suprema nemica, sarà vinta alla fine ( 1 Cor 15,26 ).
Anche noi risusciteremo!
Cristo è il principio di questo prodigio; Egli è la causa esemplare ( in Cristo, come Lui dobbiamo risorgere ); Egli è inoltre la causa meritoria ( per Cristo, per causa sua, noi potremo risorgere ).
Questo è il compimento della sua missione messianica, questo è il miracolo della redenzione.
Questa, se noi vogliamo corrispondere al disegno redentore, è la nostra sorte finale, la nostra escatologia.
Il mistero pasquale domina perciò il nostro supremo destino.
Terzo punto.
Noi ci domandiamo: ma come? ma quando?
Ed ecco un altro aspetto di questo sommo fatto religioso: il riflesso cioè della concezione escatologica sulla esistenza presente.
In altri termini: noi dobbiamo interrogarci sull'influsso che la nostra fede nella vita futura, quale da Cristo è stata annunciata e dalla Chiesa insegnata, abbia sulla nostra vita nel tempo.
Una volta questo pensiero era vigilante, come un lume acceso nell'oscurità, tanto complessa e tanto insidiosa, del pellegrinaggio dell'uomo nel corso del tempo.
Ora, invece, si direbbe che si fa di tutto per velare o per spegnere quel lume, per distogliere dalla mentalità umana quel pensiero della vita futura, e per abituare l'uomo moderno a formarsi una concezione puramente temporale, attualista, e a fare i calcoli direttivi della vita entro, e non oltre, l'orizzonte dell'ora presente.
Il laicismo radicale chiude lo sguardo sul mistero e sul destino dell'immortalità dell'anima, e tanto più sulla visione della promessa risurrezione.
Noi cristiani invece, se abbiamo fede nella realtà e nella virtù del mistero pasquale, dobbiamo formarci una concezione, osiamo dire, ambivalente della nostra vita: essa è nel tempo, ma sarà un giorno nel regno celeste ( non immaginato questo come il « cielo empireo » degli antichi, ma come uno stato ontologico nuovo, misteriosamente e meravigliosamente concepito dalla mente di Dio ).
Un regno celeste, al quale, per certi titoli, come la fede, la grazia, la carità, già apparteniamo.
Noi siamo in parte di qui e in parte di là; noi siamo già « nuovi », già « vivi » d'una vita che la morte corporale non potrà spegnere.
Dobbiamo saper vivere simultaneamente nel tempo e nel cielo.
Ricordate ancora San Paolo: « Se dunque siete stati risuscitati con Cristo ( nel battesimo ), cercate le cose di lassù, non quelle della terra » ( Col 3,1 ); e ancora: « come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi dobbiamo camminare in novità di vita » ( Rm 6,4 ).
Una bella preghiera liturgica ce lo ricorda: inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.
E non sorga in noi il dubbio che l'orientamento della nostra vita verso il suo destino futuro, escatologico, ci renda inabili a compiere perfettamente e intensamente i nostri doveri nel tempo fuggente e presente, ché anzi aumenterà in noi il senso del suo inestimabile valore e la sapiente volontà di bene impiegarlo.
Con la nostra Apostolica Benedizione.