29 Maggio 1974
Noi abbiamo meditato, in questo periodo successivo alla Pasqua, i rapporti che legano a noi questo mistero della morte e della risurrezione di Cristo, e procedendo in questa riflessione noi arriviamo ad una conclusione, che più d'ogni altra supera la nostra capacità di parola, tanto da preferire quasi rimanere muti, che costringere in poche e povere espressioni le ineffabili realtà religiose, alle quali ci dobbiamo pur riferire, essenziali e virtualmente note com'esse sono.
I Santi vi hanno scritto dei trattati teologici ( Cfr. per citarne uno solo, S. Ambrogio, De Spiritu Sancto, PL 16 ), e i Teologi vi hanno dedicato meditazioni senza fine ( Cfr. Tixeront, Histoire des dogmes, 1905; Scheeben, Dogmatica, II ); si tratta della rivelazione circa lo Spirito Santo e della nostra partecipazione soprannaturale alla Vita divina, partecipazione che chiamiamo la « grazia », quella Carità cioè, quell'amore elevante, santificante e vivificante, che appunto per virtù e per merito della redenzione, del mistero pasquale, è infuso nelle anime di coloro che sono diventati Cristiani ( Cfr. Rm 8,11 ).
Si tratta della grande controversia dottrinale circa la nostra « giustificazione », cioè l'azione divina mediante la quale siamo purificati dalla triste eredità del peccato originale e diventiamo « santi », cioè esistenti in forza d'un nuovo principio vitale, che non solo riveste, ma pervade il nostro essere naturale, e ci garantisce la vita eterna in Cristo nella pienezza finale del regno di Dio ( Cfr. S. TH. I, 38; I-II, 109-114; Denz.-Schön. 1520, ss. ).
Si tratta della nostra autentica vita cristiana, vissuta appunto « in grazia di Dio ».
Tante, troppe cose per queste nostre umili parole.
Grandi verità, grandi questioni.
Ci accorgiamo almeno della straordinaria ricchezza della vita religiosa, della sua profondità, della sua bellezza.
Non per nulla siamo alle soglie del regno di Dio, al quale il regno di Cristo ci introduce, ci educa, ci rende partecipi.
Fermiamoci ad una sola considerazione: alla necessità di vivere in grazia di Dio.
E riportiamoci al Vangelo.
Vi ricordate l'episodio? narrato dall'evangelista S. Giovanni?
al capo terzo del suo Vangelo, circa l'intervista notturna d'un « notabile » del suo tempo e del suo ambiente, di nome Nicodemo, il quale, andato per esplorare chi veramente fosse e che cosa in sostanza insegnasse Gesù, si ebbe da Cristo questa prima e sconvolgente risposta: « In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio ».
È così preannunciata la necessità d'una vita nuova, derivante da un principio diverso, estrinseco, superiore e infuso nella nostra esistenza naturale per renderla idonea a partecipare, in data forma e misura, niente meno che alla vita divina: « In verità, in verità ti dico, insiste Gesù, se uno non rinascerà dall'acqua ( allude al battesimo ), e dallo Spirito Santo ( allude alla grazia battesimale ), non può entrare nel regno di Dio ».
Il dotto interlocutore, Nicodemo, lì per lì, non comprende nulla; ma comprendiamo noi, che ricordiamo altri insegnamenti di Cristo, su questa rivelazione e su questa instaurazione d'una gratuita, nuova, mistica vitalità del credente, fedele seguace di Cristo Salvatore.
Facciamo un salto agli ultimi discorsi del Signore nell'ultima cena, alle estreme, commoventi, ineffabili sue confidenze, circa la nuova, divina comunione mediante la quale Egli, con una sua inattesa presenza, rimarrà, dopo la sua scomparsa dalla scena temporale, ancora con quelli che si possono dire suoi; rimarrà con l'invio dello Spirito Santo, il Paraclito, l'assistente, il consolatore, l'ospite interiore, rivelatore della verità salvifica, il suggeritore della preghiera incomparabile ( Cfr. Rm 8,27 ).
S. Paolo moltiplica espressioni stupende su questo fatto prodigioso dello Spirito Santo che viene nella nostra anima col suo divino respiro, con la sua luce rischiarante e rassicurante, con la sua forza, che può trarre dalla nostra naturale debolezza il testimonio, l'eroe, il martire, il santo, quale dev'essere il vero seguace di Cristo ( Cfr. Denz.-Schön. 1535 ).
Siamo nel misticismo dei contemplativi?
nel sentimentalismo dei poeti?
nella sfera dei carismatici iniziati?
cioè ad un livello straordinario e solo da pochi raggiungibile di vita cristiana?
No, siamo sul piano comune di coloro che vivono « in grazia di Dio ».
Manifestazioni spirituali singolari a parte, che davvero sono privilegio e conquista di pochi, questa animazione dello Spirito Santo, la quale ci fa « giusti », ci dà modo di rendere buone e meritorie tutte le nostre oneste azioni, ci fa progredire nella intelligenza e nella pratica dello stile cristiano per la nostra vita, ci trasforma in « santuari », in cui abita Dio santissimo, Uno e Trino ( Gv 14,23 ), ci assicura perciò la continuità, anzi il mistero indescrivibile ( Cfr. 1 Cor 2,9 ) della vita futura, è per tutti!
Figli carissimi! riflettiamo bene: è per noi tutti!
Per tutti disponibile, per tutti anzi doverosa e necessaria; l'alternativa prospettata per la nostra sorte eterna non ammette dubbi: dobbiamo vivere oggi, per poi vivere sempre beati, in grazia di Dio.
Voi sapete come può essere fragile questa situazione; ma tutti dobbiamo confermarci nella duplice convinzione: è necessario, è possibile, sì, vivere in grazia di Dio.
Ecco il nostro ricordo pasquale; ecco la nostra vigilia per la prossima ed eccelsa solennità della Pentecoste: la festa dello Spirito Santo, la festa per noi della grazia divina.
Con la nostra Benedizione Apostolica.