19 Giugno 1974
La vita cristiana è lieta o triste?
Questione elementare, ma fondamentale.
E per noi, che siamo abituati a classificare il merito delle cose secondo una valutazione soggettiva, cioè utilitaria, la questione può dirsi decisiva.
Cioè: l'essere cristiani ci rende felici, ovvero ci impone limiti, doveri, oneri che rendono triste e infelice la vita, o meno felice, meno piena di quella che non si qualifica cristiana?
La questione assume una sua importanza preponderante specialmente in un periodo caratteristico della vita, ch'è la gioventù, il periodo della coscienza che si sveglia, e dapprima si sveglia alla esperienza sensibile delle cose e delle condizioni in cui si svolge l'umana esistenza, che non al giudizio ponderato sulle cose e sulle condizioni stesse.
La vita vuol essere subito goduta; la felicità attrae come un diritto sovrano; e la felicità sembra essere il piacere, il godimento delle esperienze istintive, facili, egoiste.
Questo è il paradigma consueto dello sviluppo giovanile, che porta alla scoperta di sé e del mondo, e pone l'urgente ricerca delle vie più rapide e più dirette alla felicità libera, sensibile, passionale.
Tentazione, o soluzione?
Ricordiamo la storia emblematica del « figliol prodigo », di cui il Vangelo traccia in poche, ma sicure linee la figura notissima ( Lc 15,11ss ).
Potremmo accennare, a questo punto, alla tendenza di certa pedagogia moderna, che cerca di giustificare questo stile istintivo di vita, come il più logico e davvero il più felice: abolire i doveri, i freni, i limiti e dare libertà, espansione, godimento agli istinti e agli interessi soggettivi sarebbe la formula liberatrice per l'uomo moderno, il riscatto dai tanti tabù dell'educazione tradizionale e puritana dei tempi ormai superati; purché siano salve le norme dell'igiene ( e pur troppo non sempre nemmeno queste! ), e quelle d'un certo comportamento sociale, tutte le altre strutture etiche e spirituali non servono che a rendere infelice la vita.
Ritorna in auge trionfante il naturalismo innocentista dei tempi passati con le sue espressioni epicuree, o con le sue apologie del primato della vita edonistica, fisica e pagana.
Qui sarebbe la felicità?
È chiaro che la concezione cristiana della vita si oppone nettamente, profondamente a tale genere di felicità.
Diciamo per ora tutto in una parola: il fulcro della vita cristiana è la croce.
Scandalo e stoltezza è considerata la croce dal mondo non cristiano, ma per noi, c'insegna S. Paolo fino dal primo confronto del suo messaggio col mondo circostante, Cristo crocifisso è potenza di Dio, è sapienza di Dio ( Cfr. 1 Cor 1,23ss ).
Ma riprendiamo la domanda, con qualche ansietà: la vita cristiana è lieta, o triste?
La risposta è luminosa e beatificante: la vita cristiana è lieta, di natura sua; è felice, per un suo genio originale ed eccedente la comune concezione dell'esistenza umana; è beata, perché così la proclama il messaggio evangelico delle beatitudini, e così la promette, e fin d'ora la assicura la parola di Cristo: « Vi ho detto queste cose affinché il mio gaudio sia in voi, ed il vostro gaudio sia pieno » ( Gv 15,11 ).
Questo punto è molto importante.
Bisogna davvero formare in noi la concezione dominante che la vita cristiana è felice.
Diciamo la vita cristiana autentica; e diciamo felice nel senso superiore, intangibile e inesauribile, che ci è dato dalla carità, cioè dall'azione dello Spirito Santo nelle nostre anime.
Ricordiamolo bene: chi vive in grazia di Dio possiede per ciò stesso una sorgente di felicità, che nessun malanno esteriore e neppure nessuna depressione interiore può estenuare ed estinguere.
La vocazione cristiana è un invito alla beatitudine.
Nessuna condizione di spirito può renderci intimamente felici quanto la pace della coscienza.
Diciamo meglio: quanto la grazia, cioè la carità.
La gioia è un dono della carità, come la pace.
Non si distingue dalla carità, ma emana da essa ( Cfr. Gal 5,22; S. TH. II-IIæ, 28,1; e 28,4 ).
Ricordiamo sempre: « il regno di Dio non consiste né nel mangiare, o nel bere, ma nella giustizia, nella pace e nella gioia nello Spirito Santo » ( Rm 14,17 ).
Ci ha condotto allo studio di questo tema, della gioia propria della vita cristiana, la proiezione liturgica e teologica della Pentecoste, ormai celebrata da parecchie settimane, ma tuttora e sempre operante nel pensiero e nel comportamento di chi vuol essere fedele alla realtà della spiritualità cristiana.
Tanto che vogliamo noi pure esortare voi, Figli e Fratelli nella Chiesa cattolica, a vivere nella serenità e nella letizia, con le ben note parole dell'Apostolo: « Siate lieti sempre nel Signore; lo ripeto siate lieti » ( Fil 4,4; Fil 3,1; Fil 2,18; 2 Cor 6,10; 1 Gv 1,4; etc. ).
E sia la vostra pura e allegra letizia essa pure una testimonianza dell'autenticità della vita cristiana: essa è felice.
Con la nostra Apostolica Benedizione