4 Settembre 1974
Noi vorremmo poter trasmettere a voi, Fratelli e Figli carissimi, e a voi, a cui giunge l'eco del nostro umile discorso apostolico, un'idea, una convinzione che noi, come credenti, come lontani e tanto prossimi seguaci di Cristo, come membri della Chiesa cattolica postconciliare, noi dobbiamo « fare di più ».
A voi, fedeli, che non desiderate altro di meglio dell'« autenticità » e che desiderate uscire dal crepuscolo nebbioso delle incertezze spirituali generato in noi dalla crescita stessa della cultura moderna e dallo spirito sinistro d'un implacabile criticismo;
a voi specialmente, confratelli nel ministero sacerdotale della Parola di Verità e dell'Azione della Carità;
e a voi pure, spiriti eletti, che avete dato alla religione la vostra vita, rompendo con i sacri voti i vincoli da cui potrebbe essere inceppato l'unico e totale amore a Cristo;
come anche a voi, fratelli e figli, immersi nella vita profana, ma non senza il segreto tormento di modellarla secondo un profilo di bellezza e di pienezza cristiana;
a voi tutti noi poniamo, come problema, anzi come programma, noi oggi dobbiamo « fare di più ».
Questo non è, come potrebbe sembrare, un messaggio d'« integralismo » reazionario, nel senso che si voglia dare alla « lettera » di certe osservanze esteriori delle abituali consuetudini religiose ed ascetiche, ereditate dal tempo passato, la priorità puntigliosa sopra lo « spirito », cioè i principii e le virtù fondamentali d'un cristianesimo permeato di Vangelo e di comunione ecclesiale, e aperto ai vantaggi ed ai bisogni del tempo presente.
No; esso vuol essere un richiamo a quell'« aggiornamento », che consideriamo come un mandato ereditato da Papa Giovanni, e a quel rinnovamento che l'Anno Santo propone agli animi vigilanti e volonterosi.
Rendiamoci conto dei fenomeni religioso-morali, succeduti al Concilio e già maturi nella flessibile e agnostica formazione psicologica della presente generazione, reduce dal turbine della guerra, e aggredita dalla vertigine del progresso scientifico, economico, sociale dei nostri giorni.
È questa un'analisi che molti, uomini di penna e di parola, hanno variamente descritta; la nostra riflessione può avere testi, molti e diversi, per suo nutrimento.
A noi qui basti notare la linea del diagramma di alcuni fatti evidenti; ad esempio,
le statistiche della frequenza alla Messa festiva, fonte e misura della vita religiosa del popolo;
delle vocazioni al sacerdozio, o alla professione religiosa;
ovvero, l'importanza, più o meno prevalente, data alla fede, espressa nella sua testuale integrità;
oppure, la serietà e la limpidezza dei costumi;
o anche, l'andamento quantitativo e qualitativo delle nostre associazioni,
la stima e l'adesione verso l'autorità religiosa e pastorale,
la produzione letteraria e artistica della nostra cultura, eccetera.
Lasciamo al vostro spirito d'osservazione continuare questa analisi.
Noi potremmo, per grazia di Dio, elencare alcuni fatti, di grande rilievo, dai quali è lecito e doveroso desumere consolanti risultati e ancora più promettenti presagi.
Lo faremo, a Dio piacendo.
Ma ora ci pare doveroso notare, con sofferta sincerità, che non pochi diagrammi di questi fenomeni, interessanti la vita ecclesiale, sono in curva discendente ( analoghi risultati potremmo rilevare dall'osservazione della società temporale, ma ora ci limitiamo al campo di nostra competenza ).
Che cosa è avvenuto?
Difficile rispondere in due parole.
Ma guardando esteriormente i fatti nel loro complesso potremmo dire che le opportune, e talora necessarie, innovazioni hanno prodotto in molti animi un desiderio inquieto, e perfino talvolta cieco, di cambiamento, qualunque fosse.
Questa psicologia del cambiamento s'è facilmente trasformata in un'ansia e in un senso di liberazione; e la liberazione non si è spaventata, arrivando al traguardo della disgregazione, dell'infedeltà, di sfociare nel vago e nel vuoto.
Il nuovo, purché sganciato dai vincoli, interni ed esterni, della tradizione normativa, è apparso coincidere col buono, col meglio …
Se questo processo di decadenza modernista dovesse procedere?
estendersi alle strutture della Chiesa?
ai suoi impegni dottrinali e morali?
ai suoi secolari istituti dedicati alla perfezione cristiana e alla sua attività apostolica? ( Cfr. L. Bouyer, La décomposition du catholicisme, Aubier 1968 )
Dobbiamo invocare lo Spirito di luce e di fortezza per superare questa ora storica di trapasso da uno stato ecclesiale, che possiamo, senza screditarlo, qualificare consuetudinario, tradizionale, ad uno stato che non sia semplicemente nuovo e diverso, ma più vivo, più genuino, più infiammato di fede e di carità.
È questa una delle prime esigenze del Vangelo.
Pensate, Gesù ha detto: « se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli Scribi e dei Farisei non entrerete nel regno dei cieli » ( Mt 5,20 ).
E gli Scribi ed i Farisei erano allora considerati come i rappresentanti del ceto migliore della loro società!
E poi, ancora Gesù, la cui parola supera ogni limite di quel « più », a cui facciamo riferimento: « Siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro che è nei cieli » ( Mt 5,48 ).
E subito, ecco il Concilio a commentare solennemente: « … tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano guidati, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell'Apostolo: la volontà di Dio è questa: che vi santifichiate » ( 1 Ts 4,3; Ef 1,4; Lumen Gentium, 39-42 ).
È sempre presente in noi questo ideale, immagine e stimolo al reale, verso la santità, verso la perfezione, verso un'interpretazione forte e sublime della nostra vocazione cristiana?
Noi, più responsabili d'ogni altro a questo riguardo, vi diciamo che lo deve essere.
Quanto maggiori sono oggi l'irreligiosità, il secolarismo, la seduzione mondana, l'opposizione e l'ostilità al cristianesimo, tanto più cosciente, più vigile, più solidale, più amoroso dev'essere il nostro sforzo per pareggiare, per superare queste difficoltà.
Non basta essere cristiani di nome e di adesione tiepida, fiacca, passiva a questo nome programmatico; bisogna essere con nuovo vigore, personale e collettivo, sempre ricordando la sfida dell'Apostolo: « Chi ci potrà mai separare dalla carità di Cristo? » ( Rm 8,35 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.