11 Settembre 1974
Il mondo cambia.
Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà … tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento.
Perciò la Chiesa è in difficoltà.
Anche questo fenomeno è, sotto vari aspetti, evidente.
La Chiesa, lo sappiamo, è quella società visibile e misteriosa, che vive della religione di Cristo.
Ora nel mondo odierno la religione in genere, e tanto più una religione come la nostra, determinata e organizzata, vivente nella scena storica del tempo presente, e ordinata ad un fine escatologico, che si realizza cioè nella sua pienezza oltre il tempo, in una vita futura, non sembra che possa avere prospera esistenza.
Si tratta poi di una religione che pretende interpretare, anzi predisporre i destini dell'umanità, e che si pone come verità circa Dio e circa l'uomo,
maestra della nostra salvezza, e che perfino osa fare dell'amore a Dio invisibile Padre nostro e agli uomini,
non più lupi, ma fratelli, la legge fondamentale sia per l'essere individuo che per quello sociale,
una religione simile, che introduce nel piano naturale della vita uno straordinario piano soprannaturale, convivente e animatore del primo,
sembra, a chi osserva le cose superficialmente, impensabile ai nostri giorni,
sembra una Chiesa destinata a spegnersi e a lasciarsi sostituire da una più facile e sperimentabile concezione razionale e scientifica del mondo,
senza dogmi,
senza gerarchie,
senza limiti al possibile godimento dell'esistenza,
senza croce di Cristo.
E se cade la Croce di Cristo, con tutto ciò ch'essa comporta, che cosa rimane della nostra religione?
che cosa rimane della Chiesa?
Viste così le cose, si comprende come la Chiesa si trovi in difficoltà.
La Chiesa è tuttora una grande istituzione, mondiale, collaudata da venti secoli di storia, più travagliata che felice, ma feconda sempre di energia nuova, di popolo numeroso, di uomini insigni, di figli devoti, di risorse impreviste; ma, apriamo gli occhi, essa è ora, per certi riguardi, in gravi sofferenze, in radicali opposizioni, in corrosive contestazioni.
Non si sarebbe scavato forse un abisso, che sembra incolmabile, fra il pensiero moderno e la vecchia mentalità religiosa ed ecclesiale?
non si sarebbe assorbito nella cultura profana il tesoro di sapienza, di bontà, di socialità, il quale sembrava essere patrimonio caratteristico della religione cattolica, fino quasi a svuotarla e a privarla di tante sue ragioni d'essere, per travasare questo patrimonio nel costume laico e civile del nostro tempo?
V'è ancora bisogno che la Chiesa ci insegni ad amare i poveri, a riconoscere i diritti degli schiavi e degli uomini, a curare e ad assistere i sofferenti, a inventare gli alfabeti per popoli illetterati?
Eccetera.
Tutto questo, e pare assai meglio, lo fa il mondo profano da sé; la civiltà cammina con forze proprie.
Eccetera.
E allora non sono forse chiari i motivi dell'irreligiosità moderna, del laicismo geloso della propria emancipazione, dell'abbandono delle osservanze religiose da parte di popolazioni intere, del materialismo delle masse, insensibili ad ogni richiamo spirituale?
Sì, la Chiesa è in difficoltà.
Ecco perfino alcuni suoi figli, che le hanno giurato amore e fedeltà, che se ne vanno; ecco non pochi seminari quasi deserti, famiglie religiose che trovano a stento nuovi seguaci; ed ecco fedeli che non temono più di essere infedeli …
L'elenco di questi malanni, che affliggono oggi, nonostante il Concilio, la Chiesa di Dio, potrebbe continuare, fino a riscontrare che grande parte di essi non assale la Chiesa dal di fuori, ma l'affligge, l'indebolisce, la snerva dal di dentro.
Il cuore si riempie di amarezza e di più tenera e forte affezione.
Se così è, quali rimedi?
Oh! per fortuna oggi la sensibilità e la coscienza della Chiesa fedele ( e questa è la parte più vigile e la più numerosa ), si sono scosse, e la corsa ai ripari si tramuta in sagge terapie, non solo, ma in nuove, positive testimonianze di coraggiosa e fiduciosa vitalità.
Beati quelli che ne hanno l'intuito, e vi impegnano l'opera, il cuore.
Forse i giovani saranno anche questa volta all'avanguardia: siano benedetti!
Ma ora noi poniamo una domanda, che investe tutto il sistema: può la Chiesa superare le difficoltà presenti?
È, per nostra fortuna, facile la risposta, perché non è formulata dalla prudenza umana, né fondata sopra le nostre povere forze; la risposta sta nella promessa di Cristo: … non praevalebunt ( Mt 16,18 ); vobiscum sum ( Mt 28,20 ); in mundo pressuram habebitis; sed confidite, Ego vici mundum ( Gv 16,33 ); caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt ( Mt 24,35 ).
Al di là dei risultati problematici, che possano avere le nostre faticose vicende, queste ora ricordate sono parole vere, parole divine.
Noi le possiamo, noi tutti le dobbiamo prendere sul serio.
Che cosa significa « prenderle sul serio »?
Significa questo fondamentale nostro atteggiamento: significa prestarvi fede; significa credere.
Diciamo chiaramente: la fede è la prima condizione per superare le presenti difficoltà ( Cfr. Denz-Schön. 1532, 3008 ).
Lo ha confermato l'apostolo Giovanni: « Questa è la vittoria, che vince il mondo, la nostra fede » ( 1 Gv 5,4 ).
E che cosa finalmente è la fede?
Oh! la grande questione!
Ma ora risolviamola nella più concisa risposta.
La fede è l'adesione alla Parola di Dio ( Cfr S TH. II-IIæ, 1 ).
E come possiamo conoscere, distinguere, interpretare, applicare la Parola di Dio?
Certamente occorre un aiuto supplementare e preveniente alle nostre facoltà spirituali, quell'aiuto dello Spirito Santo, meritatoci da Cristo ( Cfr. Gv 14,6; Gv 15,5; Mt 11,27; etc. ), che chiamiamo grazia, la quale non è negata a chi fa ciò che può per ottenerla, a chi cioè impiega con grande rettitudine la mente e il cuore nella ricerca e nella coerenza della verità ( Cfr. Gv 3,21 ).
Ma poi questo processo di adesione alla vera fede si perfeziona e si compie mediante l'assistenza del magistero ecclesiastico, come ha insegnato Gesù riferendosi alla missione degli apostoli: « Chi ascolta voi, ascolta me » ( Lc 10,16; Dei Verbum, 10 ).
Così che noi dobbiamo convincerci della necessità d'una fede viva, autentica, operante; e ciò tanto di più quanto maggiori oggi sono le difficoltà, alle quali abbiamo accennato.
Non basta, soggettivamente, una fede vaga, debole ed incerta; una fede puramente sentimentale, abituale, fatta di ipotesi, di opinioni, di dubbi, di riserve; né basta, oggettivamente, una fede che accetta ciò che le piace, o che cerca di eludere le difficoltà rifiutando l'assenso a verità misteriose e difficili.
Dobbiamo saperci assicurati che la fede non umilia la ragione, ma la conforta alla certezza e alla comprensione, almeno parziale, ma luminosa e felice, di verità superiori e vitali.
E dobbiamo far nostre le trepidanti, ma esemplari implorazioni evangeliche, come quella del padre che implorava la salute per il figlio disgraziato: « Io credo, Signore, ma Tu aiuta la mia incredulità » ( Mc 9,23 ); e quella degli apostoli al Signore : « Accresci in noi la fede! » ( Lc 17,5 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.