20 Novembre 1974
Per intraprendere lo sforzo religioso che la celebrazione dell'Anno Santo domanderà a ciascuno di noi occorre una certa spirituale sicurezza, senza la quale la pedagogia propria di questo periodo difficilmente avrebbe presa sui nostri animi.
Noi abbiamo accennato, in un precedente elementare discorso, allo stato d'incertezza soggettiva, di dubbio sopra la propria identità, che, se non è superato da uno stato logico, psicologico, morale di normale sicurezza interiore, renderebbe vano il tentativo di un proprio esplicito e progressivo rinnovamento.
Non si può costruire sulla sabbia.
Il dubbio scettico e pessimista circa la propria identità, circa la propria vita, vanifica ogni positiva efficienza di sviluppo religioso e morale.
Così dicevamo.
Ma dobbiamo completare questa analisi soggettiva facendo menzione d'un'analisi oggettiva, non meno generale e indispensabile; ed è quella che potremmo intitolare alla « autenticità » del nostro pensiero religioso.
Siamo sicuri di possedere una verità sufficiente per costruirvi sopra l'edificio della nostra fede?
Questa osservazione ha una estensione panoramica, perché estende la sua interrogazione a tutte le questioni relative alla realtà delle nostre credenze religiose.
Tutto oggi è investito da una problematica inesorabile, che sembra scoraggiare la nostra pretesa di darvi, in qualche adeguata misura, una sufficiente e persuasiva risposta.
Il dubbio nostro, da interiore che era, si fa esteriore.
È come se il nostro cammino, anche se franco e coraggioso, procedesse all'oscuro.
Il dubbio da psicologico si fa ontologico.
Il problema della verità assale la nostra conoscenza, non più solo nella sua capacità di afferrare la realtà, ma nella effettiva conquista e nella concreta definizione, che noi diamo di questa realtà.
Anche su questo fronte la mentalità moderna, riferita alla religione, sembra vacillare nelle tenebre: che cosa c'è mai di vero - esso commenta - in questo campo misterioso?
Ma è interessante notare due cose: triste l'una, felice l'altra.
E cioè: la mentalità moderna rifugge, non certo a suo merito, da quella esposizione della verità religiosa, che nel linguaggio del nostro sistema, chiamiamo apologetica.
La difesa logica e programmatica della religione non ci trova ascoltatori attenti ed assidui.
La nostra religione non potrà invece fare a meno, in qualunque momento del suo contatto col nostro spirito, di giustificare se stessa con titoli probativi, anche di fronte alle controversie avversarie; noi dobbiamo essere, dice S. Pietro nella sua prima lettera, « sempre pronti a dare soddisfazione a chiunque ( ci ) domandi ragione della ( nostra ) speranza » ( 1 Pt 3,15 ).
L'apologetica rimane, e non rifiuta il suo indispensabile e tacito servizio, anche quando non è esplicitamente richiesto; ma oggi nel campo religioso non tanto si preferisce il ragionamento quanto l'esperienza.
Lo spiritualismo carismatico è preferito al dogmatismo razionale.
E non saremo noi a svalutare questa possibile e mirabile via di ricupero della verità religiosa, purché questa via stessa sia autentica; a questo proposito ascoltiamo S. Paolo, il dottore dei carismi: « Fratelli, cercate pure di profetare, e non vogliate impedire che si parlino le lingue; ma tutto si faccia decorosamente e con ordine » ( 1 Cor 14,39-40 ).
Ed è questa la seconda cosa interessante: la nuova generazione della gioventù, cosciente delle profonde esigenze del pensiero, disillusa del materialismo imperante, e tanto più avida d'una certezza, che sia pane del suo spirito, quanto più la certezza scientifica vi celebra un indiscusso trionfo, che però non lo sazia, ma più lo affama, aspira alla verità, inconsciamente forse a quella Verità, che Cristo ha messo nella propria definizione: « Io sono la via, la verità e la vita … » ( Gv 14,6 ); « Io sono la luce del mondo … » ( Gv 8,12 ).
Bisogno di verità? allora sorge il quesito dell'autenticità, che oggi come un ricorrente luogo comune mentale assilla l'uomo moderno, il quesito della « verità vera ».
Tanta è la facilità dello spirito umano a lasciarsi ingannare, « immagini di ben seguendo false » ( Dante, II, 30, 131 ), che l'atteggiamento critico, anch'esso caratteristico dell'odierno pensiero, sembra precludere la fiducia di mai raggiungere la « verità vera », cioè quella autentica, comprovata dai titoli inoppugnabili, che la dicono pari alla realtà.
Ebbene, si prenda atto dell'ottimismo del pensiero cattolico.
Esso è sicuro, per dono di Dio, dell'autenticità delle sue privilegiate conquiste.
La commemorazione recente del settimo centenario di S. Tommaso d'Aquino, ce ne ha ripetuto la perenne certezza; ne dovremo presto riparlare.
Bisogna ritornare alla scuola, come a quella di altri sapienti del suo e del nostro tempo per riacquistare arte e fiducia dell'intelligenza umana: travaillons donc à bien penser … ci esorta Pascal.
Ancora due parole, anch'esse suggerite dalle cronache del nostro tempo in ordine all'autenticità del nostro pensiero, in ordine a quello religioso.
Si è parlato della fede, come unica base della nostra certezza religiosa; sola fides, insegnava la tradizione protestante; e per la fede: sola scriptura, rifiutando così la Tradizione ed il Magistero ecclesiastico.
Ricordiamo, invece, per ricorrere subito alla soluzione che ci interessa, le parole del recente Concilio: « la sacra Tradizione, la Sacra Scrittura, e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l'azione d'un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime » ( Dei Verbum, 10 ).
Siamo gelosi di questa autenticità della nostra dottrina, che deve essere la base del nostro pensiero e della nostra vita; e non crediamo che l'autenticità immobilizzi la ricerca, cioè la facoltà di studio e di approfondimento della verità religiosa; essa piuttosto è la riserva e lo stimolo del nostro amore per la divina Sapienza, la quale, come dice S. Agostino: « amore petitur, amore quaeritur, amore pulsatur, amore revelatur … » ( S. Aug. De Mor. Ed. cath. 1, 17, 31: PL 32, 1324).
Con la nostra Apostolica benedizione.