11 Dicembre 1974
Quando sul quadrante del nostro calendario ritorna il Natale una questione si presenta allo spirito dell'umanità: dunque Gesù: chi era Gesù?
La nostra fede esulta, e grida:
è Lui, è Lui, il Figlio di Dio fatto uomo;
è il Messia che aspettavamo:
è il Salvatore del mondo,
è finalmente il Maestro della nostra vita;
è il Pastore che guida gli uomini ai suoi pascoli nel tempo, ai suoi destini oltre il tempo,
è la gioia del mondo;
è l'immagine del Dio invisibile ( Col 1,15 );
è la via, la verità, la vita ( Gv 14,6 );
è l'Amico interiore ( Gv 15,14-15 );
è Colui che ci conosce anche da lontano ( Cfr. Gv 1,48 ); sa i nostri pensieri ( Lc 6,8; Gv 2,25 );
è Colui che ci può perdonare ( Mt 9,2 ), consolare ( Gv 20,13; Mc 5,39 ), guarire ( Lc 6,19 ), risuscitare perfino ( Lc 7,14; Mt 9,25; Gv 11,43 );
ed è Colui, che ritornerà, Giudice di tutti e di ciascuno ( Mt 25,31 ), o nella pienezza della sua gloria ( Ibid. ) e della nostra eterna felicità.
E questa litania potrebbe continuare, assumendo l'onda d'un canto cosmico, senza fine e senza confine ( Cfr. Col 2 ).
Ma esplosa la nostra anima in questo inno di gloria e di fede, possiamo noi dirci del tutto soddisfatti?
o non rimane in fondo al nostro spirito un bisogno di conoscere meglio, di dire di più?
Certamente, perché Gesù Cristo è mistero, cioè un Essere che supera la nostra capacità di comprendere e di esprimere; Egli c'incanta, ci inebria, e proprio così ci istruisce circa i nostri limiti e circa le necessità di studiare ancora, di approfondire di più, di esplorare meglio « quale sia la larghezza, e la lunghezza, e l'altezza, e la profondità » del suo mistero ( Cfr. Eb 3,13 ).
Questo è l'invito che ogni anno la Chiesa propone ai fedeli, iniziati alla scienza della divina rivelazione, invito che non ci distoglie dalla visione e dal godimento del quadro delizioso e ingenuo dei nostri presepii, né dalla serena e lieta conversazione della festa domestica.
Che cosa v'è di più umano, di più bello, di più autentico che una celebrazione del Natale, come questa, in cui, per chi ha l'intelligenza della fede humana et divina iunguntur, le realtà umane e quelle divine si toccano e insieme si fondono?
Proponiamo dunque a noi stessi di dare al Natale il senso d'una ricorrente iniziazione alla comprensione, per quanto è possibile, alla dottrina su Cristo, nella sua duplice fondamentale questione: chi è veramente Gesù? ( ecco la cristologia ); e, seconda questione, che cosa significa la sua venuta fra noi; che cosa ha fatto Gesù? ( ecco la soteriologia, cioè, la dottrina della salvezza operata da Lui ).
Facciamo l'ipotesi che nessuna vana opinione, nessuna falsa teoria sia venuta a turbare la nostra fede in Gesù Cristo nostro Signore; noi proveremo allora tanto di più il desiderio e la pienezza, con la relativa gioia spirituale, di far risuonare nelle nostre anime le gravi, precise, solenni definizioni, che la Chiesa, con faticoso travaglio e con immenso ed unico amore di verità, ha formulato per il nostro pensiero, la nostra preghiera e la nostra conseguente condotta.
Rileggiamone una di queste formule, che altro non è se non il commento alla sentenza evangelica: « il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi » ( Gv 1,14 ); e suona così: « Gesù Cristo … è Dio vero e uomo vero » ( Denz-Schòn. 301-302 ).
Questa è la vera definizione di Lui, è per noi la vera teologia.
Restare ancorati a questa interpretazione di Gesù è la nostra fede, è la nostra sicurezza.
Essa non duplica la figura di Gesù, quasi che il Gesù del Vangelo sia diverso dal Gesù dell'autentica dottrina teologica, ma difende gelosamente il tesoro misterioso di verità, che è in Lui e ci autorizza a penetrarne la profondità;
essa non esaurisce la nostra avidità di ricerca e di sapere, ma le apre la strada e la guida;
essa non inaridisce il linguaggio del cuore e della poesia, ma lo provoca e lo accende;
esso non inorgoglisce il nostro pensiero, ma piuttosto umilmente lo innalza al piano della comunione con i fratelli in unica armonia di fede e di carità.
Ma purtroppo sappiamo che ancora oggi, e forse oggi più che mai, Cristo Gesù, quale la Chiesa lo confessa e lo esalta e lo difende e lo ama, è « oggetto di contraddizione: signum cui contradicetur » , come disse a Maria, nell'atto della presentazione di Gesù al tempio il vecchio Simeone.
Tutta una letteratura erudita e talora artistica, dal secolo scorso ad oggi, si è affaticata a vivisezionare il Vangelo per mettere il dubbio su Gesù, perfino su la sua esistenza: « Se Cristo sia o no esistito, non verrebbe a nessuno in testa di domandarlo, se per spingerlo a questa domanda non l'oscurasse il desiderio della ragione, e cioè che Cristo non fosse » ( Cfr. D. Merezkovkskij, Gesù Sconosciuto, 8 ).
E questa osservazione radicale ci dà la chiave per valutare gran parte di codesta letteratura, anche moderna; essa parte da presupposti soggettivi, sotto i quali piega la schietta e obbiettiva testimonianza del Vangelo.
L'ipotesi, l'opinione, l'artificio letterario, ambiguità scientifica, la subdola lode umanistica, la superficialità sentimentale, la trovata esegetica o ermeneutica, o quale altro virtuosismo, proprio di chi sostituisce un libero esame alla meditata e ispirata riflessione del magistero preposto da Cristo stesso alla divulgazione del suo Vangelo, conducono il lettore, diventato inconsciamente discepolo, a fermare lo sguardo su quel certo aspetto opaco ( pur irradiante di luce e di segni ), di cui Gesù ha voluto rivestire la sua presenza nel mondo, affinché la visione vera e penetrante di lui rimanesse nell'economia della libertà e della grazia, così che « videntes non vident et audientes non audiunt; coloro che guardano non vedono, e coloro che ascoltano non comprendono » ( Cfr. Mt 13,13ss; Gv 12,40 ).
Questo diciamo, Figli e Fratelli, col voto che il Natale sia per tutti voi epifania del Signore, cioè manifestazione autentica di Chi Egli è e di ciò che Egli ha operato per noi, risvegliando nei vostri animi il desiderio, il bisogno, il dovere di conoscerlo bene, di conoscerlo meglio, « nello Spirito e nella Verità » ( Gv 4,23 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.