8 Gennaio 1975
Uno dei temi generali prefissi alla celebrazione dell'Anno Santo è quello del rinnovamento spirituale.
La scelta di questo tema sembra motivata da una necessità di prima evidenza: sempre la vita cristiana ha bisogno d'essere richiamata a rinnovarsi; anche essa, come tutte le cose umane, è esposta al decadimento, all'invecchiamento; il tempo consuma le energie spirituali più e prima di quelle fisiche, e ciò specialmente nelle espressioni morali e religiose del costume, che spesso sopravvive nelle forme esteriori e consuetudinarie, mentre perde coscienza e forza nei suoi principii originari.
Perciò il rinnovamento è una esigenza ricorrente della vita: lo è per questo suo fatale esaurimento provocato dal passare del tempo; se lo è anche per un altro positivo principio, quello del progresso, di cui l'uomo è suscettibile, e le sue istituzioni con lui.
Decadimento e progresso determinano un movimento vitale nella storia e nella vicenda umana; e questo movimento si produce anche nella vita cristiana; e noi lo chiamiamo rinnovamento.
Un terzo principio, esteriore questo, ma spesso prevalente e determinante, reclama il rinnovamento, ed è il confronto del proprio modo di pensare e di vivere con l'ambiente culturale e sociale, il quale suggerisce, impone quasi, una conformità, ovvero, per alcuni, un conformismo, al quale uomini ed istituzioni facilmente si arrendono: è la « moda », non solo delle vesti, ma della cultura generale, che reclama una modifica, un rifacimento, e, nel senso buono, un « aggiornamento », cioè un perfezionamento, che tenga conto della maturazione di nuove circostanze.
Osserviamo subito che questo fenomeno non è di per sé contrario ad un altro fenomeno, che sembra contraddirlo; e cioè la tradizione, sia per ciò che riguarda i valori permanenti della verità e della vita, e sia per la sintesi che una tradizione coerente può produrre fra tali valori e la loro espressione e combinazione con nuove forme di umana esperienza.
L'analisi di questo tema ci porterebbe lontano.
Noi fermiamo ora la nostra attenzione a quanto interessa il rinnovamento reclamato dall'Anno Santo.
Vorremmo innanzi tutto osservare che non si tratta d'un tema artificiale o particolare, ma che esso è suggerito dalla connaturalità del nostro programma di rinnovamento, primo, con quello generale del mondo e della civiltà; secondo, che il Concilio ecumenico stesso, questo grande avvenimento nella storia della Chiesa, si è prefisso un rinnovamento, non certo, come alcuni incautamente hanno supposto, nelle verità della fede, né nei principii costituzionali della Chiesa stessa, e nemmeno nelle norme fondamentali della vita morale.
Vale la pena di risalire alle origini e all'essenza della vita cristiana per renderci conto della vera natura del rinnovamento, che andiamo auspicando e promovendo.
A questo fine noi ci riporteremo alle parole di San Paolo, il quale, scrivendo agli Efesini, ci offre una formula, che faremo bene a mettere alla base del nostro rinnovamento: « Questo dunque io dico, e vi scongiuro nel Signore di non vivere più come vivono i pagani nella vanità della mente loro, che ottenebrati nell'intelligenza, sono fatti estranei alla vita di Dio … Ma voi non così avete imparato ( da ) Cristo, … e siete stati ammaestrati, conformemente alla verità che è in Gesù, a deporre, rispetto alla vostra vita di prima, il vecchio uomo che si corrompe per le passioni ingannatrici, e a rinnovarvi nello spirito della vostra mente, e a rivestire l'uomo nuovo, quello creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità » ( Ef 4,17-24 ).
Questa la formula: occorre una mentalità nuova, una autentica mentalità cristiana.
Questa è la prima riforma, la più personale, la più importante, ed anche la più difficile.
Noi possiamo domandare a noi stessi, alle nostre coscienze:
penso io da cristiano?
la mia mentalità deriva dalle verità, che Cristo ci ha insegnate?
o non siamo piuttosto facilmente predisposti a erigere la nostra personale mentalità al comando dei nostri pensieri, dei nostri giudizi, e quindi delle nostre azioni, con un grado di autonomia che non ammette spesso né soggezione, né confronti?
« Io la penso così », dice ciascuno, e trova in questa auto-opinione a giustificazione di ogni comportamento della sua personalità.
Possiamo noi essere sicuri che questa mentalità soggettiva e personale è conforme a quella che deve avere un cristiano?
abbiamo noi, da noi tessi, l'intuizione del vero e del giusto, così da rivendicare, di fronte ad ogni richiamo del magistero cattolico, una legittima autonomia?
E gelosi come siamo della nostra indipendenza, della nostra libertà, possiamo davvero sostenere che la nostra mentalità è libera?
O invece non dobbiamo ammettere che a formare questa mentalità entrano, in folla, altri fattori che non il nostro proprio cosciente giudizio?
Chi non vede come il nostro modo di pensare, e quindi di vivere, è soggetto a soverchianti influssi dell'ambiente, dell'opinione pubblica, dei mezzi di comunicazioni sociali, e spesso di interessi personali, o di stimoli passionali, tutt'altro che fautori della nostra vera libertà?
Certamente noi non potremo sottrarci da tali influssi, ma dovremo pur mantenere un giudizio critico sopra di essi, e dovremo con vigorosa libertà interiore domandare a noi stessi:
è cristiano tutto questo?
è e rimane cristiana la mia mentalità?
La questione è così importante, che esigerà da noi qualche altra considerazione.
Ma per ora ci basti riaffermare quanto abbiamo detto, auspice l'Apostolo: se vogliamo che il Concilio, e ora l'Anno Santo, non siano vani episodi nello svolgimento della nostra vita, dobbiamo immettere in questa vita una nuova, o rinnovata mentalità; la mentalità cristiana.
Con la nostra Apostolica Benedizione ( Cfr. etiam 2 Cor 4,16; Col 3,10; Tt 3,5; etc. ).