22 Gennaio 1975
Noi parliamo ancora del rinnovamento che l'Anno Santo dovrebbe portare con sé, nelle singole persone e nei popoli.
Rinnovamento: la parola è chiara, ma il suo senso è oscuro.
È oscuro perché è difficile stabilire a che cosa esso si riferisce.
Viene spontaneo pensare: si riferisce a tutto; tutto ciò che il mondo è, tutto ciò che il mondo ha, tutto ciò che il mondo fa, tutto dovrebbe essere rinnovato.
Visione magnifica, ma non priva di motivo di gravi inquietudini.
Perché essa significa che tutto è imperfetto, tutto è disordine:
anzi significa che tutto quanto l'uomo ha compiuto, specialmente in questi ultimi secoli di meravigliose operazioni, tutto il progresso moderno, che ha inondato la terra di prodigiose conquiste, in ogni campo dell'attività umana, non ha saziato che parzialmente i bisogni e i desideri dell'umanità,
anzi ha denunciato enormi miserie, enormi ingiustizie, enormi necessità;
ha risvegliato inoltre la coscienza delle disuguaglianze sociali, delle arretratezze della maggior parte della gente, della fame di pane, di cultura, di diritti, una fame finora sofferta ed assopita, oggi diventata crudele e intollerabile.
Anzi: fenomeno sconvolgente:
il bisogno di avere di più,
di avere qualche forma nuova e superiore di vita, si è pronunciato più avido e insaziabile nei ceti favoriti dal progresso che non nell'umile gente, quantunque anche questa sia diventata inquieta, e piena di proteste e di rivendicazioni,
quasi a dimostrare, da una parte, che nessuna prosperità vale a placare l'insaziabile brama di essere, di avere, di godere, ma produce un più tormentato desiderio d'altra cosa, d'altra esperienza, che non quella posseduta;
e dall'altra parte, che l'ordine, così detto, risultante dal progresso economico e sociale del nostro tempo, documenta un disordine iniquo, per la disuguale distribuzione dei suoi vantaggi,
per la sua radicale insufficienza quantitativa e, a bene osservare, anche qualitativa, a rendere tutti gli uomini felici, o almeno a soddisfare per tutti certi radicali bisogni, assurti al livello di diritti, a cominciare dalla dignità della persona umana, qualunque essa sia, e poi per passare subito alla libertà e a un sufficiente benessere.
Da questa gigantesca ed amara esperienza ecco allora spuntare fenomeni strani e negativi:
la sfiducia, fino alla contestazione, alla rivoluzione;
l'odio sociale, fino alla sua istituzionale espressione fra classi, partiti, tribù, popoli, civiltà;
la noia, e il disgusto cinico della vita,
l'indifferenza ideologica,
lo scetticismo scambiato per liberalismo speculativo,
il pessimismo raffinato e totale, cosmico,
si direbbe una specie di suicidio intenzionale dell'uomo idealizzato, come fosse una bugiarda e pericolosa utopia;
ed il ricorso pseudo-sapiente, ma in realtà folle e disperato, al piacere istintivo e immediato,
all'edonismo egoista ed insieme calcolatore dei mezzi inumani per pianificare e per limitare le statistiche dell'umanità crescente.
Questo è il mondo? diciamo: certi aspetti, pur troppo, del mondo; ma non tutto il mondo, ch'è ancora pervaso da una grande ed energica speranza, che sembra interpretare la profezia della storia: il mondo può rinnovarsi, ancora e sempre.
Ma come? e questa domanda è fecondissima di risposte; ma le risposte non sono meno feconde di altri travagli e delusioni.
Vi è una via di soluzione? una teoria, che merita preferenza?
Una interpretazione, che ricomponga il disegno ideale della vita umana e la conduca ai suoi veri e migliori destini?
Noi crediamo che sì.
E diciamo questo senza intenzioni polemiche, né con ricorso a formule magiche e trionfaliste.
Noi crediamo nel Vangelo di Cristo, e noi sappiamo di potervi attingere il principio dell'autentico rinnovamento.
Per questo lo predichiamo in questo fortunato periodo dell'Anno Santo.
Il principio del rinnovamento ( un principio, ché altri vi sono ), è proclamato nell'antica e sempre viva parola di Gesù; questa: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato per giunta » ( Mt 6,33 ) Parola nota.
Ma essa non ha finito di echeggiare nella coscienza dell'umanità, pensosa e volonterosa.
È parola attuale.
È parola premente, forse indarno, ahimé, nella così detta « stanza dei bottoni », cioè nei centri direttivi, dove maturano le somme decisioni per la guida dei popoli.
Essa ha questo, a noi pare, di caratteristico e di imperativo: bisogna stabilire una scala dei fini, ai quali l'uomo può e deve rivolgersi.
Al sommo della scala sta « il regno di Dio e la sua giustizia»; se questo fine è negletto, o negato, la scala si scompone; non si sa più realmente per Chi e perché l'uomo vive.
Al posto del primo fine, ch'è per noi il primo valore, subentrano altri fini, altri valori; i quali possono, sì, potenziare l'attività umana e quindi darle grande energia e molta capacità operativa, ma alla fine senza ciò che più conta: l'ordine vero, la sapienza, la felicità, la pace; e quell'inestimabile dono di compenso ad ogni presente deficienza, di sicurezza, di gioia di lavorare e di vivere, che è la speranza escatologica, cioè la certezza d'una vita futura.
La ricerca prioritaria del regno di Dio e della sua giustizia produce nella coscienza dell'uomo il confronto fra i beni a cui l'uomo può aspirare, e sposta l'asse dell'interesse dominante e direttivo delle sue intenzioni, un asse che ha la sua base nel suo cuore, ed il termine nel mistero luminoso e polare della Paternità divina, mentre il suo itinerario fra l'uno e l'altro cardine è nella giustizia, cioè nella derivazione logica dell'arte di vivere umanamente, come Cristo ci ha insegnato, nell'amore e nel sacrificio.
Deriva da questa concezione il rinnovamento della nostra filosofia della vita, con una prima conseguenza: un distacco, una liberazione, una relativa svalutazione dei beni temporali, della ricchezza, dell'auri sacra fames, che fa gli uomini egoisti, e spesso ingordi e crudeli, nemici fra di loro, sfruttatori e antisociali;
deriva quella « povertà di spirito », proclamata dal Vangelo, la quale non troverà sulla terra alcun suo adeguato complemento, ma che meriterà a chi la possiede di gustare con temperato giudizio anche le cose di questo mondo, e di farne allo stesso tempo sentiero di ascensione al Bene sommo, ch'è solo degno d'essere conquistato e posseduto, il « regno dei cieli ».
Quella « povertà di spirito », che ci rende ricchi e premurosi per i fratelli bisognosi e sofferenti, e ci predispone anche a quelle innovazioni economiche e sociali, che siano atte a portare migliore giustizia, maggiore fraternità sulla terra.
Comprendere la sapienza di questo rinnovamento, chi oggi lo può? chi lo vuole?
Difficile dire: il mondo spesso non ne vuole sentir nemmeno parlare.
Ma i « figli del regno », sì, lo possono; sì, lo vogliono!
Non è vero, fratelli?
Con la nostra Benedizione Apostolica.