23 Aprile 1975
Non possiamo, Fratelli e Figli carissimi, non dobbiamo staccare il nostro pensiero, in questo periodo successivo alla Pasqua, dal fatto, dal mistero della risurrezione del Signore.
Questo avvenimento è capitale per la nostra fede.
Lo afferma San Paolo in forma categorica: « Se Cristo non è risorto, è vana la nostra predicazione, è vana la vostra fede » ( 1 Cor 15,14 ).
La risurrezione di Gesù è la base, è il cardine della nostra religione.
È importantissimo che la nostra convinzione a tale riguardo sia chiara, ferma e sicura.
Noi istintivamente, come già l'ambiente giudaico nel quale quel prodigio si verificò, non saremmo predisposti ad ammetterlo come storico, come vero, come reale.
Dubitarono perfino gli Apostoli al primo annuncio della risurrezione del Signore; essi, che ne avevano avuto i! preannuncio ripetuto dalle parole del Maestro ( Mt 16,21; Mt 17,23; Mt 20,19 ); essi pure volevano, come Tommaso, la prova dei sensi, la quale fu pure più volte concessa in modo imprevisto e privilegiato ( Lc 24,7; Lc 24,24ss; etc.; Gv 21,7.12; At 1,3; At 10,41 ), ripetuto, ed esteso anche a molti ( 1 Cor 15,6 ); a S. Paolo personalmente anche dopo l'Ascensione ( 1 Cor 15,8 ).
Ma Gesù voleva instaurare con i suoi seguaci un rapporto diverso da quello ordinario della nostra vita temporale, il rapporto della fede, generata nel credente dapprima per via di adesione ai primi testimoni oculari della risurrezione, e qualificati fra questi gli Apostoli ( Cfr. At 1,8.22; At 2,32; At 3,15; etc. ); ed anche poi per via, misteriosa questa, della grazia, cioè dell'azione dello Spirito: la fede è un dono di Dio.
Merita uno studio speciale questo nostro rapporto col Signore, il rapporto della fede, intesa nel suo significato religioso, autentico e soprannaturale; metteremo perciò fra i nostri propositi, suggeriti dalla celebrazione pasquale, quello di precisare nella nostra mente la dottrina della fede, quello di esigerla per noi genuina e sicura, quello di chiarire il concetto e la funzione della fede nel piano della nostra salvezza, specialmente al confronto delle controversie protestanti, moderniste e attuali, che pur troppo sono legione.
Con una conclusione, ormai ricorrente, circa la possibile, anzi facile e felice, concomitanza fra il sapere naturale, sensibile, psicologico, scientifico che sia, e la conoscenza mediante la fede.
Ritorna fortunatamente d'attualità nelle varie ed erudite commemorazioni che se ne fanno un po' dappertutto, un grande maestro del secolo scorso, convertito, mediante lunghe e finissime analisi del pensiero speculativo, morale e religioso, dall'Anglicanesimo al Cattolicesimo, John Henry Newman ( 1801-1890 ), il quale scrisse un libro, forse di non facile lettura, ma celebre, non solo per il suo tempo, ma per tanti suoi meriti ed aspetti anche per il nostro, intitolato Grammatica dell'assentimento ( Grammar of Assent, 1870 ).
Com'è noto, Newman fu Prete dell'Oratorio Inglese, e poi Cardinale; il suo nome ci richiama quello d'un altro Oratoriano, italiano questo, morto or sono dieci anni, lui pure Cardinale, Padre Giulio Bevilacqua, autore d'un libro, che nella bibliografia religiosa non dovrebbe essere dimenticato: La luce nelle tenebre, libro sofferto e profetico, non certo inutile per la discussione moderna sulla nostra fede.
Ritorniamo al nostro tema, quello della risurrezione di Cristo; e rileviamo un fatto che torna a proposito, il fatto, successivo alla risurrezione, della conoscenza di Lui, la quale si è aperta sulla verità di Cristo, resa cosciente, per quanto è dato alle nostre menti edotte dalla rivelazione, della sublime ed arcana teologia che lo riguarda:
le grandi lettere dottrinali di S. Paolo ( anteriori nel tempo, non al Kerigma cioè alla prima predicazione circa l'annuncio della buona novella, ma alla redazione dei Vangeli ), ci documentano il primo ripensamento, ispirato certo dallo Spirito Santo, su Gesti Cristo;
ripensamento non mitico, non enfatico, ma fedele alla verità vissuta e penetrante finalmente, dopo la risurrezione di Lui, nella sua realtà umano-divina, di cui la vita terrena di Gesù aveva, sì, lasciato trasparire delle misteriose e ineffabili visioni, come nella Parola di Lui, ovvero nella confessione di Pietro, o nella Trasfigurazione, ecc.;
ma senza che gli stessi Apostoli capissero compiutamente il divino segreto della loro incomparabile esperienza nella privilegiata conversazione con Cristo.
Capiscono dopo ( Cfr. i discorsi di Pietro negli « Atti degli Apostoli »; i discepoli sulla via di Emmaus; etc ).
E questo deve confortare assai la nostra condizione di discepoli postumi del periodo evangelico: l'intelligenza della fede può supplire, anzi superare la conoscenza diretta e sensibile della presenza storica e sperimentabile del Signore.
I Santi ce lo insegnano.
Siamo così, col pensiero riflesso, con la preghiera meditante, con l'amore vigilante anche noi presenti al Cristo risorto, che lasciando la scena terrestre ci ha promesso: « Io sono con voi » ( Mt 28,20 )
Con la nostra Apostolica Benedizione.