7 Maggio 1975
Quando noi cerchiamo di renderci conto della spiritualità di questo Anno Santo, ora penetrato in qualche modo nella nostra anima, nella nostra psicologia, ci accorgiamo che esso si impone come una grande esigenza; esso reclama non soltanto qualche riflessione e qualche atto religioso, accompagnato da un certo atteggiamento di umiltà penitenziale, ma domanda molto di più.
Molti di noi, facendosi pellegrini per l'acquisto dei benefici spirituali del Giubileo, si sono informati sommariamente delle condizioni apposte per tale acquisto, e hanno visto che, in fondo, tali condizioni non sono gravi; anzi hanno notato che le norme emanate dalla Chiesa dimostrano un'intenzione, che potremmo dire moderna, di facilità; il Giubileo è ridotto a ben poca cosa esteriore; richiede poco tempo, poco disturbo, poca fatica; confrontate le sue prescrizioni con quelle dei Giubilei d'altri tempi, esse sono ridotte a ben poca cosa; come tutto ai nostri giorni, esse « vengono a buon mercato ».
Basta inserirsi in qualche pellegrinaggio, e tutto viene da sé; nessuna spesa esosa e imprevista, nessun digiuno, nessuna veglia, nessuna forma e penitenza è tassativamente prescritta.
Sì, rimane l'incomodo del viaggio, con relativi disagi, ma ormai il turismo semplifica ed agevola tutto, e rende perfino piacevole e interessante questa escursione, la quale, tutto sommato, reca maggiore godimento, che fastidio; maggiore svago, spesso, che impegno.
Noi, che abbiamo la responsabilità generale del programma dell'Anno Santo, siamo ben felici d'aver reso possibile l'osservanza rituale e logistica del Giubileo, e d'averne appianata la via alle folle di semplici fedeli, ma dobbiamo ancora una volta richiamare l'attenzione sulla serietà di questo singolare e straordinario atto religioso, ch'è il Giubileo, facile, sì, facilissimo nella sua pratica esteriore, ma esigente nel suo compimento interiore.
Non è cosa da poco.
È un momento, dicevamo altra volta, un risveglio di coscienza, una presa di posizione spirituale a confronto col mondo paganizzante e irreligioso, da cui siamo circondati.
Anzi, continuando questo esame circa l'essenza e circa le condizioni del Giubileo, tutti vediamo d'essere di fronte a grandi difficoltà.
Provi ciascuno a chiedere a se stesso che cosa, nella sua realtà spirituale, vuole da noi il Giubileo: vuole da noi, innanzitutto, il ricorso alle fonti, ben note, ma in questo caso avvicinate con proposito di sperimentarne in profondità l'efficacia soprannaturale e trasformatrice, il ricorso cioè ai sacramenti, quello per ricuperare la vita della grazia, il sacramento della penitenza, e quello per alimentare tale vita col pane eucaristico, cioè con l'alimento sacrificale della comunione reale e misteriosa con Cristo vivente.
Il Giubileo vuole perciò da noi quella conversione, quella così detta metànoia, che deve rettificare la concezione, la direzione, la condotta della nostra vita; deve correggere la nostra mentalità, profana, sensuale, esteriorizzata, egoista ( Cfr. Ef 4,23 ); deve ricomporre e rendere operante la logica del nostro battesimo e del nostro cristianesimo ( Cfr. Rm 6,3; Gal 3,27 ); deve plasmare cuore contegno come quello d'un essere nuovo ( Cfr. 2 Cor 5,17 ); deve immunizzarci dal ricadere in nuove colpe ( Cfr. 1 Cor 5,7-8 ); cioè deve davvero rendere buona, onesta, pura, generosa, perseverante la nostra condotta ( Cfr. Ef 5,27; Ef 1,4; Col 1,22; 2 Pt 3,14; etc ); e deve infonderci il senso della solidarietà verso gli altri, specialmente verso quelli che hanno bisogno di aiuto e di bontà ( Cfr. 1 Cor 13,1ss ).
Dicevamo: il Giubileo è una cosa seria.
Sorge allora una obiezione scoraggiante: se tanto richiede quest'atto religioso riformatore e trasformatore, esso è troppo esigente, esso è troppo difficile.
Anzi: esso si riduce ad un gesto formale e velleitario; esso aggrava i nostri problemi di coscienza, non li risolve.
Non è un momento magico il Giubileo; non dev'essere un momento illusorio; esso non avrà altro risultato che quello d'inasprire l'esperienza della nostra incapacità a pareggiare nella condotta pratica e reale i propositi ch'esso ha ispirati, gli impegni a cui ci ha obbligati.
Fratelli! qui viene in luce un'altra scoperta, della quale tutti e da sempre conosciamo i termini, ma che non è mai abbastanza esplorata.
E cioè: noi scopriamo, sotto la pressione delle esigenze d'una vita nuova e autenticamente cristiana, la nostra congenita ed in certo senso inguaribile debolezza.
Noi non siamo capaci, con le nostre sole forze, d'essere ciò che dobbiamo essere, cioè fedeli, cioè cristiani.
Gesù ci ha preavvisato: « senza di me, voi non potete fare nulla » ( Gv 15,5 ).
La nostra vita non basta a se stessa.
Senza l'aiuto, immanente potremmo dire, di Dio, di Cristo, del suo Spirito, noi non sapremmo essere quello che dobbiamo essere: buoni, giusti, umani.
Abbiamo bisogno, di che cosa?
abbiamo bisogno della preghiera!
dell'invocazione d'un'energia divina che porti rimedio alla nostra pochezza.
Senza preghiera non avremo vita cristiana.
Lo sappiamo; ma se questo grande esame della nostra vita, ch'è il Giubileo, non ci avesse portato ad altra pratica e operante conclusione, quella della necessità della preghiera, assidua, genuina, vissuta, avrebbe raggiunto uno dei suoi più salutari ed alti scopi: la convinzione che dobbiamo pregare!
Anche la preghiera è, non solo un dovere, ma un'arte; e arte di grande qualità!
Mettiamo allora, a coronamento del nostro Giubileo, il proposito di rianimare con la preghiera la nostra vita, cominciando a pregare il Signore che sia Lui il nostro Maestro di preghiera: « Signore, insegnaci a pregare! » ( Lc 11,1 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione!