21 Maggio 1975
Fratelli carissimi!
Arrivati alla Pentecoste, camminando per l'aspra e lieta via dell'Anno Santo, arrivati, come dice S. Giovanni Crisostomo, alla « metropoli delle festività » ( PG 50,463 ), noi tutti, pellegrini Spirituali del Giubileo, non abbiamo potuto far sosta un momento, « come gente che pensa a suo cammino » ( Dante, II, 2, 11 ), per guardarci intorno da questa raggiunta sommità, e ci siamo subito sentiti inondare il cuore di gioia.
Perché non dirlo? perché non comunicare a tutta la Chiesa pellegrina nel mondo, su le strade faticose e fangose dell'esperienza moderna, questo sentimento, questo frutto dello Spirito Santo ( Gal 5,22 ), questo dono dall'alto, raggiunto percorrendo la nostra amata e misteriosa Via Crucis?
La gioia, la pace dell'anima, quella che il mondo non può dare ( Cfr. Gv 14,27 ), quella che non dipende esclusivamente dal godimento delle condizioni necessarie al benessere della vita temporale, ma che piove dalla sorgente prima della gioia, Dio beatitudine infinita, e che « nessuno ci può togliere » ( Cfr. Gv 16,22 ), perché non annunciarla una volta al mondo, che sembra preso dalla tenaglia d'un desiderio inestinguibile di gioia e d'una disperata convinzione di non potere raggiungerla?
Non è pessimista il nostro mondo? o non illude se stesso col surrogato del piacere di potersela procurare?
Perché non dare ai nostri fratelli in umanità la testimonianza che noi cristiani, che noi figli della Chiesa, se umili, se fedeli, noi siamo felici?
Sì, siamo felici, anche sotto il peso della croce, anche se la nostra croce, grave per l'imitazione e per l'amore che vogliamo offrire alla Croce di Cristo, è forse più sofferta di quella di chi cerca di scuoterla dalle sue spalle e di non volerne riconoscere l'intimo valore e il provvidenziale significato.
Per questo, Figli carissimi, abbiamo celebrato la festa di Pentecoste rivolgendo a voi, alla Chiesa e anche al mondo la nostra esortazione intitolata, dalle parole iniziali, Gaudete in Domino, cercando di ricordare a noi tutti, che, se siamo davvero cristiani e cattolici, dobbiamo essere immersi in un gaudio sempre nuovo e sempre vero, quello che proviene a noi dalla grazia dello Spirito Santo, e deve risultare dallo sforzo duplice di rinnovamento e di riconciliazione, il quale costituisce il capo primo del programma dell'Anno Santo.
Noi osiamo raccomandare a tutti la lettura, anzi la riflessione sopra questo documento.
Vi troverà le parole dell'evangelo e della sacra scrittura, dalle quali esso deriva la sua autorità, la sua teologia: può mai essere amareggiato da cattiva tristezza, chi vive di Cristo?
e di qui la sua filosofia, cioè la logica ragionevole, che ci convince a godere della fede, a respirare l'atmosfera dello Spirito, a interpretare sempre come valore positivo il quadro della creazione che ci circonda,
ed anche i dolori e le prove di « questa valle di lacrime »,
e a scoprire per di più nel senso escatologico della nostra esistenza, cioè dalla certezza
e dalla speranza d'una nostra vita personale al di là della morte temporale, una tale promessa di felicità, che non è vano balsamo nelle sofferenze presenti, non è un'illusoria « fuga in avanti » per sottrarci all'assillo spietato dei mali quotidiani, ma che ci avvalora a rimediarvi con fiduciosa pazienza e sapienza,
e che ci fa pregustare un conforto capace di rendere compossibili le pene della vita presente con la pacata, ma sincera, letizia, come altra volta dicemmo, della speranza che non delude ( Rm 8,24; Tt 1,2; Tt 2,13; etc. )
Leggete e meditate.
Non mancano certo insegnamenti e commenti a parola così bella, così legittima e oggi così opportuna ( Cfr. L. Bouyer, L'Eglise de Dieu, p. 308; e l'articolo di R. Manzini, Il bisogno di gioia, in « L'Osservatore Romano », 17 maggio 1975 ).
Gaudete, ripeteremo anche noi, in Domino semper ( Fil 4,4 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.