4 Giugno 1975

Fratelli,

Questa udienza, come le altre di questo stile, ci richiama ai grandi temi proposti alla riflessione per l'Anno Santo.

Uno di questi temi enuncia un programma difficile e complesso; è il tema sulla riconciliazione, la quale comporta il restauro dei nostri rapporti, con Dio dapprima; dice San Paolo: « Noi vi scongiuriamo in nome di Cristo, riconciliatevi con Dio ( 2 Cor 5,20 ).

Condizione assolutamente necessaria; è in questione la nostra salvezza.

Lo sappiamo; ma non avremo mai abbastanza approfondito in noi questa persuasione: dobbiamo rendere vitale e operante il nostro rapporto di grazia con Dio.

Dio è la vita!

Ma poi la riconciliazione reclama la normalizzazione dei nostri rapporti con il nostro prossimo.

E voi sapete quale ampiezza assume nel Vangelo questo termine: prossimo nostro, possiamo dire, oltre la cerchia delle persone per qualsiasi titolo a noi vicine, è l'umanità.

« Voi tutti, dice il Signore, siete fratelli » ( Cfr. Mt 23,8 ).

Il pensiero del Signore è largo come il suo cuore; è universale.

La recente festa di Pentecoste, e l'irradiazione del messaggio evangelico, che ne è seguita ce lo proclamano; è questa la grande nota originale del cristianesimo; questa religione di verità e di salvezza è per tutti ( Cfr. Col 3,11; Gal 3,28; 1 Cor 12,13ss; etc. ).

Se è per tutti, esige che tutti siano riconciliati fra loro.

Questa riconciliazione fondamentale ha un nome, altrettanto semplice a pronunciarsi, quanto difficile, in tante circostanze, a realizzarsi; è la pace.

Sì, la pace fra gli uomini, affratellati da una medesima fede, collegati da un sincero e indispensabile amore, associati tutti in medesimo corpo sociale, visibile e mistico insieme, la Chiesa.

Il discorso sulla pace è vasto come il mondo; investe tutti i problemi della vita collettiva, e, con maggiore evidenza e gravità, quelli della vita internazionale.

Limitiamo in questo momento il nostro discorso, con riferimento all'Anno Santo che stiamo celebrando, ad un punto solo: il nostro dovere verso la pace.

Dobbiamo stabilire intorno a noi la pace.

O ristabilirla se interrotta.

Subito sorge nel nostro animo la domanda: se la pace è dovere, che cosa intendiamo noi quando parliamo di pace?

Non è troppo semplice la solita definizione di S. Agostino?

Egli la condensa in queste parole piene di significato: « Pax … tranquillitas ordinis, la pace è la tranquillità dell'ordine » ( S. Augustini De Civit. Dei, 19, 13 ; cfr. etiam: Pax quid est? ubi nullum bellum est; Enarr. in Ps. 85,10 ).

Ma questa definizione riguarda l'ordine esteriore e politico; e sta bene.

Tuttavia non riguarda direttamente ciò che ora a noi preme considerare: l'ordine interiore e personale.

Perché la pace che innanzi tutto noi dobbiamo cercare, anche rispetto agli altri, è la pace del cuore, è quello stato d'animo di giustizia, di bontà, di serenità, che ci rende rispettosi e benevoli verso tutti, e toglie dal nostro animo quei sentimenti che interrompono la circolazione, almeno potenziale, dell'amore del prossimo.

La pace esige una sua psicologia, un suo spirito morale, che, prima di rivolgersi agli altri, si riflette sopra colui che vuole esercitare la pace.

Prima d'essere sociale, la pace è personale ( Cfr. 1 Cor 13,4-7, sulla carità ).

Ed è proprio questo spirito di pace, ch'è dovere di ogni vero seguace di Cristo.

È un frutto della carità.

Innanzi tutto:

la pace non è egoismo,

non è apatia,

non è disinteresse degli altri,

non è indifferenza verso le altrui sofferenze,

non è disprezzo per gli altri per il comodo proprio.

Quanta gente si dice pacifica, perché non si cura dei bisogni e delle disgrazie del prossimo, o perché rifugge dall'occuparsi delle questioni sociali.

Per di più, vi è una corrente filosofica, la quale ha avuto grandi firme a suo sostegno, che ha fatto dell'io, del soggetto individuale, del « superuomo », il centro trascendentale del pensiero e dell'azione, e quindi della prevalenza della propria personalità su quella altrui, fino ad affermare tale prevalenza in forme di antagonismo, di disprezzo, di lotta, di supremazia, donde la pace, quella fondamentale del cuore, è bandita, e lascia spazio interiore all'orgoglio, all'odio, alla violenza, alla vendetta, alla lotta sistematica, alla guerra perfino ( Cfr. per tutti, come espressione tipica ed estrema: Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza; Così parlò Zarathustra ).

La pace di Cristo! quale annuncio rinnovatore e consolatore al confronto con simili esplosioni della sfrenata energia della superbia e della passione umana!

È un confronto da fare, con umiltà e con saggezza, non per ricadere in arroganti e bellicose reazioni polemiche, ma per ricordare due cose.

La prima, che la pace, di cui il cristianesimo ci fa dovere interiore e personale, non è inerzia, non è immobilismo, non è possesso egoista, che idealizza condizioni di vita comoda e quieta; la pace, sì, è ordine, ma ordine applicato a ciò che vi ha di più mobile, qual è la vita umana: donde la pace, se la vogliamo vera e duratura, risulta vigile, attiva; una pace da produrre continuamente, con geniale amore e con laboriosa attività; bisogna non solo goderla, ma sempre cercarla, la pace ( Cfr. Sal 34,15: « inquire pacem et persequere eam: cerca la pace e corrile dietro » )

La seconda cosa da ricordare è il motivo religioso e cristiano che occorre mettere alla radice della pace: la stima e l'amore universale per l'uomo, come ci è insegnato da Cristo.

Tutto il Vangelo ce lo insegna; non dimentichiamo che questo è il motivo primo che rende facile il grande dovere della pace!

Con la nostra Benedizione Apostolica.