13 Agosto 1975
Ritorna il nostro pensiero, quando noi vogliamo determinare in che cosa consista quel rinnovamento che è stato prefisso come scopo religioso e morale dell'Anno Santo, il bisogno di ampliare la definizione di questo rinnovamento, e di dare una risposta a questa elementare domanda: in che cosa consiste il rinnovamento, che la Chiesa oggi ci raccomanda?
Ricordiamo d'averne accennato altre volte.
Si è parlato di « conversione » di metànoia, come si esprime il Vangelo ( Mc 1,15 ),
di riforma di mentalità ( Ef 4,23; Col 3,10 ) e
di costumi ( Col 3,12-15 );
cioè si è illustrata la pluralità di significati spirituali, che questa parola può assumere nel nostro linguaggio, e ancor più nel nostro modo di agire.
Noi vogliamo ricercare un significato, che può sembrare contraddittorio col senso letterale della parola « rinnovamento » quando ne risolviamo il contenuto essenziale in quest'altra espressione: per rinnovamento noi possiamo anche intendere un ritorno ai principii, che devono presiedere alla nostra vita; e ciò potrebbe far pensare che si voglia andare indietro, risalire a norme antiche e sorpassate della condotta umana, alle abitudini originarie del nostro costume.
Infatti il Concilio, parlando del rinnovamento della vita religiosa, comporta « il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti religiosi »; così è, e ciò vale anche per ogni forma essenziale della vita ( Cfr. Perfectae Caritatis, 2); ma poi il Decreto prosegue: … e comporta insieme « l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi ».
Il rinnovamento consiste perciò in due punti programmatici:
uno essenziale, che potremmo definire il restauro della propria identità, e deve per forza consistere in un confronto del presente con quel passato, che ha ragion d'essere per la fedeltà ai principii costitutivi della nostra personalità in ordine a Cristo, alla nostra scelta del suo Vangelo; lo potremmo anche dire, per semplificare i nostri concetti, il rinnovamento interiore;
l'altro punto programmatico riguarda piuttosto un rinnovamento esteriore, contingente; e si classifica con un termine diventato comune; si tratta dell'« aggiornamento », e mira preferibilmente al confronto della nostra stessa personalità con il modo presente e prossimo futuro preferibile per adattare lo stile della nostra vita cristiana alle ragionevoli esigenze reclamate dai tempi, dai nostri contatti sociali.
Potremmo esprimere in forma paradossale questo gruppo di pensieri: si tratta di ricominciare da capo.
Da capo la nostra maniera d'essere religiosi, d'essere fedeli, d'essere cattolici?
Ma questa ipotesi non giustifica, per caso, l'amara contestazione, diventata oggi di moda anche in certi ambienti ecclesiali, contro ogni maniera tradizionale di praticare la nostra fede?
e non apre così gli argini protettivi contro innovazioni arbitrarie d'ogni genere?
No certamente, soprattutto se questa maniera di pensare mirasse, come purtroppo alcuni pensano, a rendere più leggera, meno ascetica la professione cristiana e l'adesione al Vangelo di Cristo.
Cristo, è vero, ha reso nuovo, facile, felice, giocondo perfino il sentiero che segue i suoi passi; e dovremo spiegare altra volta come e perché.
Ma non dobbiamo mai dimenticare che Cristo è esigente, e che, come Lui dice, « augusta è la porta e stretta è la via che conduce alla vita » ( Mt 7,14 ).
Agli pseudo-giusti di quel tempo, nel grande discorso programmatico della montagna, risuonano queste sue parole: « se la vostra giustizia non sarà più abbondante di quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli » ( Mt 5,20 ).
Gesù aveva incominciato la sua predicazione messianica con un gesto d'inattesa e sconfinata umiltà, chiedendo al suo Precursore Giovanni il Battezzatore d'essere da lui battezzato, come ogni altro penitente che correva al Giordano, mentre sopra di Lui, l'Agnello innocente, non gravavano peccati propri, ma quelli altrui, quelli di tutta l'umanità;
Gesù s'impone: « A noi conviene di adempire ogni giustizia! » ( Mt 3,15 ).
E poi significative e riassuntive sono altre parole di Cristo, alla vigilia della sua passione, quasi per rilevare l'introduzione del sacrificio nella concezione comune della vita dei suoi seguaci: « Chi ama la propria esistenza, la perderà, e chi la sacrifica in questo mondo, la salverà per la vita eterna » ( Gv 12,25 ).
La vita cristiana è un dramma.
Non si può deludere l'impegno della croce ch'essa reca con sé.
È su questo punto che oggi la nostra riflessione circa l'Anno Santo, che stiamo celebrando, vorrebbe fermarsi.
Il nostro rinnovamento cristiano, a cui l'Anno Santo ci porta, esige questo senso forte del nostro cristianesimo.
Un cristianesimo vero, vissuto, primeggiante su ogni altro interesse, dev'essere il nostro piano di vita.
Questo vorremmo che rimanesse impresso negli animi di quanti celebrano l'Anno Santo; non si tratta solamente di partecipare a certi riti momentanei; si tratta di modellare in ordine ai riti stessi una forte e permanente concezione del nostro vivere.
Diciamo molto brevemente.
Primo: bisogna riconoscere a Dio, alla religione perciò il suo posto predominante ( Mt 6,33 ); a Cristo la sua solare funzione di « luce del mondo: chi cammina dietro a me, Egli ha detto, non cammina nelle tenebre » ( Gv 8,12 ).
Questa prima affermazione reclama la revisione del nostro modo di pensare in generale; e non è piccola cosa.
Secondo: bisogna restaurare in noi il senso del dovere, cioè il concetto dell'obbligazione morale, del bene e del male, dell'onestà e del peccato; noi oggi abbiamo così lasciato prevalere in noi il senso del nostro diritto e spesso della nostra indiscriminata libertà, che facilmente dimentichiamo altre basi morali, come quella del bene comune e con questa, nonostante tanto per essa si parli e si cerchi di cambiare il volto della società, la carità e la giustizia verso il prossimo, l'ordine civile, il progressivo servizio dei fratelli meno favoriti economicamente e fisicamente; ed avviene che la convivenza diventa una lotta, in cui l'egoismo individuale o collettivo prevale sul diritto altrui e sull'amore a quanti, perché uomini, ci sono fratelli, secondo il Vangelo.
E terzo: rovesciando il concetto autentico dell'amore che agli altri si dona in concetto di amore che rivolge a sé ogni interesse e ogni cura, vi è chi fa del piacere, e perciò talvolta della passione e del vizio, un titolo di liceità che ne consente il godimento distolto dalla sua onesta finalità, fino al campo dell'esperienza fisica e fantastica ( pensate a certa letteratura, a certi spettacoli, a certo gaudente edonismo ), che supera talvolta i limiti della dignità personale e della salute fisica.
Bisogna, anche in questo campo, che la permissività oggi di moda, priva di razionali e rigorosi confini morali, ritorni alla parola dell'Apostolo: « se voi vivrete secondo la carne, morrete; se poi con lo spirito mortificherete le azioni della carne, vivrete » ( Rm 8,13 ).
Che l'Anno Santo sia dunque per noi una palestra di formazione e di rieducazione ad essere, cristiani quali siamo, « santi e immacolati » ( Ef 1,4 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.