26 Novembre 1975
Chi ha seguito l'Anno Santo come una scuola rigeneratrice della vita cristiana si sarà accorto della serietà dei temi religiosi, morali e spirituali, che la sua celebrazione porta con sé, per due motivi principali;
dapprima per il suo orientamento verso l'essenza, la profondità, l'organicità della vita cristiana stessa, non vista, non celebrata in qualche suo particolare aspetto secondario e esteriore, ma studiata nei suoi principii fondamentali, nei suoi nodi intrinseci e problematici;
e perseguita nella sua logica totale, che la congiunge alla coscienza dapprima, e quindi al mondo divino e all'intreccio sociale, in cui essa, la vita cristiana, realmente si trova e si svolge.
Ricerca cioè dell'essenza, della realtà del fatto religioso, che cristiani ci definisce.
Questo è il primo motivo della serietà del momento spirituale, che chiamiamo Anno Santo.
L'altro motivo, che conferisce serietà all'Anno Santo, è la sua tendenza, la sua finalità a stamparsi negli animi come momento decisivo, definitivo, permanente; esso mira a diventare programma, a rettificare il corso futuro dei nostri anni, ad alimentare di idee, di propositi, di grazie la vita successiva, che la Provvidenza ci concede.
Questo diciamo a guisa di prefazione al tema, che oggi proponiamo alla considerazione dei vostri animi aperti ad una forte e severa lezione, che l'Anno Santo ci ha già annunciato con le sue pratiche religiose penitenziali, e che noi oggi condensiamo nel nome doloroso, austero, ma irradiante della Croce.
Non possiamo trascurare questo tema; anch'esso tema centrale, tema sovrano nel disegno del cristianesimo: la Croce di Cristo.
Come sappiamo, San Paolo ancora ai primi cristiani, reclutati con l'annuncio del Vangelo, la buona novella, e convocati all'appartenenza della società dell'amore, la Chiesa, raccomanda gravemente: « non sia resa vana la Croce di Cristo, non evacuetur Crux Christi » ( 1 Cor 1,17 ).
E osserva come questo tema qualificava di stoltezza la sua predicazione.
« Noi annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i Greci » ( 1 Cor 1,23ss ).
Ed è questo un fenomeno ricorrente, sia nella storia della Chiesa, sia nella psicologia della vita umana: quello di eludere la presenza della Croce, di togliere dalle leggi della vita il dolore e il sacrificio.
Un'osservazione a questo punto ci sembra capitale:
noi sappiamo benissimo che Cristo ci ha redento con la sua Croce, con la sua passione e morte;
e siamo disposti a percorrere pii e commossi la Via Crucis, la sua via della Croce;
ma non siamo altrettanto disposti ad ammettere che la Croce di Cristo si riflette sulla nostra vita,
la quale ne resta segnata non solo per la salvezza che dalla Croce di Cristo scaturisce,
ma altresì per l'esempio ch'essa riverbera sul nostro modo di concepire la vita, e, ciò che più è,
per la partecipazione ch'essa reclama da ciascuno di noi,
come ancora c'insegna S. Paolo: « Io mi rallegro, egli scrive ai Colossesi ( Col 1,24 ), nelle sofferenze ch'io patisco per voi, e completo nella mia carne quello che manca delle sofferenze di Cristo, a vantaggio del corpo suo, che è la Chiesa ».
Si, il cristiano deve in qualche forma e in qualche misura portare la Croce del Signore.
Innanzi tutto con la comprensione del « mistero della Croce ».
Comprensione? diciamo meglio: riflessione, adorazione, amore;
non lo potremo mai esplorare a fondo questo mistero, mediante il quale Cristo, agnello, vittima per la nostra salvezza, si è immolato ed ha compiuto la strepitosa metamorfosi, facendo della sua morte principio della sua e della nostra futura risurrezione ( Cfr. Fil 2,5ss ).
Ma in questa straordinaria meditazione, noi faremo un'altra scoperta incomparabile, quella della filosofia del dolore; del valore che può assumere la sofferenza umana, dell'« utilità » del nostro patire se congiunto idealmente e cordialmente al patire di Cristo.
Utilità per noi stessi: come disciplina dei disordini ideologici e passionali che ciascuno sperimenta in se stesso ( Cfr. Col 3,5; Rm 8,13 ).
È la pedagogia della mortificazione e della penitenza, che deve dare alla nostra arte di vivere l'energia della libertà interiore e dell'autopadronanza, la virile fortezza che ci rende idonei all'esercizio d'ogni virtù ( Cfr. S. Thomae Summa Theologiae, I-IIæ, 61, 3-4; II-IIæ, 123 ).
Utilità per gli altri: la croce diventa amore, di servizio, di pazienza, di sacrificio per l'altrui bene.
È l'esempio, e l'oblazione, che può dare anche alla più umile vita la nobiltà e il valore della carità, della santità.
E che di questa nostra « simpatia » per la Croce di Cristo vi sia oggi bisogno ce lo ricorda la tentazione, forse la più aggressiva, del tempo nostro, l'edonismo, cioè il benessere, il divertimento, il piacere, la licenziosità, il vizio, sollevati all'onore abusivo di finalità primarie dell'umana esistenza.
Oggi troppi vogliono essere felici non già della felicità della buona coscienza e dell'impegnativo lavoro, ma felici del godimento delle cose e del tempo.
Si cerca il facile, il sensibile, il piacevole, l'istintivo, come espressione ideale della vita; e con quali degradanti conseguenze è purtroppo a tutti consentito di vedere.
Che l'Anno Santo ci infonda invece la sapienza, la gioia e la forza di portare in noi la Croce di Cristo.
Con la nostra Apostolica Benedizione.