31 Dicembre 1975
Eccoci di nuovo in conversazione con i Visitatori della nostra Udienza generale settimanale.
È finito l'Anno Santo, ma la vita continua; anzi essa vorrebbe derivare da quel momento di pienezza spirituale e di impegno morale, ch'è stato l'Anno Santo un certo logico orientamento ed una certa feconda ispirazione.
Noi cominceremo col dire a voi, Fratelli e Figli carissimi, che oggi siete accorsi a questa Udienza, che noi non vi consideriamo visitatori tardivi ed esclusi da quella perfetta comunione, a cui questo familiare incontro è sempre destinato.
Vengono alla nostra memoria le parole di San Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi, le quali risuonano piene di affettuosa accoglienza: « … il nostro cuore si è tutto aperto per voi … Io parlo come a figli; rendeteci il contraccambio; aprite anche voi il vostro cuore » ( 2 Cor 6,11-12 ).
Dunque, anche nelle nuove circostanze, il discorso continua, e vuole riallacciarsi a quella espressione programmatica, che venne alle nostre labbra proprio alla chiusura dell'Anno giubilare, quando esortammo tutti a promuovere, quasi a suo felice coronamento, « la civiltà dell'amore ».
Sì, questa vorrebbe essere, specialmente sul piano della vita pubblica, la conclusione dell'ora di grazia e di buon volere, che fu l'Anno Santo, anzi il principio della nuova ora di grazia e di buon Volere, che il calendario della storia ci apre davanti: la civiltà dell'amore!
Da quale pensiero cominciamo?
Non presiede a questo nostro colloquio un disegno razionale e organico.
Dovremmo, in questo caso, cominciare da Dio, ch'è Lui stesso Amore ( 1 Gv 4,16 ), per infinita eccellenza, e che dell'amore a Lui ci fa precetto primario e totale ( Cfr. Mt 22,37 ), come dell'amore al prossimo enuncia il precetto derivato e comprensivo, col primo, di tutti i nostri doveri ( Mt 22,39-40 ).
Ma ora, ciò fermo restando, noi, quasi per necessità didattica e pratica, ci poniamo sul piano concreto e immediato, ripetendo a noi la domanda: se vogliamo promuovere la civiltà dell'amore quale sarà il primo, il principale oggetto del nostro programma rinnovato e rinnovatore?
Noi guardiamo alla vicenda storica, nella quale ci troviamo; e allora, sempre osservando la vita umana, noi vorremmo aprirle vie di migliore benessere e di civiltà, animata dall'amore, intendendo per civiltà quel complesso di condizioni morali, civili, economiche, che consentono alla vita umana una sua migliore possibilità di esistenza, una sua ragionevole pienezza, un suo felice eterno destino.
Ed ecco che subito noi siamo messi in stato di timore e di difesa.
La vita oggi è minacciata.
Se vogliamo difenderne le sorti e assicurarle benessere, non possiamo non essere, fin da questo momento, in uno stato di vigilanza.
Invece di celebrarne la bellezza e la fortuna noi dobbiamo avvertirne i pericoli ed i mali.
L'amore è vigilante, e si avvede delle condizioni infelici, in cui, ancor oggi, la vita si trova.
Ahimé! non un solo malanno pesa sull'umana esistenza: e noi che sognamo per essa un'atmosfera di dignità e di benessere, ci troviamo subito impegnati in una diagnosi, assai vasta e assai complessa, che denuncia dolori, disordini, pericoli, ai quali non possiamo essere indifferenti.
Facciamo immediatamente una domanda a noi stessi: se questo fosse il nostro destino di professarci « medici » di quella civiltà che andiamo sognando, la civiltà dell'amore?
Il nostro primo dovere è appunto questo: di dedicarci alla cura, al conforto, all'assistenza, anche con sacrificio nostro, se occorre, per il bene di quell'umanità, che vorremmo vedere civile e felice; e se così, non sarebbe bene orientato il nostro programma?
Sì, fratelli!
Allora la patologia sociale è il primo campo del nostro cristiano interesse.
Bisogna avere sensibilità ed amore per l'umanità che soffre, fisicamente, socialmente, moralmente.
Oggi? oh! come vibrano gli strumenti segnaletici del deterioramento del nostro comportamento civile!
Limitiamoci a qualche ovvia e grave segnalazione: la delinquenza organizzata, premeditata per estorsione di somme spesso favolose di denaro, sotto minaccia di morte di persone innocenti: non è questa diventata un'epidemia di malvagità, avida e crudele, che accusa un vuoto di principii nobili e morali, che ha scavato un crollo pauroso nella coscienza di tanti figli del nostro tempo?
E che diremo della propaganda in favore della liberalizzazione o legalizzazione dell'aborto procurato, senza che i cuori materni insorgano a difesa delle loro nascenti creature e della loro vocazione al servizio della vita?
E non avremo almeno sentimenti di pietà e di speranza per popolazioni intere, che ancora languiscono nella fame e nella miseria?
E non proveremo un fremito almeno di sdegno e di paura per gli armamenti, che estendono i loro lucrosi mercati fra le nazioni, e per gli episodi tremendi di guerre civili, prodromi possibilmente fatali di ancora conflagrazioni, di cui parlano le radio e i giornali del mondo, non avremo noi almeno una troppo esperta implorazione a scongiurare oggi, in radice, le guerre che domani, con incalcolabile furore, possono di nuovo insanguinare la faccia della terra?
Sogniamo noi forse quando parliamo di civiltà dell'amore?
No, non sogniamo.
Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri.
Per noi cristiani, specialmente.
Anzi tanto più essi si fanno urgenti e affascinanti, quanto più rumori di temporali turbano gli orizzonti della nostra storia.
E sono energie, sono speranze.
Il culto, perché tale diventa, il culto che noi abbiamo dell'uomo a tanto ci porta, quando ripensiamo alla celebre, antica parola di un grande Padre della Chiesa, S. Ireneo ( + 202 ): Gloria … Dei vivens homo, gloria di Dio è l'uomo vivente ( S. Irenaei Contra haereses, IV, 20, 7: PG 7, 1037 ).
Pensiamoci con coraggio.
E con la nostra Apostolica Benedizione.