19 Maggio 1976
La Pasqua è tale festa, è tale avvenimento che ci obbliga, ci invita a prolungarne la meditazione, e a inserire questa meditazione pasquale nella mentalità, che deve caratterizzare la vita cristiana.
Non dobbiamo mai più dimenticare il mistero pasquale!
Meditiamo ancora: celebrata la Pasqua, che cosa ci rimane?
Il ricordo, il grande ricordo?
Sì, ma non solo il ricordo.
Ci rimane, noi già dicevamo, il battesimo, che è l'estensione del mistero pasquale alle nostre singole vite, un'estensione effettiva, rigenerante; non siamo più soltanto esseri umani e mortali; siamo cristiani.
Scrive San Pietro, nella sua seconda lettera: Gesù Cristo, nella « sua potenza divina … ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, affinché voi diventaste … partecipi della divina natura » ( 2 Pt 1,3-4 ).
Noi dobbiamo ancora, sempre meditare l'eredità pasquale, cioè l'eredità cristiana, quel patrimonio di beni, che ci è venuto, inatteso e immeritato, e inestimabile, dal fatto d'essere diventati cristiani mediante il battesimo, che ci ha comunicato, in maniera soprannaturale, ma reale, la simbiosi, vogliamo dire la partecipazione vitale al dramma della Redenzione, cioè della morte e della risurrezione di Cristo.
Ripetiamo: siamo diventati cristiani, nuove creature, esseri divinizzati ( Cfr. Rm 8,19; Gc 1,18 ), i quali, senza nulla perdere della perfezione naturale propria dell'uomo, anzi possedendola in migliore pienezza, santa ed immacolata ( Cfr. Ef 1,4; Col 1,22; Gc 1,27 ), fanno tuttavia nuovo cardine della vita, anche della vita naturale e presente, la religione, cioè il rapporto con Dio, quel rapporto instaurato da Cristo, per cui noi siamo diventati figli adottivi di Dio, con tutto quanto consegue di beni, di speranze, di dignità, di concezione della vita e del mondo, che scaturisce da una simile novità ( Cfr. Rm 9,4; Rm 8,15-23; Gal 4,5; Ef 1,5; etc. ).
Se vogliamo avere un concetto esatto, sia pure sintetico, del fatto che noi siamo cristiani, noi non possiamo prescindere da un riferimento, essenziale oramai per la nostra mentalità, a questa teologia, a questa « economia », cioè a questo piano divino-umano, che riguarda in pieno la nostra salvezza ( Cfr. Ef 1,3-15ss ).
Qui davvero il disegno divino, riflesso nella nostra esperienza storico-umana, si fa mistero; mistero in sé per le verità immense e profonde, ch'esso ci offre da conoscere e da contemplare, come uno sguardo sul cielo infinito; mistero per noi, per l'ordinamento nuovo, soprannaturale, diciamo pure surreale, ch'esso introduce nella nostra vita ordinaria e così detta reale.
Noi non vogliamo tacere questo aspetto trascendente, e perciò quasi segreto, della vita cristiana; ma guideremo la nostra ricerca sulle vie piane del Vangelo: piane, così sembrano, perché rese a noi accessibili dalla parola semplice e sublime di Gesù Maestro.
Parlando di « eredità pasquale, o cristiana » ci è facile riferirci ai discorsi testamentari del Signore, quelli dell'ultima cena; i discorsi che hanno appunto l'intenzione e l'accento di chi è sul punto di passare via da questa vita, e di lasciare ai discepoli fedeli i ricordi finali e supremi.
Che cosa ha detto il Signore nella chiaroveggenza dell'imminente suo transito nell'al di là del tempo presente?
Oh! noi non finiremo mai questa escursione nel parco incantato delle rivelazioni, sgorgate dal cuore e dalle labbra di Gesù in quella notte pasquale.
Scegliamone due, che ci sembrano ora di più facile enunciazione, e in un certo senso riassuntive della superlativa forma di vita, che Gesù ci raccomanda nell'ora del suo commiato dalla nostra conversazione temporale.
Voi le conoscete bene queste dolcissime e gravissime parole, voi che avete consuetudine con la lettura del Vangelo, e che dirigete la vostra vita spirituale alla scoperta ineffabile del cuore del Signore.
Una riguarda il rapporto comunitario, ecclesiale, sociale, che Gesù vuole lasciare, prima del suo transito da questo mondo, ai suoi seguaci, a ricordo, a continuazione, ad innovazione perenne della sua scuola evangelica; l'altra riguarda il rapporto personale, interiore di ogni anima fedelissima con quel Gesù, che sta per congedarsi dalla nostra sperimentale intimità.
Suona la prima parola come un comandamento; è il « comandamento nuovo »: semplicissimo, ma sublime come una vetta, sempre superiore alle nostre umili e coraggiose ascensioni: « Figlioli, … vi do un mandato nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amati » ( Gv 13,34 ).
Oh, quel come! nel quale consiste la novità del comandamento pasquale, la sua inarrivabile perfezione, la sua inesauribile energia!
Chi potrà mai pareggiarlo?
Poi la seconda parola, parola di vocazione, parola di predilezione, parola che discende nel cenacolo del cuore, parola che sembra domanda, ed è dono di incomparabile interiorità: « Rimanete nel mio amore! » ( Gv 15,9 ).
E questo « rimanere nell'amore », chi lo farà suo?
quale iniziazione, quale costanza, quale sufficienza, quale felicità esso porta con sé!
Rimanere nell'amore forte e sincero estremamente vivo e estremamente virile, pago in se stesso e capace d'ogni più virtuosa effusione, è questo il tesoro, questo l'impegno pasquale?
Sì, questa è l'eredità pasquale.
Saremo noi pronti, saremo fedeli a farla propria?
Dio voglia!
Con la nostra Benedizione Apostolica.