2 Giugno 1976
Il nostro discorso ritorna al grande tema della preghiera.
Un tema grande, come una cattedrale.
Noi ci avviciniamo a questo monumentale edificio, sospinti da due motivi pratici: la stagione liturgica e i bisogni del nostro tempo; motivi conosciuti.
La festa della Pentecoste, la festa dello Spirito Santo, ci invita alla riaccensione della nostra lampada interiore, che è appunto la preghiera.
E poi, come non avvertire dalle vicende difficili, che scuotono la normalità, l'ordine, il benessere, la pace nel mondo, un bisogno di soccorso divino, che l'orazione ci conforta a sperare dall'alto, dalla Provvidenza? speranza e preghiera vivono insieme.
Ed oltre a questi occasionali stimoli a ricorrere alla preghiera, noi sappiamo che essa è una legge, variamente obbligante ed urgente sui nostri spiriti, ma sempre presente per chi vuole vivere la vita cristiana, e possiamo pur dire semplicemente una vita umana autentica e piena; sappiamo che ci impone questo grave e soave dovere Gesù che insegna: « bisogna pregare sempre, senza stancarsi » ( Lc 18,1 ).
Non diciamo poi di tutti i libri e i discorsi religiosi, che ci richiamano a questo fondamentale dovere ( Cfr. S. Thomae Summa Theologiae, II-IIae, 83; Cat. Rom., IV; S. Augustini Ad Probam, 130: PL 33, 493-507 ).
Ma oggi noi ci fermiamo un momento sulla soglia del tempio della preghiera; e osserviamo che la porta è chiusa.
Un tempo era sempre e a tutti aperta; ora no.
Un tempo si litigava circa la legalità, cioè l'ortodossia dell'accesso; quanti martiri la storia ricorda per causa di religione professata o negata; adesso la questione religiosa ( perché di questa, in fondo, si tratta ) si pone diversamente e radicalmente: non vi è più motivo di pregare!
Figli e Fratelli carissimi! quale formidabile questione!
Anche se tutti non siamo in grado di analizzare il fenomeno antireligioso del nostro tempo, tutti tuttavia ne conosciamo il radicalismo, con cui esso si oppone alla nostra tradizione spirituale, a quella cristiana e cattolica specialmente, anche in paesi storicamente imbevuti di religione, e sentiamo, in qualche misura, come l'ateismo minacci, nell'interno dell'anima, la consistenza dei motivi che giustificano e reclamano la religiosità del nostro essere razionale e spirituale.
Una volta l'ateismo, nell'opinione pubblica, era giudicato negativamente, come un'assenza della fede comune; adesso invece è giudicato positivamente, per errore e sventura nostra, noi pensiamo, come un progresso, come una liberazione da una mentalità mitica e primitiva, come una bandiera dei tempi nuovi.
La scienza basta.
La ragione rifugge dal mistero.
E non è vero; anzi chi ama la scienza e ne avverte la sua profondità e il suo rigore non può, non deve sbarrare al pensiero le sue esplorazioni metafisiche e mistiche; e chi vuole non mortificare la ragione nei confini dei suoi trattati convenzionali deve ammettere la necessità e la gioia di trascenderli per cercare almeno, o per sperimentare, e godere se possibile, l'incontro con una Sapienza, con un Verbo, che mentre lo curva all'adorazione religiosa, lo innalza ai preludi d'un dialogo superrazionale e inebriante, la preghiera.
Questo solenne malinteso fra il pensiero scientifico e il pensiero religioso ( quello cristiano ) scuote ogni nostra sicurezza mentale, che diventerà incertezza morale e inquietudine sociale.
È il grande problema della nostra età.
Non dobbiamo spaventarci, non solo perché la nostra mentalità religiosa non ha nulla di preconcetto o di contrario al progresso scientifico, sia speculativo che pratico e tecnico, ma perché al contrario lo favorisce e lo integra, tanto oggettivamente che soggettivamente con il suo culto della Verità totale, quale appunto è cercata, professata, proclamata col nostro Credo.
E procuriamo di non sentirci soddisfatti d'una formazione mentale puramente ed esclusivamente « laica », che prescinda cioè sistematicamente e in ogni campo del pensiero e della vita da un logico riferimento religioso, per non cadere, senza avvedercene, in quell'ateismo, che giustamente temiamo come sovvertitore d'ogni ordine, e per erigere la legittima autonomia delle realtà terrene in esclusivo criterio di verità ( Cfr. Lumen Gentium, 36; et Gaudium et Spes, 36 ).
E parimente procuriamo di non lasciarci intorpidire da quella apatia religiosa e spirituale, oggi tanto diffusa nel nostro mondo profano e secolarizzato, la quale sembra un inevitabile risultato dell'attivismo moderno e del soverchiante frastuono delle pubbliche voci, ma cerchiamo di far nostro il programma della formula di Cristo: « vigilate e pregate » ( Mt 26,41 ).
Con la nostra Apostolica Benedizione.