17 Novembre 1976
Un desiderio di sintesi, noi dicevamo nei nostri precedenti incontri del mercoledì, un desiderio di riassumere in alcune formule essenziali la celebrazione dell'Anno Santo ha guidato i nostri pensieri, mentre ci avviciniamo alla conclusione di quest'anno liturgico, logicamente collegato con l'antecedente, e ci proponiamo di prolungare nel tempo non solo il ricordo, ma lo spirito del rinnovamento cristiano, di cui queste precedenti stagioni di più intensa e più cosciente esperienza religiosa ci hanno, per grazia di Dio, infuso il senso e il vigore.
La formula, che oggi andiamo rievocando e che vogliamo ritrovare carica delle ricchezze spirituali godute e feconda di potenziali sviluppi per un successivo periodo di vita cristiana, è quella che abbiamo intitolata al gaudio spirituale, che deve caratterizzare l'autenticità della nostra professione
di figli di Dio,
di discepoli e di fratelli di Cristo,
di templi animati e illuminati dallo Spirito Santo,
di membri vivi di quel mistico e pur visibile corpo sociale, che si chiama la Chiesa.
« Gaudete in Domino », siate lieti nel Signore, noi abbiamo detto alla Chiesa stessa e a quanti, in qualche misura, ne respirano il divino soffio animatore; « gaudete in Domino » ( Fil 4,4 ), ripetiamo ora con la stessa intenzione di includere in questa parola, tanto ripetuta da S. Paolo ( 2 Cor 13,11; Fil 2,18; Fil 3,1; 1 Ts 5,16; etc. ), un atteggiamento cumulativo di fede, di speranza, di amore, di mentalità e di operosità apostolica, di serenità, di coraggio, di pazienza e di abnegazione, eccetera, che può degnamente coronare la spiritualità e la pedagogia di questo particolare periodo liturgico.
Noi non abbiamo che da rimandare la vostra filiale ascoltazione all'Esortazione Apostolica sul gaudio cristiano, del 9 maggio 1975; osiamo dire: rileggetela per avere impressa nel cuore una parola, che molte altre ne ricollega ad un punto orientatore per un vero rinnovamento di senso religioso e cristiano, quale noi tutti abbiamo auspicato celebrando l'Anno Santo e quello presente, ora alla fine, che vi ha fatto seguito.
Noi facciamo ora qualche brevissima osservazione di commento e di raccomandazione al testo che riproponiamo alla vostra attenzione.
E la prima osservazione è questa: non si tratta d'un documento di consolazione particolare o occasionale; sì bene d'una parola, che ha valore di messaggio essenziale per la spiritualità cattolica, anche se il suo annuncio, pare a noi, giunge a proposito, con una tempestività, che merita d'essere avvertita.
Non sono forse tristi i nostri tempi? pur troppo, sì.
Forse essi sono segnati da una patologia traumatica successiva alle due guerre mondiali che hanno insanguinato la storia del nostro secolo, con le rivoluzioni e le inquietudini sociali che ne hanno, sotto certi aspetti, prorogato il disagio morale: il nostro tempo, anche sotto l'aspetto gaudente che lo riveste d'una maschera fittizia, non è felice.
A bene osservare la psicologia degli uomini d'oggi si scorge ch'essa è intrisa di amarezza, di scetticismo, di spirito di rivoluzione e di vendetta; ed anche gli sforzi ammirabili per dare ordine e prosperità al nostro mondo spesso altro non concludono che a risvegliare il senso delle sue deficienze, delle sue ingiustizie, delle sue sofferenze.
È cresciuto col senso della civiltà raggiunta o da raggiungere, quello della sua incompletezza e della sua fragilità.
E soprattutto lo sviluppo logico della filosofia, della ideologia della cultura contemporanea ha portato a traguardi di incertezza, d'insoddisfazione, di nichilismo, che una disciplina esteriore non vale a soffocare, né tanto meno a consolare.
Un gemito, che potremmo quasi dire profetico, circola nel mondo, quasi a denunziare la crescente sofferenza interiore degli uomini e mano a mano che cresce la loro ricchezza e la fame d'una ricchezza maggiore e mancante.
Miserie, dolori, delusioni, sofferenze sembrano estendersi sulla faccia della terra, invece che placarsi in un pacifico godimento dei tanti beni che il progresso ci procura.
La parola di Cristo risuona ancora con un'attualità e con una capacità di conforto e di speranza, che giustifica la nostra apologia della gioia cristiana: « Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò », dice il Signore ( Mt 11,28 ).
E questo senso d'infelicità è diventato contagioso in alcuni settori dello stesso mondo ecclesiale da segnarne il volto di aggressiva amarezza, non solo a rimprovero fraterno per i tanti difetti che lo avviliscono, e che la sua impronta cristiana rende più evidenti e più responsabili, ma per un atteggiamento ormai di moda, che sembra talvolta giustificare una superiore intransigenza e nasconde spesso una mancanza di amore, cioè di gioia interiore non più capace d'esprimersi esteriormente.
Anche qui il balsamo d'una sincera gioia cristiana potrebbe riportare fra fratelli di fede una rinascita di esemplare socialità cristiana.
E un'altra osservazione vogliamo aggiungere affinché non si pensi che la vita cristiana sia sempre e unicamente allegra, e riesca a escludere il dolore dall'esperienza vissuta. No.
La gioia cristiana è compossibile con la sofferenza, salvo che questa geminazione di gaudio e di dolore diventa non solo tollerabile, con l'aiuto di Dio, ma auspicabile.
S. Paolo è grande esempio di questa ambivalenza della sensibilità cristiana: « Io sono pieno di gioia, pervaso di consolazione in ogni nostra tribolazione » ( 2 Cor 7,4 ).
La croce non è abolita dalla pienezza della vita cristiana; anzi vi è inalberata come trofeo di vittoria, unita com'è all'amore, al sacrificio, alla garanzia della risurrezione.
E così ci ricorderemo di alimentare in noi la gioia della vita cristiana per saperne trarre la fortezza che le è propria.
Con la nostra Benedizione Apostolica.