5 Gennaio 1977
Il pensiero del Natale, recentemente celebrato, occupa ancora i nostri spiriti, con un duplice stimolo, quello esemplare e quello sociale;
relativo il primo al fatto della nascita di Gesù a Betlemme, al quadro cioè del presepio, il quale non cessa di assorbire il nostro spirito con l'incanto della sua pastorale semplicità e della sua angelica poesia;
relativo il secondo all'efficacia pedagogica della rivelazione di Cristo nel modo squallido con cui si è presentata all'umanità, indubbiamente con l'intenzione tipica, esemplare.
In altri termini, volendo noi cogliere il senso essenziale del grande avvenimento, qual è la venuta di Cristo nel mondo, del Figlio stesso di Dio che, tale restando, assume insieme la natura umana per farsi Figlio dell'uomo, non possiamo non restare attoniti dalla povertà, che ha rivestito il Messia venendo nel mondo.
Il Natale è una incomparabile lezione di povertà.
Così Dio si è fatto uomo.
L'avvertenza di questo aspetto del mistero dell'Incarnazione diventa assorbente, non solo se si considerano le circostanze nelle quali tale mistero si è storicamente e praticamente celebrato a Betleem,
ma se si osserva che tale aspetto non è un episodio subito superato da un quadro storico meglio corrispondente all'eccezionale dignità del Dio-Uomo entrato nella scena dell'umanità,
ma è lo stile, è la forma voluta e coerente, scelta da Cristo per vivere fra noi, anzi per compiere la sua missione salvatrice: il Bambino del Presepio morirà sul Calvario, nel dolore e nell'umiliazione della croce.
La povertà dell'Incarnazione sarà consumata nella Redenzione, e tutto il messaggio evangelico, che intercorre fra la nascita e la morte di Cristo, è un annuncio, un'apologia della povertà, proverbiale scelta di Lui per manifestarsi al mondo.
Povertà del Signore!
il grande ostacolo alla sua accettazione da un'umanità che ben altro si attendeva dalla venuta spettacolare e vittoriosa del Messia;
ed insieme il grande segreto dell'attrattiva di Gesù comparso nell'umanità.
Leggiamo, quasi scegliendo a caso nelle pagine del nuovo Testamento, alcuni testi che impongono il tema della povertà evangelica come argomento essenziale del fatto cristiano.
Chi non ricorda la voce squillante della prima beatitudine « beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli »? ( Mt 5,3 )
Dunque questo Gesù di Betleem e di Nazareth è il profeta dei poveri?
è il rivelatore della loro dignità, della loro priorità, della loro fortuna?
Non è demagogia; è riabilitazione nell'eccellenza terrena e nella speranza ultraterrena dei diseredati dai beni della terra.
E poi ricordate quella celebre pagina di S. Paolo nella lettera ai Filippesi sulla povertà totale e volontaria di nostro Signore?
Egli scrive: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il Quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso ( letteralmente: annientò ), assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » ( Fil 2,5-8 ).
E ancora, sempre San Paolo, scrivendo ai Corinti per indurli a beneficare i fratelli di Gerusalemme, ammonisce: « Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventiate ricchi per mezzo della sua povertà » ( 2 Cor 8,9 ).
Impossibile dire tutto su questo aspetto immenso del cristianesimo.
Ci basti porlo all'ammirazione di quanti, celebrando il Natale, hanno dovuto accorgersi dell'esaltazione che da tale festa divina deriva alla povertà umana.
Ma impossibile anche tacere l'importanza e l'interesse degli insegnamenti che sulla povertà, la veste assunta da Cristo per abitare fra noi, ci sono, staremmo per dire, non solo proposti, ma imposti, specialmente dopo il Concilio ( Cfr. J. Dupont, L'Eglise et la pauvreté in L'Eglise du Vatican II, II vol., pp. 339-372 ).
Possiamo accennare ad una classifica della dottrina di Cristo sulla povertà, senza pretendere d'aggiungere qualche cosa a ciò che tutti sanno.
Ecco, punto primo, quello che si riferisce al criterio teologico del Vangelo sulla povertà.
Perché la povertà?
per dare a Dio, al regno di Dio, il primo posto nella scala dei valori che fanno oggetto delle aspirazioni umane.
Dice Gesù: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia » ( Mt 6,33 ); e lo dice al confronto con tutti gli altri beni temporali, anche necessari e legittimi, che di solito impegnano i desideri umani.
La povertà di Cristo rende possibile questo distacco affettivo dalle cose terrene per porre in vetta alle aspirazioni umane il rapporto con Dio.
Secondo punto, il criterio ascetico: la povertà, come liberazione dai vincoli degli interessi temporali per dedicare le nostre facoltà alla sequela del Vangelo ed ai doveri della vita cristiana.
San Francesco insegni.
E terzo punto, il criterio benefico: « Date e vi sarà dato » ( Lc 6,38; Lc 11,41 ).
Anche questo è ben noto: la povertà, cioè la privazione di qualche nostro avere, deve farsi pane per i fratelli.
È la fonte sociale, che scaturisce dalla povertà, e che sa valorizzare il lavoro, il risparmio, la ricchezza, e la relativa generosa rinuncia per mantenere la carità, per sostenere l'amore fra gli uomini, l'assistenza fraterna.
Questa lezione evangelica della povertà è oggi d'attualità!
Che ciascuno l'ascolti appunto con cuore capace di amare, ripensando ad una parola di S. Paolo, ch'egli dice uscita dalle labbra di Cristo: « Vi è più gioia nel dare che nel ricevere » ( At 20,25 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.