26 Gennaio 1977
Il breve, ma commovente incontro con un'assemblea così numerosa, così varia e così rappresentativa di visitatori, come quella che a noi procura questa Udienza settimanale, suscita un'effusione di sentimenti nel nostro animo, che non mai riusciamo ad esprimere adeguatamente,
sia perché essi sono molti, sono diversi, sono forti, così da soffocare piuttosto che da favorire il nostro discorso, il quale vuole essere breve e semplice e per voi tutti tonificante;
e sia perché la nostra voce vorrebbe essere importante, degna del vostro ricordo.
Voi venite dal Papa e attendete da lui, con la sua benedizione, una sua parola, quasi per poter leggere, un istante, nel suo spirito, un suo pensiero, e per poter poi ricordare: così ci ha detto il Papa, e per ricavare qualche personale riflessione, auguriamo consolante e benefica, dall'eco in voi interiore di questo momentaneo dialogo.
L'udienza è infatti una specie di dialogo, di intervista, che offre a chi vi assiste l'occasione di sapere qualche cosa del pensiero del Papa, della Chiesa.
Così che noi siamo sempre lieti, ma trepidanti in un incontro come questo, e ci sentiamo costretti a scegliere fra le molte cose che vorremmo a voi confidare quella una che, sul momento, ci sembra più importante.
Ebbene, sì; anche questa volta limitiamo l'apertura del nostro cuore all'impressione oggi in noi dominante, la quale ci è suggerita dalle circostanze del nostro tempo in coincidenza con una esortazione più volte ripetuta nel Vangelo da Gesù, nostro Maestro e nostro Salvatore: « Non sia turbato il vostro cuore » ( Gv 14,1 ).
Parola questa che ritorna spesso sulle labbra di Cristo ( Cfr. Gv 14,27; Lc 12,32; Lc 24,38; etc. ).
Rassicurante, bellissima parola, che faremo bene a custodire nei nostri animi, e a farvi ricorso con fiducia; ma parole che ci avvertono nello stesso tempo delle condizioni non tranquille, non felici, nelle quali ci troviamo.
Se il Signore ci raccomanda di non temere, segno è che siamo in pericolo; e se noi dobbiamo dare una considerazione prevalente all'esortazione confortante di Lui non facciamo torto alla sua parola quando insieme avvertiamo che noi ci troviamo in una condizione non propizia, non facile.
Così è: noi non siamo, umanamente parlando, in un periodo di normalità, di tranquillità, di facilità; noi cristiani, diciamo.
Noi dobbiamo aprire gli occhi.
Noi viviamo in tempi difficili.
Quel Gesù che ci infonde coraggio e che vuole che noi facciamo credito alla sua assistenza e alla sua divina arte di volgere a nostro vantaggio spirituale e superiore tutte le cose, anche quelle che avvertiamo a noi contrarie e dolorose, quando, per voce dell'Apostolo Paolo, noi sappiamo « che tutto concorre al bene di coloro che amano Iddio » ( Rm 8,28 ) è lo stesso Gesù Maestro che ci avverte più e più volte di vigilare ( Cfr. Mt 24,42; Mt 26,38; Mc 13,37; Lc 21,36; etc. ); che ci vuole attenti ai segni dei tempi ( Cfr. Mt 16,4 ); che ci preannuncia l'infelicità, per così dire, congenita con la professione cristiana ( Cfr. Gv 16,20 ); e che, ancora per mezzo dell'Apostolo stesso, ci esorta a vivere difesi dall'armatura di Dio per essere capaci a resistere al male … ( Cfr. Ef 6,11-13 ).
La vita cristiana è una milizia.
Né pavida, né comoda, né incerta può essere la condizione di chi ha scelto Cristo per suo modello, per sua guida, suo redentore ( Cfr. Gv 19,37 ).
Ebbene, se così è, la nostra vocazione oggi è la fortezza.
I tempi sono difficili;
dobbiamo essere preparati a viverli con personale e generoso spirito di testimonianza di fede, di energia morale, di preferenza ( sopra ogni calcolo di egoismo, di paura, di viltà, di opportunismo ), alla nostra personalità
di uomini veri, resi « superuomini » dal nostro battesimo,
di cittadini temporali leali e sinceri, che hanno coscienza della simultanea cittadinanza per cui appartengono a quella Città di Dio che ora chiamiamo la Chiesa, la nostra « società dello spirito » ( Cfr. Fil 2,1 ): una, santa, cattolica ed apostolica;
di cristiani cioè che non hanno bisogno di mutuare dalle concezioni filosofiche e sociali in antitesi con quella religiosa, che sappiamo vera e inesauribilmente feconda di spirito di sacrificio e di amore, i principii veramente ispiratori e fondamentali della storia e del progresso.
Coraggio perciò, Figli e Fratelli, convenuti a questo paterno colloquio; coraggio!
con la nostra Apostolica Benedizione.