16 Febbraio 1977
Ancora sul mondo sarà oggi il nostro discorso.
Sì, perché questa parola « mondo » è così comune che assume facilmente significati diversi, e in quasi tutti contiene uno sforzo espressivo, che ci porta a rivestire la nostra mentalità d'una visione sintetica, riassuntiva, la quale contiene un certo giudizio filosofico, che risale ai principii orientatori del nostro pensiero, e quindi della nostra attività.
Abbiamo ultimamente già detto qualche cosa sopra un primo significato, che vuole rappresentare alla nostra mente la visione panoramica dell'universo; mondo vuol dire il cosmo; e se tale è il senso di questa comunissima parola « mondo », noi abbiamo visto come esso ci porta all'origine di tutto ciò che esiste; il problema dell'essere assale il nostro pensiero: che cosa vuol dire « mondo », se noi ci riferiamo all'essere di quanto siamo, di quanto ci circonda, di quanto fu, è e sarà.
E abbiamo osservato come questa parola grave e opaca si fa complicata, e ci conduce a una geminazione fondamentale del suo intimo significato, che possiamo tradurre con il verbo essere, o con il verbo esistere, e nello stesso tempo ci trascina alla ragione sia dell'essere, che dell'esistere:
come esiste il mondo?
per quale principio il mondo è quello che è?
Infatti appena si osservi il mondo pensando al suo segreto esistenziale vediamo che, come ci appare, esso non spiega la sua ragion d'essere, ma la postula a sé esteriore e a sé superiore: è il famoso problema di Dio che traspare come una necessità dalla stessa opacità.
La contemplazione del mondo ci obbliga a risalire alla sua superiore ed estranea, sebbene presente ed operante, sorgente, cioè il mistero di Dio: « i cieli narrano la gloria di Dio, e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani » ( Sal 19,2 ).
È assurdo pensare diversamente.
Ma la parola « mondo », com'è noto, offre un altro significato, tanto nel linguaggio comune, come in quello che qui ci interessa, cioè quello biblico, nel Nuovo Testamento specialmente: mondo vuol dire l'umanità, vuol dire il genere umano; e questo nella sua prima significazione, che chiameremo ottimista, poiché nel Vangelo ( di S. Giovanni in particolare ) un'altra significazione, negativa, ci presenta il mondo sotto il segno del male ( Cfr. 1 Gv 5,19: « tutto il mondo giace sotto il potere del maligno » ).
Ma occupiamoci ora della prima significazione, quella positiva, ottimista, secondo la quale il mondo è niente meno che l'oggetto dell'amore di Dio.
Teniamo nella memoria e nel cuore questa solare, magnifica rivelazione : « Così Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna » ( Gv 3,16; cfr. Rm 5,8; Rm 8,32; 1 Gv 4,9 ).
Qui è tutta la teologia della salvezza; qui è lo squarcio più profondo concesso alla nostra introspezione nel cuore stesso di Dio: l'amore per il mondo, per l'uomo, per le sue condizioni di dignità e di miseria, per l'universalità della sua vita sulla terra e nel tempo.
Dio ama! Dio ci ama!
Dio ha disposto una ineffabile, incommensurabile economia di amore, mediante l'incarnazione e la Redenzione, mediante Cristo Salvatore, nato, morto, risorto per tutti gli uomini.
Non basteranno mai le campane di tutta la terra per ricordare ai suoi abitanti questa fortuna, questa felicità!
Questo è il cristianesimo: esso si svolge tutto nell'orbita d'una infinita e beata effusione dell'amore di Dio per noi ( Ef 2,4; Ef 5,2 ).
Di qui nasce l'antropologia cristiana, cioè la nostra scienza sull'umanità: la dignità, la sacralità della vita umana traggono da questo amore di Dio per essa la loro più profonda radice; esso fa cadere ogni divisione, ogni odio fra gli uomini se tutti sono fratelli: perché l'uomo contro l'uomo se tutti sono figli d'uno stesso Padre celeste, oggetto del medesimo sacrificio amoroso di Cristo, tutti destinati al medesimo soffio amabilissimo dello Spirito Santo?
Perché gli apostoli, perché i missionari, perché la vita pastorale della Chiesa, se non in virtù di questo amore di Dio per il mondo?
perché il perdono, perché la pace fra gli uomini, se non per l'amore che Dio stesso ci ha insegnato, Lui, amandoci per primo? ( 1 Gv 4,10 )
Se questo amore, per ipotesi infelicissima, si spegnesse, sopravvivrebbe ancora la « filantropia» umana ?
sì, come vocazione infusa nel cuore dell'uomo, come nobile tentativo di civile progresso ( in grande parte d'origine cristiana );
ma non potrebbe forse ancora prevalere l'egoismo, e l'odio, e la ferocia dell'homo homini lupus, come lo stesso progresso degli armamenti ci lascia ancora temere per il nostro mondo moderno?
Impariamo ancor oggi, noi cristiani, ad amare il mondo, come il Vangelo, non altra ideologia, ci può insegnare; con un nativo entusiasmo per l'uomo che nasce ( Cfr. Gv 16,21 ), con un rispetto sacro a questo specchio di Cristo, ch'è l'uomo sofferente, con uno spirito di servizio e di sacrificio che conferisce all'amore del prossimo un valore religioso, trascendente per l'eternità: « mihi fecistis » ( Mt 25,40 ).
Come sarebbe bello il mondo se davvero fosse cristiano!
E nel desiderio comune di questa bellezza ricevete la nostra Benedizione Apostolica.