18 Maggio 1977
Noi abbiamo celebrato la Pasqua.
Cioè il grande avvenimento della morte e della risurrezione di Cristo.
Questo avvenimento è grande, è capitale, possiamo dire sotto due aspetti: l'aspetto che riguarda Gesù stesso;
Egli si è così manifestato,
Egli ha compiuto l'opera per cui era venuto al mondo,
Egli si è collocato nel mondo, nella storia, come la luce dell'umanità ( Cfr. Gv 1,9; Gv 8,12 ), come se nella notte che copre tutta la terra, una fiamma risplende e fa vedere le cose, e dà senso ad esse, allo spazio, al tempo,
Egli è il vero Maestro del mondo ( Mt 23,8 ),
Egli è il principio e la fine ( Ap 1,8 ), eccetera.
Gesù Cristo, da solo, fa dell'universo uno spettacolo splendido e terribile.
Ma poi la presenza di Gesù nel tempo, nel Vangelo, assume un'altra importanza, ed è il rapporto ch'Egli ha con gli uomini: con noi, con ciascuno di noi.
Egli è il nostro Salvatore; noi nulla possiamo fare senza di Lui ( Cfr. Gv 15,5 ).
Bisogna bene riflettere su questo principio.
Noi abbiamo bisogno di Cristo.
Come facciamo a metterci in comunicazione con Lui?
Ed anche se noi avessimo avuto la fortuna di vivere al tempo suo, e di avvicinarlo personalmente, avremmo noi avuto la capacità di conoscerlo per quello che Egli era, di capirlo, di penetrare nel segreto del suo Essere divino?
La scoperta di Cristo, della sua duplice natura umana e divina e della sua Persona divina, Figlio vero di Dio, Verbo di Dio, infinito ed eterno, sarebbe stata veramente possibile?
E poi, a noi, lontani da Lui nel tempo e sommersi nell'oceano dell'umanità, come sarebbe mai possibile accostarci a Lui ed avere la sorte beata d'essere da Lui distintamente conosciuti ed amati, d'essere da Lui salvati?
Perché questo è il problema che esige una soluzione, la nostra salvezza, essere salvati da Cristo; come è possibile?
Che cosa giova a noi celebrare la Pasqua del Signore se essa non è oggi, qui, per noi attuale e operante?
Il problema, a noi insolubile, il Signore lo ha reso invece mirabilmente solubile.
Ascoltate le ultime parole che concludono il Vangelo di S. Marco: « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo » ( Mc 16,16 ).
La fede e l'azione sacramentale del battesimo sono le due fondamentali condizioni per entrare nell'orbita luminosa e reale della salvezza cristiana, che non è piccola cosa se essa ci associa niente meno che alla vita immortale e divina di Cristo.
Se così è, ed è davvero così, il nostro interesse si rivolge dapprima alla fede: che cosa s'intende per fede?
E come si arriva, come si aderisce alla fede?
La questione si fa grave nuovamente: « senza la fede è impossibile piacere a Dio » ( Eb 11,6 ).
Siamo sulle soglie della religione di Cristo: entra chi crede!
Quale grosso volume di problemi religiosi è posto davanti a noi!
Noi ora accenniamo appena alle prime pagine di questo libro della fede, le quali sono facili a riassumersi in parole semplici: esigeranno poi lungo studio per chi vuole proseguire nella esplorazione del misterioso volume.
E la prima pagina, quella a cui si arresta il mondo profano, è subito molto ardua e severa: la fede è un regno di mistero; essa per noi, durante questa vita, ch'è ancora un tirocinio, una iniziazione, è una scienza oscura; essa si appoggia non sopra argomenti di razionale evidenza; è suffragata, sì, da ottime ragioni di credibilità sia intrinseca, che estrinseca, ma è fondata per sé sull'autorità d'una rivelazione, sulla Parola di Dio.
Solo questo carattere della fede rappresenta una difficoltà per noi che siamo alunni della nostra ragione, e siamo ribelli fino a dichiararci liberi pensatori ad ammettere verità di cui non possiamo darci diretta spiegazione, non pensando che davanti alla Verità, quando tale realmente si manifesta, noi sempre, se ragionevoli, dobbiamo essere docili.
Misteriosa ed oscura la fede per la nostra mente, la quale tuttavia, quando sia ammessa alla sua scuola, già intravede, fino a rimanerne affascinata e felice, stupende e profonde zone di bellezza e di luce.
Tuttavia così è: la fede è un cielo superiore alla nostra naturale comprensione.
La fede impegna, sì, l'adesione dell'intelligenza, ma non senza la volontà.
Per credere, bisogna volere.
Il che significa che la fede è libera.
Discorso assai importante, oggi specialmente che il Concilio ha confermato questa prerogativa dell'uomo pensante, anche nel campo religioso; proprio il Concilio riafferma che « tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa » ( Dignitatis Humanae, 1 ).
Un terzo punto dovremmo considerare esaminando questi aspetti preparatori alla fede, e cioè la beatitudine della certezza che essa genera nello spirito di chi la accoglie con sapiente umiltà.
Ma su questo punto avremo forse occasione di ritornare.
Per ora basti a noi di ricordare come irradiazione del mistero pasquale la fede che ce lo conserva e ce lo fa rivivere.
Lo auguriamo con la nostra Apostolica Benedizione.