20 Luglio 1977
Uno dei pensieri che sorgono nello spirito, a cui la pausa delle occupazioni esteriori consente una cosciente riflessione su se stesso, riguarda i principii della propria attività, come quando uno si chiede:
che cosa faccio?
e specialmente: perché lo faccio?
quali sono i motivi del mio operare?
I motivi possono essere molti, e sono di solito dipendenti l'uno dall'altro, sono gerarchizzati.
Così uno lavora per esempio per guadagnarsi la sua mercede; e la mercede per vivere.
Donde la domanda: qual è il motivo, quale lo scopo superiore agli altri, il quale dà ad una vita la sua definizione professionale, anzi morale?
Per sé lo scopo, il fine operativo generale è quello di fare il bene.
Ma quale bene?
il bene morale?
il bene per sé?
il bene utile?
il bene piacevole?
il bene facile?
il bene possibile?
L'onestà naturale della nostra vita dipende da questa risposta fondamentale: il valore morale della nostra esistenza deriva dalla scopo primo e superiore che la guida.
Questione che sembra facile, ma che pone tanti problemi, ai quali gli uomini, quelli bravi e buoni, sanno dare spesso magnifiche risposte, ma sempre incomplete rispetto al fine totale.
Vi è chi si contenta di costruire la moralità umana nella misura puramente naturale, anche se dilatata ai suoi più ampi confini ( Cfr. Terentii: « homo sum, nihil humani a me alienum puto » ).
Ma è poi veramente e sempre possibile?
e vi è chi ricusa d'accettare qualsiasi principio morale assoluto: il « permissivismo » moderno rifugge dal ricorso a norme superiori e vincolanti.
E noi cristiani?
Noi siamo, sì, per il primato della libertà; ma di una libertà corrispettiva e coerente con la legge morale, col dovere!
Anzi noi abbiamo un concetto religioso della perfezione umana, della giustizia nel senso pieno della parola, e riteniamo ch'essa non ci può essere data che da Cristo, dalla fede che a noi prescrive una giustizia soprannaturale, e che a noi elargisce l'aiuto, la grazia per essere buoni davvero.
Ricordiamo sempre la parola di S. Paolo: « l'uomo giusto vive di fede ».
Bisogna trarre dalla fede il principio normativo e il principio operativo della vita giusta e buona ( Cfr. Gal 3,11 ).