9 Novembre 1977
Noi guardiamo al mondo.
Voi stessi, Fratelli e Figli carissimi, ci siete oggi segni del mondo, in cui noi siamo e che noi vorremmo incontrare.
Noi sappiamo ora due cose, che vengono a confronto: noi siamo in mezzo a voi come messaggeri d'un annuncio di vita e andiamo cercando a chi confidare questo messaggio.
Voi ci apparite come gente che cerca, gente che aspetta, gente che desidera: non è questa la vostra attitudine, oggi?
Gente inquieta, gente che si è messa in cammino e non sa precisamente dove dirigersi.
Specialmente se fra voi sono dei giovani: questi sono ansiosi di camminare, ma bene non sanno dove dirigersi.
Anzi molti, e proprio fra i giovani, o fra quelli che sono vigilanti e curiosi di verificare la direzione giusta della vita, sono dubbiosi sulla rettitudine del loro cammino, il cammino della vita moderna, e si chiedono: dove andiamo? dove si va? e il loro sguardo si rivolge lontano, in cerca del punto di arrivo, ch'è il punto d'orientamento.
È diffusa la persuasione che è necessario andare avanti, ma dove, bene non si sa.
Vi è tra la folla degli uomini del nostro tempo il sospetto d'aver sbagliato strada, o almeno una riflessione sulla direzione da preferire e da fissare per i nuovi passi da scegliere.
Voi comprendete che questa immagine d'una folla in movimento, agitata dal bisogno di sapere dove dirigersi, si riferisce al mondo in cui tutti ci troviamo.
Dopo tanto lavoro, dopo tanto progresso si affaccia alla coscienza di molti, e ripetiamo, dei giovani specialmente, la domanda: siamo sulla via buona?
e anche senza contestare se la via dell'evoluzione del nostro tempo sia legittima e degna d'essere percorsa, è chiaro per tutti che essa non basta, cioè non è arrivata là dove è necessario arrivare; occorre, per lo meno, andare oltre.
Dove si va? Anzi, più lungo è il cammino percorso, e maggiore è la necessità di sapere se e quale ne sia la meta.
Questa tormentosa questione ci tocca direttamente, noi ministri di Colui che disse: « Io sono la via! »; ed è a noi pressante l'obbligo di indicare, come se ciò fosse un segreto di salvezza ( e lo è ), qual è la via, vera e vitale da percorrere.
Qui si presenta il nostro messianismo, cioè il nostro ministero che svela ed offre la visione e con la visione una prima esperienza o una garanzia di conquista appagante circa la realtà d'una nuova pienezza di vita, d'un nuovo « regno » per usare un termine biblico.
Ed ecco che ci troviamo senz'altro alle soglie di questo regno, ammaestrati da un'altra parola di Cristo, da Lui, facendo eco al grido del Precursore, anteposta alla sua predicazione evangelica.
E la parola è questa: « Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino » ( Mt 4,17 ).
Questa parola « convertitevi » è programmatica, e riassume grande parte del processo spirituale e morale che rende possibile l'azione rinnovatrice del Vangelo.
Si è molto parlato commentando il Vangelo sul significato di tale parola: metánoia in greco, paenitentiam agere, conversio, in latino; e a buon diritto, poiché essa è un termine chiave, che pone globalmente le condizioni di accesso a quel « regno dei cieli » o « regno di Dio », ch'è per noi la nuova vita, la fortuna evangelica.
E qui ognuno è invitato a fare del Vangelo un problema personale.
Siamo disposti a risolvere questo problema come Cristo ci propone?
Avviene proprio all'inizio della via della salvezza una scelta che può essere decisiva.
Che cosa ci si chiede per entrare nell'ambito del « regno dei cieli »?
Ci si chiede una trasformazione interiore, una metamorfosi di mentalità.
Vi è chi si rifiuta di ammettere per sé la necessità di cambiare qualche cosa al proprio modo di essere e di pensare: tutto il naturalismo che sostiene la bontà dell'uomo qual è, e il diritto-dovere di permettere all'uomo di applicarsi secondo gli impulsi istintivi del proprio essere, giudicato già perfetto in se stesso e non imperfetto, né tanto meno alterato dall'eredità del peccato originale, si oppone in radice alla grande novità della salvezza cristiana e accetta la triste esperienza della vita umana abbandonata a se stessa, con tutte le conseguenze drammatiche e tragiche del suo irregolare e spesso perverso sviluppo.
Ed è questa la storia di grande parte dell'umanità, alla quale non è giunta la fortuna del Vangelo con le sue prodigiose ricchezze di verità e di vita.
Non rifiutiamoci di considerare questa condizione al nostro ingresso nella via di Cristo, e di osare d'introdurre nella nostra psicologia e nella nostra vita morale la « conversione » che tale via reclama da noi; essa ci obbligherà, sì, alla pedagogia dell'umiltà ( Cfr. S. Augustini De Trinitate, VIII, 5-7 ), ch'è proprio la gioiosa verità del cristiano.
Così sia, con la nostra Benedizione Apostolica.