7 Gennaio 1981
Carissimi fratelli nell'Episcopato, nel sacerdozio, Fratelli e sorelle di vita religiosa, Carissimi fratelli e sorelle,
Dopo la pausa dovuta alle recenti festività ricominciamo oggi i nostri incontri del mercoledì portando ancora nel cuore la serena letizia del mistero della nascita del Cristo, che la liturgia della Chiesa in questo periodo ci ha fatto celebrare ed attualizzare nella nostra vita.
Gesù di Nazaret, il Bimbo che vagisce nella mangiatoia di Betlemme, è il Verbo eterno di Dio che si è incarnato per amore dell'uomo ( Gv 1,14 ).
Questa è la grande verità alla quale il cristiano aderisce con profonda fede.
Con la fede di Maria Santissima che, nella gloria della sua intatta verginità, concepì e generò il Figlio di Dio fatto uomo.
Con la fede di San Giuseppe che lo custodì e lo protesse con immensa dedizione d'amore.
Con la fede dei pastori che accorsero subito alla grotta della natività.
Con la fede dei Magi che lo intravidero nel segno della stella e, dopo lunghe ricerche, poterono contemplarlo e adorarlo nelle braccia della Vergine Madre.
Che il nuovo anno sia vissuto da tutti sotto il segno di questa grande gioia interiore, frutto della certezza che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
È l'augurio che rivolgo a tutti voi che siete presenti a questa prima udienza generale del 1981 ed a tutti i vostri cari.
1. Che cosa significa l'affermazione: "La carne … ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne"? ( Gal 5,17 )
Questa domanda sembra importante, anzi fondamentale nel contesto delle nostre riflessioni sulla purezza di cuore, di cui parla il Vangelo.
Tuttavia, l'Autore della lettera ai Galati apre davanti a noi, a questo riguardo, orizzonti ancor più vasti.
In questa contrapposizione della "carne" allo Spirito (Spirito di Dio), e della vita "secondo la carne" alla vita "secondo lo Spirito" è contenuta la teologia paolina circa la giustificazione, cioè l'espressione della fede nel realismo antropologico ed etico della redenzione compiuta da Cristo, che Paolo, nel contesto a noi già noto, chiama anche "redenzione del corpo".
Secondo la Lettera ai Romani ( Rm 8,23 ), la "redenzione del corpo" ha anche una dimensione "cosmica" ( riferita a tutta la creazione ), ma al centro di essa vi è l'uomo: l'uomo costituito nell'unità personale dello spirito e del corpo.
E appunto in questo uomo, nel suo "cuore", e conseguentemente in tutto il suo comportamento, fruttifica la redenzione di Cristo, grazie a quelle forze dello Spirito che attuano la "giustificazione", cioè fanno sì che la giustizia "abbondi" nell'uomo come è inculcato nel discorso della montagna: Matteo ( Mt 5,20 ), cioè "abbondi" nella misura che Dio stesso ha voluto e che Egli attende.
2. È significativo che Paolo, parlando delle "opere della carne" ( cf. Gal 5,11-21 ), menziona non soltanto "fornicazione, impurità, libertinaggio … ubriachezza, orge" – quindi, tutto ciò che, secondo un modo di comprendere oggettivo, riveste il carattere dei "peccati carnali" e del godimento sensuale collegato con la carne – ma nomina anche altri peccati, ai quali non saremmo portati ad attribuire un carattere anche "carnale" e "sensuale": "idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie …" ( Gal 5,20-21 ).
Secondo le nostre categorie antropologiche ( ed etiche ) noi saremmo propensi piuttosto a chiamare tutte le "opere" qui elencate "peccati dello spirito" umano, anziché peccati della "carne".
Non senza motivo avremmo potuto intravedere in esse piuttosto gli effetti della "concupiscenza degli occhi" o della "superbia della vita" che non gli effetti della "concupiscenza della carne".
Tuttavia, Paolo le qualifica tutte come "opere della carne".
Ciò s'intende esclusivamente sullo sfondo di quel significato più ampio ( in certo senso metonimico ), che nelle lettere paoline assume il termine "carne", contrapposto non soltanto e non tanto allo "spirito" umano quanto allo Spirito Santo che opera nell'anima ( nello spirito ) dell'uomo.
3. Esiste, dunque, una significativa analogia tra ciò che Paolo definisce come "opere della carne" e le parole con cui Cristo spiega ai suoi discepoli ciò che prima aveva detto ai farisei circa la "purezza" e l'"impurità" rituale ( cf. Mt 15,2-20 ).
Secondo le parole di Cristo, la vera "purezza" ( come anche l'"impurità" ) in senso morale sta nel "cuore" e proviene "dal cuore" umano.
Come "opere impure" nello stesso senso, sono definiti non soltanto gli "adulteri" e le "prostituzioni", quindi i "peccati della carne" in senso stretto, ma anche i "propositi malvagi … i furti, le false testimonianze, le bestemmie".
Cristo, come abbiamo già potuto costatare, si serve qui del significato tanto generale quanto specifico dell'"impurità" ( e quindi indirettamente anche della "purezza" ).
San Paolo si esprime in maniera analoga: le opere "della carne" sono intese nel testo paolino in senso tanto generale quanto specifico.
Tutti i peccati sono espressione della "vita secondo la carne", che è in contrasto con la "vita secondo lo Spirito".
Quello che, conformemente alla nostra convenzione linguistica ( del resto parzialmente giustificata ), viene considerato come "peccato della carne", nell'elenco paolino è una delle tante manifestazioni ( o specie ) di ciò che egli denomina "opere della carne", e, in questo senso, uno dei sintomi, cioè delle attualizzazioni della vita "secondo la carne" e non "secondo lo Spirito".
4. Le parole di Paolo scritte ai Romani: "Così dunque, fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete" ( Rm 8,12-13 ), c'introducono nuovamente nella ricca e differenziata sfera dei significati, che i termini "corpo" e "spirito" hanno per lui.
Tuttavia, il significato definitivo di quell'enunciato è parenetico, esortativo, quindi valido per l'ethos evangelico.
Paolo, quando parla della necessità di far morire le opere del corpo con l'aiuto dello Spirito, esprime appunto ciò di cui Cristo ha parlato nel Discorso della Montagna, facendo richiamo al cuore umano ed esortandolo al dominio dei desideri, anche di quelli che si esprimono nello "sguardo" dell'uomo rivolto verso la donna al fine di appagare la concupiscenza della carne.
Tale superamento, ossia, come scrive Paolo, il "far morire le opere del corpo con l'aiuto dello Spirito", è condizione indispensabile della "vita secondo lo Spirito", cioè della "vita" che è antitesi della "morte" di cui si parla nello stesso contesto.
La vita "secondo la carne" fruttifica infatti la "morte", cioè comporta come effetto la "morte" dello Spirito.
Dunque, il termine "morte" non significa soltanto morte corporale, ma anche il peccato, che la teologia morale chiamerà mortale.
Nelle Lettere ai Romani e ai Galati l'Apostolo allarga continuamente l'orizzonte del "peccato-morte", sia verso il "principio" della storia dell'uomo, sia verso il suo termine.
E perciò, dopo aver elencato le multiformi "opere della carne", afferma che "chi le compie non erediterà il regno di Dio" ( Gal 5,21 ).
Altrove scriverà con simile fermezza: "Sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolatri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio" ( Ef 5,5 ).
Anche in questo caso, le opere che escludono dall'aver "parte al regno di Cristo e di Dio" – cioè le "opere della carne" – vengono elencate come esempio e con valore generale, sebbene al primo posto stiano qui i peccati contro la "purezza" nel senso specifico ( cf. Ef 5,3-7 ).
5. Per completare il quadro della contrapposizione tra il "corpo" e il "frutto dello Spirito" bisogna osservare che in tutto ciò che è manifestazione della vita e del comportamento secondo lo Spirito, Paolo vede ad un tempo la manifestazione di quella libertà, per la quale Cristo "ci ha liberati" ( Gal 5,1 ).
Così egli scrive appunto: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà.
Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri.
Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso" ( Gal 5,13-14 ).
Come già in precedenza abbiamo rilevato, la contrapposizione "corpo-Spirito", vita "secondo la carne", vita "secondo lo Spirito", permea profondamente tutta la dottrina paolina sulla giustificazione.
L'Apostolo delle Genti, con eccezionale forza di convinzione, proclama che la giustificazione dell'uomo si compie in Cristo e per Cristo.
L'uomo consegue la giustificazione nella "fede che opera per mezzo della carità" ( Gal 5,6 ), e non solo mediante l'osservanza delle singole prescrizioni della Legge anticotestamentaria ( in particolare, della circoncisione ).
La giustificazione viene quindi "dallo Spirito" ( di Dio ) e non "dalla carne".
Egli esorta, perciò, i destinatari della sua lettera a liberarsi dalla erronea concezione "carnale" della giustificazione, per seguire quella vera, cioè, quella "spirituale", in questo senso li esorta a ritenersi liberi dalla Legge, e ancor più ad esser liberi della libertà, per la quale Cristo "ci ha liberati".
Così, dunque, seguendo il pensiero dell'Apostolo, ci conviene considerare e soprattutto realizzare la purezza evangelica, cioè la purezza di cuore, secondo la misura di quella libertà per la quale Cristo "ci ha liberati".