15 Giugno 1983
Carissimi fratelli e sorelle.
1. Rinnovando sacramentalmente il sacrificio redentore, l'Eucaristia tende ad applicare agli uomini d'oggi la riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l'umanità di ogni tempo.
Le parole che il sacerdote pronuncia al momento della consacrazione del vino esprimono più direttamente questa efficacia, in quanto affermano che il Sangue di Cristo, reso presente sull'altare, è stato versato per la moltitudine degli uomini "in remissione dei peccati".
Sono parole efficaci: ogni consacrazione eucaristica ottiene un effetto di remissione dei peccati per il mondo e contribuisce così alla riconciliazione dell'umanità peccatrice con Dio.
Il sacrificio offerto nell'Eucaristia non è, infatti, un semplice sacrificio di lode; è sacrificio espiatorio o "propiziatorio", come ha dichiarato il Concilio di Trento, poiché in esso si rinnova il sacrificio stesso della Croce, nel quale Cristo ha espiato per tutti e ha meritato il perdono delle colpe dell'umanità.
Coloro pertanto che partecipano al sacrificio eucaristico ricevono una grazia speciale di perdono e di riconciliazione.
Unendosi all'offerta di Cristo essi possono ricevere più abbondantemente il frutto dell'immolazione che egli ha fatto di sé sulla Croce.
Tuttavia, il frutto principale dell'Eucaristia-Sacramento non è la remissione dei peccati in coloro che vi partecipano.
Per tale scopo un altro Sacramento è stato istituito espressamente da Gesù Cristo.
Dopo la sua Risurrezione, il Salvatore risorto disse ai suoi discepoli: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimettete, resteranno non rimessi" ( Gv 20,22-23 ).
A coloro ai quali affida il ministero sacerdotale egli dà il potere di rimettere tutti i peccati: il perdono divino sarà accordato nella Chiesa dai ministri della Chiesa.
L'Eucaristia non può sostituirsi a questo Sacramento del perdono e della riconciliazione, che conserva tale proprio valore, pur restando in stretta connessione col Sacrificio dell'Altare.
2. Nell'Eucaristia vi è una speciale esigenza di purezza, che Gesù ha espressamente sottolineato nell'ultima Cena.
Quando si mise a lavare i piedi dei discepoli, egli certo desiderava dare ad essi una lezione di umile servizio, perché, con quel gesto, rispondeva alla contesa sorta tra loro per sapere chi fosse il più grande ( cf. Lc 22,24 ).
Ma mentre li illuminava circa la via dell'umiltà, invitandoli col suo esempio ad incamminarvisi coraggiosamente, egli intendeva altresì far loro comprendere che, per il pasto eucaristico, era necessaria anche una purezza di cuore che solo lui, il Salvatore, era in grado di dare.
Egli riconobbe allora tale purezza nei dodici, tranne che in uno: "Voi siete mondi, ma non tutti" ( Gv 13,10 ).
Colui che si apprestava a tradirlo non poteva partecipare al banchetto se non con sentimenti ipocriti.
L'evangelista ci dice che, dal momento in cui Giuda ricevette il boccone dato da Gesù, "Satana entrò in lui" ( Gv 13,27 ).
Per ricevere in sé la grazia del cibo eucaristico, sono richieste determinate disposizioni dell'animo, in assenza delle quali il pasto rischia di trasformarsi in un tradimento.
San Paolo, testimone di certe divisioni che si manifestavano in modo scandaloso durante il banchetto eucaristico a Corinto, è uscito in un ammonimento destinato a far riflettere non solo quei fedeli, ma molti altri cristiani: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.
Ciascuno, pertanto, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" ( 1 Cor 11,27-29 ).
Prima di accedere alla tavola eucaristica, il cristiano è dunque invitato ad esaminarsi per sapere se le sue disposizioni gli permettono di ricevere degnamente la comunione.
Beninteso! In un certo senso, nessuno è degno di ricevere in nutrimento il Corpo di Cristo, e i partecipanti all'Eucaristia confessano, al momento della comunione, che non sono degni di accogliere in se stessi il Signore.
Ma l'indegnità di cui parla san Paolo significa altra cosa: essa si riferisce a disposizioni interiori incompatibili col banchetto eucaristico, perché opposte all'accoglienza del Cristo.
3. Per assicurare meglio i fedeli circa l'assenza di tali disposizioni negative, la liturgia prevede all'inizio della celebrazione eucaristica una preparazione penitenziale: i partecipanti si riconoscono peccatori e implorano il perdono divino.
Anche se vivono abitualmente nell'amicizia del Signore, essi riprendono coscienza delle loro colpe e imperfezioni, e del bisogno che hanno della misericordia divina.
Vogliono presentarsi all'Eucaristia con la più grande purezza.
Tale preparazione penitenziale sarebbe, però, insufficiente per coloro che avessero un peccato mortale sulla coscienza.
Il ricorso al Sacramento della riconciliazione è allora necessario, al fine di accedere degnamente alla Comunione eucaristica.
La Chiesa tuttavia auspica che, anche al di fuori di questo caso di necessità, i cristiani ricorrano al Sacramento del perdono con una ragionevole frequenza per favorire la presenza in se stessi di disposizioni sempre migliori.
La preparazione penitenziale all'inizio di ogni celebrazione non deve pertanto far ritenere inutile il Sacramento del perdono, ma ravvivare anzi nei partecipanti la coscienza di un sempre maggiore bisogno di purezza e con ciò far loro sentire sempre meglio il valore della grazia del Sacramento.
Il Sacramento della riconciliazione non è riservato soltanto a quelli che commettono colpe gravi.
Esso è stato istituito per la remissione di tutti i peccati, e la grazia che da esso fluisce ha una efficacia speciale di purificazione e di sostegno nello sforzo di emendamento e di progresso.
È un Sacramento insostituibile nella vita cristiana; non può essere né disprezzato, né trascurato, se si vuole che il germe della vita divina si sviluppi nel cristiano e dia tutti i frutti desiderati.