6 Luglio 2005
Cantico cfr Ef 1,3-10
1. Questo inno della Lettera agli Efesini ( Ef 1,3-14 ), che ritorna nella Liturgia dei Vespri di ognuna delle quattro settimane, è una preghiera di benedizione rivolta a Dio Padre.
Il suo svolgimento è dedicato a delineare le varie tappe del piano di salvezza che si compie attraverso l’opera di Cristo.
Al centro della benedizione risuona il vocabolo greco mysterion, un termine associato di solito ai verbi di rivelazione ( « rivelare », « conoscere », « manifestare » ).
È questo, infatti, il grande progetto segreto che il Padre aveva custodito in se stesso fin dall’eternità ( Ef 1,9 ) e che ha deciso di attuare e rivelare « nella pienezza dei tempi » ( Ef 1,10 ) in Gesù Cristo, suo Figlio.
Le tappe di questo piano sono scandite nell’inno dalle azioni salvifiche di Dio per Cristo nello Spirito.
Il Padre innanzitutto ci sceglie perché camminiamo santi e immacolati nell’amore ( Ef 1,4 ), poi ci predestina ad essere suoi figli ( Ef 1,5-6 ), inoltre ci redime e ci rimette i peccati ( Ef 1,7-8 ), ci svela pienamente il mistero della salvezza in Cristo ( Ef 1,9-10 ), infine ci dona l’eredità eterna ( Ef 1,11-12 ) offrendocene la caparra nel dono dello Spirito Santo in vista della risurrezione finale ( Ef 1,13-14 ).
2. Molteplici sono, quindi, gli eventi salvifici che si succedono nello snodarsi dell’inno.
Essi coinvolgono le tre Persone della Santissima Trinità: si parte dal Padre, che è l’iniziatore e l’artefice supremo del piano di salvezza; si fissa lo sguardo sul Figlio che realizza il disegno all’interno della storia; si giunge allo Spirito Santo che imprime il suo « suggello » a tutta l’opera della salvezza.
Noi ora ci fermiamo brevemente sulle prime due tappe, quelle della santità e della filiazione ( Ef 1,4-6 ).
Il primo gesto divino, rivelato e attuato in Cristo, è l’elezione dei credenti, frutto di un’iniziativa libera e gratuita di Dio.
In principio, quindi, « prima della creazione del mondo » ( Ef 1,4 ), nell’eternità di Dio, la grazia divina è disponibile ad entrare in azione.
Questa chiamata ha come contenuto la «santità» che è partecipazione alla purezza trascendente dell’Essere divino e alla sua intima essenza di « carità »: « Dio è amore » ( 1 Gv 4,8.16 ).
L’agape diventa così la nostra realtà morale profonda.
Siamo, quindi, trasferiti nell’orizzonte sacro e vitale di Dio stesso.
3. In questa linea si procede verso l’altra tappa, anch’essa contemplata nel piano divino fin dall’eternità: la nostra « predestinazione » a figli di Dio.
Paolo esalta altrove ( Gal 4,5; Rm 8,15.23 ) questa sublime condizione di figli che implica la fraternità con Cristo, il Figlio per eccellenza, « primogenito tra molti fratelli » ( Rm 8,29 ) e l’intimità nei confronti del Padre celeste che può ormai essere invocato Abbá, « padre caro », in un rapporto di spontaneità e di amore.
Siamo, quindi, in presenza di un dono immenso reso possibile dal « beneplacito della volontà » divina e dalla « grazia », luminosa espressione dell’amore che salva.
4. Ci affidiamo ora, in conclusione, al grande Vescovo di Milano, sant’Ambrogio, il quale in una delle lettere commenta le parole dell’apostolo Paolo agli Efesini, soffermandosi proprio sul ricco contenuto del nostro inno cristologico.
Egli sottolinea innanzitutto la grazia sovrabbondante con la quale Dio ci ha resi suoi figli adottivi in Cristo Gesù.
« Non bisogna perciò dubitare che le membra siano unite al loro capo, soprattutto perché fin dal principio siamo stati predestinati all’adozione di figli di Dio, per mezzo di Gesù Cristo » ( Lettera XVI ad Ireneo, 4: SAEMO, XIX, Milano-Roma 1988, p. 161 ).
Il santo Vescovo di Milano prosegue la propria riflessione osservando: « Chi è ricco, se non il solo Dio, creatore di tutte le cose? ».
E conclude: « Ma è molto più ricco di misericordia, poiché ha redento tutti e – quale autore della natura – ha trasformato noi, che secondo la natura della carne eravamo figli dell’ira e soggetti al castigo, perché fossimo figli della pace e della carità» ( n. 7: ibidem, p. 163 ).