13 Maggio 2015

La Famiglia - 14. Le tre parole

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi è come la porta d’ingresso di una serie di riflessioni sulla vita della famiglia, la sua vita reale, con i suoi tempi e i suoi avvenimenti.

Su questa porta d’ingresso sono scritte tre parole, che ho già utilizzato diverse volte.

E queste parole sono: “permesso?”, “grazie”, “scusa”.

Infatti queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace.

Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica!

Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare.

Noi le intendiamo normalmente come le parole della “buona educazione”.

Va bene, una persona ben educata chiede permesso, dice grazie o si scusa se sbaglia.

Va bene, la buona educazione è molto importante.

Un grande vescovo, san Francesco di Sales, soleva dire che “la buona educazione è già mezza santità”.

Però, attenzione, nella storia abbiamo conosciuto anche un formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro.

Si usa dire: “Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini”.

Nemmeno la religione è al riparo da questo rischio, che fa scivolare l’osservanza formale nella mondanità spirituale.

Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo!

Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio.

Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro.

La famiglia vive di questa finezza del voler bene.

La prima parola è “permesso?”.

Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare.

Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto.

La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato.

E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore.

A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro dell’Apocalisse: « Ecco, io sto alla porta e busso.

Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » ( Ap 3,20 ).

Anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo.

Prima di fare una cosa in famiglia: “Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?”.

Quel linguaggio educato e pieno d’amore.

E questo fa tanto bene alle famiglie.

La seconda parola è “grazie”.

Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione.

Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente.

La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza.

Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia.

Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui.

Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà.

La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio.

Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio.

Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare ( cfr Lc 17,18 ).

Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: “La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili”.

Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine.

È il fiore di un’anima nobile.

È una bella cosa questa!

La terza parola è “scusa”.

Parola difficile, certo, eppure così necessaria.

Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi.

Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori » ( Mt 6,12 ).

Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono.

E così si ferma l’infezione.

Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare.

Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti.

Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”.

Nella vita matrimoniale si litiga, a volte anche “volano i piatti”, ma vi do un consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace!

Sentite bene: avete litigato moglie e marito?

Figli con i genitori?

Avete litigato forte?

Non va bene, ma non è il vero problema.

Il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo.

Per questo, se avete litigato, mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia.

E come devo fare la pace?

Mettermi in ginocchio? No!

Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna.

Basta una carezza! Senza parole.

Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace!

Capito questo? Non è facile, ma si deve fare.

E con questo la vita sarà più bella.

Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno sorridere.

Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero?

La nostra educazione, forse, le trascura troppo.

Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile.

E adesso vi invito a ripetere tutti insieme queste tre parole: “permesso”, “grazie”, “scusa”.

Tutti insieme: ( piazza ) “permesso”, “grazie”, “scusa”.

Sono le parole per entrare proprio nell’amore della famiglia, perché la famiglia vada rimanga.

Poi ripetiamo quel consiglio che ho dato, tutti insieme: Mai finire la giornata senza fare la pace.

Tutti: ( piazza ): Mai finire la giornata senza fare la pace.

Grazie.