Apertura anno Internazionale della Gioventù
Sabato 30 marzo 1985
Carissimi giovani!
1. Siate i benvenuti!
A molti di voi penso di poter dire: bentornati!
Ci incontriamo infatti così come un anno fa.
Allora si celebrava il Giubileo straordinario della redenzione: e ci lasciammo con l'impegno di rivederci ancora.
Ora l'incontro si rinnova in occasione della celebrazione dell'Anno internazionale della gioventù, indetto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per questo 1985, nella consapevolezza del peso decisivo che i giovani hanno in ogni progetto che riguardi il futuro.
La Chiesa desidera apportare a tale iniziativa il suo contributo.
Per questo ho indirizzato specificatamente a voi giovani il messaggio per la Giornata della pace, il 1° gennaio di quest'anno.
E ora viviamo insieme questo incontro internazionale nel quale - lo vedo con immensa gioia - siete confluiti numerosi da ogni parte del mondo.
Mi è gradito rivolgere un deferente saluto alla delegazione delle Nazioni Unite, guidata dalla signora Leticia Ramos Shahani, assistente segretario generale del Centro per lo sviluppo sociale e gli affari umanitari e alla delegazione dell'UNESCO, guidata dal signor Gérard Bolla e dal signor Pier Luigi Vagliani, attivamente impegnati nella preparazione del Congresso mondiale di Barcellona.
Saluto, inoltre, il rappresentante del signor ministro degli Esteri d'Italia.
L'idea guida, che le Nazioni unite hanno consegnato a questo Anno, si articola in tre parole dense di contenuto: partecipazione, sviluppo, pace.
Tre valori di fondo, tre traguardi verso i quali sono invitati a far convergere i loro sforzi tutti i giovani del mondo.
Soprattutto sul primo, la partecipazione, fermeremo questa sera la nostra attenzione.
2. Carissimi giovani, lasciate che ripeta a voi il saluto così significativo che l'apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani del suo tempo: "Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo" ( Rm 1,7 ).
Intendo raggiungere con questo saluto in particolare i giovani e le giovani che sono con noi per la prima volta.
Mi auguro che possano trovarsi pienamente a loro agio e che la loro presenza rechi un'onda di freschezza nuova, da cui scaturisca maggior gioia per tutti.
3. Cari amici e amiche, quando mi sono rivolto a voi nelle diverse lingue, i gruppi appartenenti alle singole lingue, hanno reagito prontamente, testimoniando con grida e applausi la gioia suscitata in loro dal sentirsi direttamente interpellati.
La lingua fa sì che ci sentiamo legati alla comunità della nazione, popolo o etnia, a cui apparteniamo.
Mediante la lingua noi sentiamo di partecipare a questa comunità.
E non solo mediante la lingua.
Vi sono anche altri fattori che contribuiscono a sviluppare in noi questo senso di partecipazione alle rispettive patrie: la storia, la cultura, le tradizioni, il costume.
In un certo senso lo è pure la religione.
Ma che cosa vuol dire esattamente: partecipazione? Vuol dire: essere insieme con gli altri, e allo stesso tempo: essere se stessi mediante quell'"essere insieme".
Ciò che unisce gli uomini fra loro, ciò che li fa partecipare gli uni alla vita degli altri, è la condivisione dei beni, è la comune accettazione dei valori.
4. È quanto appare con particolare evidenza nella comunità familiare.
La famiglia, infatti, non è soltanto una comunità: essa è una "comunione di persone".
Il che significa che ciascuno dei membri della famiglia partecipa all'"umanità" degli altri: marito e moglie - genitori e figli - figli e genitori.
È grande, dunque, l'importanza della famiglia come scuola di partecipazione!
Ed è perciò grande perdita quando manca questa scuola di partecipazione, quando la famiglia è distrutta.
Carissimi giovani, impegnatevi a costruire nel vostro futuro famiglie sane.
Ho parlato di questo nella speciale lettera che vi ho indirizzato.
Una famiglia sana è la garanzia più sicura di serenità per i coniugi ed è il dono più grande che essi possano fare ai loro figli.
5. Inoltre: la Chiesa è una scuola particolare di partecipazione, ce lo fa capire l'avvenimento più importante della vita ecclesiale: la partecipazione alla santa messa.
Che cosa significa: "partecipare alla santa messa"?
Notate bene: non solo "essere presenti alla messa", ma "partecipare alla messa".
Per rispondere alla domanda occorre capire che cosa è la messa.
Essa non è semplicemente un rito sacro, al quale si può assistere da spettatori, per così dire, "neutrali".
La messa è il sacrificio di Cristo e il banchetto che egli stesso imbandisce e al quale invita tutti noi come commensali.
Il cibo che egli offre sulla mensa eucaristica è la sua carne e il suo sangue, che egli distribuisce ai commensali sotto le apparenze del pane e del vino "in memoria" del corpo e del sangue versato sulla croce.
"Prendete e mangiate … Prendete e bevete …": alla cena eucaristica tutti si è invitati a partecipare, perché in essa si rinnova misticamente ciò che tutti interessa, il mistero della morte e risurrezione del Signore, grazie a cui tutti siamo stati redenti.
Se in ogni gruppo di fedeli che si raccoglie nel nome di Cristo, già si attua una sua speciale presenza - non ha forse promesso lui stesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" ( Mt 18,20 )? - quanto maggiormente la sua presenza è viva e reale nella comunità stretta attorno al suo altare!
Qui è lui nella realtà della sua carne e del suo sangue che sta al centro della comunità, e che, chiamando ciascuno a cibarsi di questo alimento divino, fa di tutti una cosa sola in se stesso: "Poiché c'è un solo pane - osserva con logica stringente San Paolo - noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" ( 1 Cor 10,17 ).
6. La Chiesa ci educa, dunque, alla partecipazione, facendoci entrare in comunione col mistero di Cristo, e in particolare col mistero pasquale, cioè con la sua passione, morte e risurrezione.
Questo è il mistero della redenzione; cioè dell'alleanza che Dio ha stabilito con l'uomo, con l'intera umanità, stipulandola "nel sangue", cioè nel sacrificio del Figlio suo, Gesù Cristo, nostro Signore.
Siamo chiamati anche noi a questa alleanza; e tale partecipazione riveste carattere continuo, abituale.
L'uomo vi partecipa anzitutto mediante il Battesimo, sacramento nel quale Dio, a conferma della sua volontà di amicizia non soggetta a ripensamenti, imprime nell'anima del nuovo cristiano il proprio sigillo indelebile.
Dio è fedele; la sua alleanza non ha un carattere provvisorio, ma stabile.
I vari sacramenti successivi al Battesimo non sono, nel piano di Dio, che conferme e approfondimenti dell'iniziale e non mai smentita alleanza, che egli ha stabilito con ciascuno di noi.
L'uomo, però, non sa purtroppo corrispondere con un'uguale fedeltà all'iniziativa di Dio.
Nel peccato egli si ribella all'alleanza e giunge a infrangerla.
Ma l'amore di Dio non si arresta neppure di fronte a questa ingratitudine: nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione si fa incontro al peccatore pentito per accoglierlo di nuovo in casa, e allacciare nuovamente con lui i vincoli dell'alleanza a cui non è mai venuto meno.
Come fa il padre della parabola evangelica, che voi ben conoscete.
7. Ogni aspetto della vita cristiana è ontologicamente espressivo della partecipazione alla nuova alleanza che Dio ha stipulato in Cristo con l'umanità.
A questo dato ontologico corrisponde un impegno esistenziale: il cristiano è tenuto a testimoniare dinamicamente nella vita la nuova realtà di cui l'amore di Dio lo ha reso partecipe.
Egli, in altre parole, è chiamato a partecipare nella comunità della Chiesa, alla missione salvifica di Cristo.
Il Concilio Vaticano II ha illustrato con particolare vivezza questo aspetto della vita cristiana.
Ad esempio, la Lumen Gentium ha detto: "L'apostolato dei laici è partecipazione alla stessa salvifica missione della Chiesa, e a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della Confermazione.
Dai sacramenti poi, e specialmente dalla sacra Eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini, che è l'anima di tutto l'apostolato.
Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo.
Così ogni laico, per ragione degli stessi doni ricevuti, è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa "secondo la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono" ( Ef 4,7 )" ( Lumen Gentium, 33 ).
Il Concilio accenna poi anche alla missione dei laici che sono chiamati "in diversi modi a collaborare più immediatamente con l'apostolato della gerarchia, a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l'apostolo Paolo nella evangelizzazione, faticando molto per il Signore" ( Ivi ).
Tutti siamo dunque chiamati ad essere testimoni di Cristo a somiglianza degli apostoli.
È una chiamata che ha la sua radice nel Battesimo, ma che trova la sua esplicitazione formale nel sacramento della maturità cristiana, la Cresima, che rende il cristiano partecipi in modo specifico della missione salvifica e profetica del Redentore, e lo conferma - "Confirmatio!" - negli impegni quotidiani di tale vocazione.
Carissimi giovani, penso in questo momento ai diversi gruppi, comunità, movimenti, dei quali molti di voi fanno parte.
Non dimenticatelo!
L'autenticità di codeste associazioni ha un criterio ben preciso sul quale misurarsi: il gruppo, la comunità, il movimento al quale appartenete è autentico nella misura in cui vi aiuta a partecipare alla missione salvifica della Chiesa, realizzando così la vostra vocazione cristiana nei diversi campi nei quali la Provvidenza vi ha posti ad operare.
8. Quale ricchezza di significato ha, per il cristiano, questa parola: partecipazione!
Eppure quello che ho detto finora non ha ancora mostrato in pieno quella partecipazione, alla quale ci chiama il Vangelo.
Il nucleo centrale del messaggio di Cristo, prospettiva di incandescente luminosità a cui la ragione umana da sola neppure oserebbe pensare, vi è ben nota: in Gesù Cristo, noi siamo chiamati a partecipare alla vita stessa di Dio, alla santissima Trinità.
Questo è il dono della grazia.
E la grazia è reale "partecipazione alla natura divina".
Sono le parole della seconda Lettera di Pietro ( 2 Pt 1,4 ).
E l'apostolo Giovanni ci ammonisce: "Fin d'ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora stabilito.
Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" ( 1 Gv 3,2 ).
In ciò consiste la sostanza stessa del piano salvifico di Dio.
Il nostro traguardo è perciò una "assimilazione" a Dio, in cui la capacità di partecipazione, che è propria della nostra natura, viene trascesa e sublimata fino ad aprirsi al palpito stesso della vita che è propria di Dio.
La Chiesa, che ci indirizza verso questa meta suprema, è il sacramento di tale partecipazione.
Tutti gli aspetti della sua vita - la preghiera, i sacramenti, la liturgia - non hanno altro scopo che questo: aiutare i cristiani ad incarnare nella propria vita la realtà di tale partecipazione all'amore di Dio e delle esigenze che ne derivano.
9. Tra queste esigenze la prima e più fondamentale è l'amore.
La vita divina, infatti, è comunione di amore.
Se essa è l'apice e la pienezza della "partecipazione" a cui siamo chiamati, è logico che il comandamento più grande sia quello dell'amore di Dio e del prossimo.
Dobbiamo "partecipare" alla divinità e maturare in questa partecipazione a misura dell'eternità, partecipando all'umanità dei nostri fratelli: vicini e lontani.
Questo è pure il "midollo etico" della nostra vocazione: cristiana e umana.
Il comandamento dell'amore si inserisce organicamente nella vocazione alla partecipazione.
10. Così dunque voi giovani, nella scuola delle vostre famiglie, delle vostre comunità, delle vostre nazioni, nella scuola della Chiesa dovete educarvi a tutta la ricchezza della "partecipazione" nella dimensione inter-umana ( sociale ) e, contemporaneamente, religiosa e soprannaturale.
Siete chiamati a partecipare al vero e autentico sviluppo, che, mediante il giusto equilibrio tra "essere" e "avere", deve diventare sempre di più progresso nella giustizia nei vari ambiti e sotto i diversi profili; deve diventare progresso nella civiltà dell'amore.
Voi giovani siete pure chiamati a partecipare a quel grande e indispensabile sforzo di tutta l'umanità, che ha come scopo di allontanare lo spettro della guerra e di costruire la pace.
Voi dovete essere "operatori di pace" secondo la multiforme portata di questo termine, che abbraccia significati ben più ricchi della semplice assenza di guerra.
Voi dovete essere "operatori di pace" e quindi sentirvi impegnati a costruire una società veramente fraterna.
Su questo argomento mi sono soffermato nel messaggio del 1° gennaio per la Giornata Mondiale della Pace.
Non sarà inutile riprenderlo in mano, per tornare a soppesarne i contenuti.
In esso, sottolineando che "la Pace e i giovani camminano insieme", annotavo tra l'altro: "Il futuro della pace e, quindi, il futuro dell'umanità sono affidati in modo speciale alle fondamentali scelte morali che una nuova generazione di uomini e di donne è chiamata a fare".
11. La nuova generazione siete voi.
All'inizio della lettera che, in vista di questo incontro, ho indirizzato alla gioventù di tutto il mondo, ho posto, sulla scorta della prima Lettera di Pietro, il seguente augurio: "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" ( Giovanni Paolo II, Epistula Apostolica ad iuvenes, 15, 31 marzo 1985 ).
Vi ripeto ora quest'augurio, terminando con esso il mio intervento.
E insieme vi invito a "partecipare" alla liturgia di domani.
Tutti insieme sulla via di Cristo!
Tutti insieme sulle vie dell'amore! Nessuno si tiri indietro.
Io vi sono vicino.
Sempre!
E con tutto il cuore vi benedico.