Omelia
Piazza San Pietro Domenica, 1° aprile 2007
Cari fratelli e sorelle,
nella processione della Domenica delle Palme ci associamo alla folla dei discepoli che, in gioia festosa, accompagnano il Signore nel suo ingresso in Gerusalemme.
Come loro lodiamo il Signore a gran voce per tutti i prodigi che abbiamo veduto.
Sì, anche noi abbiamo visto e vediamo tuttora i prodigi di Cristo:
come Egli porti uomini e donne a rinunciare alle comodità della propria vita e a mettersi totalmente a servizio dei sofferenti;
come Egli dia il coraggio a uomini e donne di opporsi alla violenza e alla menzogna, per far posto nel mondo alla verità;
come Egli, nel segreto, induca uomini e donne a far del bene agli altri, a suscitare la riconciliazione dove c’era l’odio, a creare la pace dove regnava l’inimicizia.
La processione è anzitutto una gioiosa testimonianza che rendiamo a Gesù Cristo, nel quale è diventato visibile a noi il Volto di Dio e grazie al quale il cuore di Dio è aperto a tutti noi.
Nel Vangelo di Luca il racconto dell’inizio del corteo nei pressi di Gerusalemme è composto in parte letteralmente sul modello del rito dell’incoronazione col quale, secondo il Primo Libro dei Re, Salomone fu rivestito come erede della regalità di Davide ( 1 Re 1,33-35 ).
Così la processione delle Palme è anche una processione di Cristo Re: noi professiamo la regalità di Gesù Cristo, riconosciamo Gesù come il Figlio di Davide, il vero Salomone – il Re della pace e della giustizia.
Riconoscerlo come Re significa: accettarlo come Colui che ci indica la via, del quale ci fidiamo e che seguiamo.
Significa accettare giorno per giorno la sua parola come criterio valido per la nostra vita.
Significa vedere in Lui l’autorità alla quale ci sottomettiamo.
Ci sottomettiamo a Lui, perché la sua autorità è l’autorità della verità.
La processione delle Palme è – come quella volta per i discepoli – anzitutto espressione di gioia, perché possiamo conoscere Gesù, perché Egli ci concede di essere suoi amici e perché ci ha donato la chiave della vita.
Questa gioia, che sta all’inizio, è però anche espressione del nostro “sì” a Gesù e della nostra disponibilità ad andare con Lui ovunque ci porti.
L’esortazione che stava oggi all’inizio della nostra liturgia interpreta perciò giustamente la processione anche come rappresentazione simbolica di ciò che chiamiamo “sequela di Cristo”: “Chiediamo la grazia di seguirlo”, abbiamo detto.
L’espressione “sequela di Cristo” è una descrizione dell’intera esistenza cristiana in generale.
In che cosa consiste? Che cosa vuol dire in concreto “seguire Cristo?”
All’inizio, con i primi discepoli, il senso era molto semplice ed immediato: significava che queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù.
Significava intraprendere una nuova professione: quella di discepolo.
Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida.
Così la sequela era una cosa esteriore e, allo stesso tempo, molto interiore.
L’aspetto esteriore era il camminare dietro Gesù nelle sue peregrinazioni attraverso la Palestina; quello interiore era il nuovo orientamento dell’esistenza, che non aveva più i suoi punti di riferimento negli affari, nel mestiere che dava da vivere, nella volontà personale, ma che si abbandonava totalmente alla volontà di un Altro.
L’essere a sua disposizione era ormai diventata la ragione di vita.
Quale rinuncia questo comportasse a ciò che era proprio, quale distogliersi da se stessi, lo possiamo riconoscere in modo assai chiaro in alcune scene dei Vangeli.
Ma con ciò si palesa anche che cosa significhi per noi la sequela e quale sia la sua vera essenza per noi: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza.
Richiede che io non sia più chiuso nel mio io considerando la mia autorealizzazione la ragione principale della mia vita.
Richiede che io mi doni liberamente a un Altro – per la verità, per l’amore, per Dio che, in Gesù Cristo, mi precede e mi indica la via.
Si tratta della decisione fondamentale di non considerare più l’utilità e il guadagno, la carriera e il successo come scopo ultimo della mia vita, ma di riconoscere invece come criteri autentici la verità e l’amore.
Si tratta della scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi – per la cosa più grande.
E consideriamo bene che verità e amore non sono valori astratti; in Gesù Cristo essi sono divenuti persona.
Seguendo Lui entro nel servizio della verità e dell’amore.
Perdendomi mi ritrovo.
Ritorniamo alla liturgia e alla processione delle Palme.
In essa la liturgia prevede come canto il Salmo 24, che era anche in Israele un canto processionale usato nella salita al monte del tempio.
Il Salmo interpreta la salita interiore di cui la salita esteriore è immagine e ci spiega così ancora una volta che cosa significhi il salire con Cristo.
“Chi salirà il monte del Signore?”, chiede il Salmo, ed indica due condizioni essenziali.
Coloro che salgono e vogliono giungere veramente in alto, arrivare fino all’altezza vera, devono essere persone che si interrogano su Dio.
Persone che scrutano intorno a sé per cercare Dio, per cercare il suo Volto.
Cari giovani amici – quanto è importante oggi proprio questo: non lasciarsi semplicemente portare qua e la nella vita; non accontentarsi di ciò che tutti pensano e dicono e fanno.
Scrutare Dio e cercare Dio. Non lasciare che la domanda su Dio si dissolva nelle nostre anime.
Il desiderio di ciò che è più grande. Il desiderio di conoscere Lui – il suo Volto…
L’altra condizione molto concreta per la salita è questa: può stare nel luogo santo “chi ha mani innocenti e cuore puro”.
Mani innocenti – sono mani che non vengono usate per atti di violenza.
Sono mani che non sono sporcate con la corruzione, con tangenti.
Cuore puro – quando il cuore è puro?
È puro un cuore che non finge e non si macchia con menzogna e ipocrisia.
Un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva, perché non conosce doppiezza.
È puro un cuore che non si strania con l’ebbrezza del piacere; un cuore il cui amore è vero e non è soltanto passione di un momento.
Mani innocenti e cuore puro: se noi camminiamo con Gesù, saliamo e troviamo le purificazioni che ci portano veramente a quell’altezza a cui l’uomo è destinato: l’amicizia con Dio stesso.
Il salmo 24 che parla della salita termina con una liturgia d’ingresso davanti al portale del tempio: “Sollevate, porte i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria”.
Nella vecchia liturgia della Domenica delle Palme il sacerdote, giunto davanti alla chiesa, bussava fortemente con l’asta della croce della processione al portone ancora chiuso, che in seguito a questo bussare si apriva.
Era una bella immagine per il mistero dello stesso Gesù Cristo che, con il legno della sua croce, con la forza del suo amore che si dona, ha bussato dal lato del mondo alla porta di Dio; dal lato di un mondo che non riusciva a trovare accesso presso Dio.
Con la croce Gesù ha spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini.
Ora essa è aperta.
Ma anche dall’altro lato il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte del mondo, alle porte dei nostri cuori, che così spesso e in così gran numero sono chiuse per Dio.
E ci parla più o meno così: se le prove che Dio nella creazione ti dà della sua esistenza non riescono ad aprirti per Lui; se la parola della Scrittura e il messaggio della Chiesa ti lasciano indifferente – allora guarda a me, al Dio che per te si è reso sofferente, che personalmente patisce con te – vedi che io soffro per amore tuo e apriti a me, tuo Signore e tuo Dio.
È questo l’appello che in quest’ora lasciamo penetrare nel nostro cuore.
Il Signore ci aiuti ad aprire la porta del cuore, la porta del mondo, affinché Egli, il Dio vivente, possa nel suo Figlio arrivare in questo nostro tempo, raggiungere la nostra vita.
Amen.