13 giugno 2021

Domenica 11° Tempo Ordinario Anno B ( Mc 4,26-34 )

A che cosa posiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?

1 – Gesù aveva decisamente il talento del narratore.

Era il suo metodo d'annuncio preferito: raccontare traendo esempi, immagini, similitudini e semplici storie dalla vita della gente.

Egli rivelava l'agire nuovo di Dio e invitava a cogliere l'importanza del tempo presente, che richiedeva una decisione personale.

Perché Gesù parla in parabole?

La parabola fa parte del suo messaggio sulla vicinanza del Regno di Dio allo stesso modo dei miracoli, dei discorsi, del suo mangiare con i peccatori.

La parabola coinvolge l'ascoltatore per offrirgli l'esperienza del Dio vicino.

Con le parabole Gesù intende far incontrare all'ascoltatore il Dio che annuncia, fargli capire le strategie di questo Dio, invitarlo a un cambiamento di mentalità e di prassi.

La parabola non vuole informare o soddisfare l'immaginario.

Agisce direttamente sull'uditore, lo muove, lo fa riflettere, lo invita a coinvolgersi in una dinamica di vita.

Come la gente della campagna, anche Gesù aveva famigliarità con la natura e i suoi ritmi di morte e rinascita, crescita e maturazione.

Conosceva i segni del tempo atmosferico, e in tutto percepiva la silenziosa presenza del Creatore che si curava del creato.

In modo particolare lo affascinavano i semi.

2 – La parabola del grano che cresce da sé.

Il lieto annuncio di Gesù, con i segni che lo accompagnavano, doveva suscitare varie reazioni tra la folla e perfino tra i discepoli: entusiasmo, senza dubbio, ma anche una certa delusione e alcune critiche, perché sembrava non cambiare nulla, non si vedevano segni premonitori del grande intervento di Dio che Egli proclamava imminente.

Si sarebbe detto che Dio rimaneva lontano, che fosse disinteressato.

Si insinuava lo scoraggiamento e la delusione.

Gesù annunciava la vicinanza del regno di Dio, compiva anche qualche prodigio, ma davvero niente di nuovo sembrava essere apparso sotto il sole.

Il Maestro rispondeva con una piccola parabola, poco conosciuta, perché riferita soltanto da Marco.

L'ascoltatore è provocato a dedurre e comprendere da questo piccolo racconto un insegnamento sul regno di Dio.

Il contadino getta il seme e poi non se ne occupa più.

Ma mentre lui è inattivo, il seme, al contrario, è attivo: si sviluppa e cresce fino a maturazione.

Soltanto allora il contadino interviene nuovamente perché è arrivato il momento della mietitura.

La Parola di Dio è seminata e segue il suo corso, anche se nulla apparentemente succede e Dio sembra essere assente; essa tende a maturazione e la mietitura sicuramente avverrà.

Quest'ultima è garantita perché l'ascoltatore può fare, già da subito, l'esperienza di una tale vicinanza di Dio.

Essa fa già sentire i suoi effetti nel cuore dell'uomo, pur senza segni strepitosi.

Bastavano qualche guarigione e qualche esorcismo per rendere convincente la reale vicinanza del Regno, che nell'immaginario religioso del popolo era atteso come intervento glorioso e grandioso che avrebbe stupito il mondo!

Che cosa si vedeva invece?

Pochi miracoli e un rifiuto categorico di compiere segni straordinari, degni di tale nome.

L'apparente insignificanza del ministero di Gesù suscitava delusione in molti.

E Gesù rimandava l'ascoltatore a osservare la vita della natura.

Protagonista è il seme, non il seminatore.

L'attenzione è sulla caratteristica principale del seme: la sua forza interna, la sua vitalità, le sue potenzialità.

È un preciso invito a scoprire l'azione del seme: la Parola di Dio è viva, efficace, irresistibile.

Fa succedere qualcosa, anzi è essa stessa avvenimento, fatto.

La forza vitale non è data al seme dall'attività del contadino.

La possiede in sé.

La parabola non dice che l'uomo non sa, dice che non sa come.

La parabola mette in imbarazzo perché non dice né che cosa dobbiamo fare e nemmeno che cosa dobbiamo evitare.

Dice semplicemente che cosa sta facendo il seme.

3 – La parabola del granello di senape.

L'accento ora non è sul processo di sviluppo, ma sul contrasto tra la piccolezza iniziale del seme e la grandezza finale della pianta.

La scelta del granello di senape, la cui piccolezza era proverbiale, conferma che Gesù vuole sottolineare il contrasto: che sproporzione!

La forza del Regno è già in atto, insinua Gesù, nel suo ministero, apparentemente così insignificante.

Proprio per questo il risultato finale non soltanto è garantito, ma sarà sproporzionato, poiché il Dio che apparirà glorioso e potente a rinnovare la terra alla fine dei tempi è lo stesso Dio che è già all'opera nel presente della storia.

Perché dunque dubitare?

La vita di una semplice pianta aiuta a comprendere l'operare di Dio: un inizio insignificante è parte della sua logica.

Tanti esempi anche nella storia della Chiesa lo potrebbero confermare.

Pur riconoscendo una continuità e quindi un'identità tra il piccolo seme e la grande pianta, il risultato finale è visto con lo stupore con cui si guarda a un miracolo.

Si ammira Dio all'opera sotto le cose.

Gesù non si fa illusioni, non si aspetta col suo annuncio la conversione di tutti gli uomini, ma l'intervento universale e grandioso di Dio che rinnova tutto.

Questa grandiosa visione del Regno di Dio futuro è già presente nell'attività di Gesù, come la pianta nel seme.

Per comprenderlo basta leggere l'insegnamento di Cristo nei vangeli, il dono del perdono divino come nuovo inizio di vita, le esortazioni ad amare anche il nemico, per capire che in esso è attiva una forza che tende all'universale.

Non si deve in questa parabola correre subito col pensiero allo sviluppo e alla diffusione della Chiesa.

Il Regno di Dio è bensì operante sulla terra e nella Chiesa, ma non è una dimensione visibile e un'istituzione esteriore come la Chiesa medesima.

La realtà del Regno sfugge a ogni valutazione e misurazione in base a criteri terrestri, la sua vita e vitalità non sono controllabili.

In parole banali: non è possibile fotografare lo sviluppo del Regno e nemmeno fissarne un momento particolare.

Questa parabola non ci proietta verso il futuro, ci rende attenti al presente.

Ci insegna a prendere sul serio le occasioni che si offrono qui e adesso, e che sono tutte umili e piccole e terrestri.

Ma nascondono la presenza del Regno.

4 – Il coraggio di non essere normali.

Noi cristiani dobbiamo essere attenti a controllare una tentazione particolarmente antievangelica dalla quale, invece, molte volte ci lasciamo incantare: la normalità.

Per la mentalità umana conta il numero.

Tutti cercano di essere in tanti e si vantano di essere in tanti.

Ma il Regno di Dio non è così.

A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio, chiedeva Gesù, e noi gli avremmo risposto: "A una cosa grossa, a una foresta, alle stelle del cielo, a un oceano …".

Macché!

A un granellino di senapa.

Questo è andare contro la normalità.

Questa è la normalità di Dio.

È lo stesso Dio che fa cantare Maria: "Ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umili".

Se vogliamo far parte del suo Regno, se vogliamo essere un segno del suo Regno, dobbiamo accettare di non essere normali.

Dio non ci chiede di andare contro la nostra logica, la nostra intelligenza, ma di gettare il cuore nella fede.

Non ci invita a perdere, ma a fidarci di lui.

Capita spesso di sentire cristiani che si lamentano, perché non si sentono considerati, perché sono esclusi dai poteri che contano, perché sono emarginati, perché sono rimasti in pochi …

Siamo minoranza, è vero, spesso a cominciare dalla nostra famiglia.

Ma non possiamo abbandonare la logica di Dio.

Dobbiamo mettere tutto il nostro impegno e la nostra generosità nell'essere granellino, ma granellino autentico del Regno di Dio, dei suoi valori.

Questa è la nostra forza, la forza della fede.

La forza di vedere quello che i nostri occhi non vedono.

Coraggio.

Seguiamo la logica di Dio, anche se adesso non siamo in grado di capirla.

Ma la capiremo.

5 – Il tema del Regno evoca immediatamente suggestioni di potenza, organizzazione, imponenza … invece Gesù …

Due atteggiamenti colorano così la vita del credente.

La capacità di perseverare nella speranza, anche quando nulla sembra accadere, perché tutto avviene nel nascondimento del terreno in cui il seme è sepolto.

Il Padre sembra non agire, è invece misteriosamente all'opera, nel segreto della storia, e noi al pari del contadino della parabola, non sappiamo come.

Tuttavia il fatto di non conoscere il come non significa che Dio rimanga inattivo o assente: piuttosto dipende dal fatto che il suo modo di agire è spesso così diverso dalle nostre attese.

Il secondo atteggiamento ci rende attenti al quotidiano.

È il più piccolo a divenire il più grande.

In tal modo la parabola più che al futuro, ci invita a vigilare sul presente.

Lo sguardo è chiamato a conversione: in ciò che può apparire piccolo o insignificante, debole o trascurabile, si cela il mistero di una presenza, quella di Dio e del suo Regno.

Anche nel solo bicchiere d'acqua fresca offerto a chi ha sete.

Il Regno di Dio si fa presente secondo una logica di piccolezza, povertà, umiltà.

Come il più piccolo dei semi.

Questo significa che va cercato e trovato nelle realtà ordinarie della vita, che possono sembrarci insignificanti e trascurabili.

Eppure in esse possiamo scoprire una forza prodigiosa, la potenza stessa di Dio, capace di trasformare le nostre vicende.

Questa consapevolezza deve condurci allora a guardare con occhi nuovi alla storia e al nostro cammino personale, perché Dio vi ha già seminato dei semi che a poco a poco diventeranno grandi alberi, se abbiamo la pazienza di attendere, ma anche di assecondare, la loro crescita.

Comprendiamo di conseguenza che il presente che stiamo vivendo è un tempo decisivo: anche se ora può apparirci piccolo e insignificante, diventerà un grande albero.

6 – Oggi non c'è più lo spazio per il colloquio personale.

Ognuno trasformi ciò che Gesù gli ha detto in preghiera.

Riprenderemo le lectio a settembre, di solito al terzo venerdì del mese.

Speriamo in presenza, almeno per chi può.

Buona festa della Consolata e fruttuosa estate.

Don Osvaldo