17 giugno 2022
Accogliere o congedare?
1) – Il gesto di Gesù della Cena viene anticipato dal segno della divisione dei pani, unico miracolo narrato da tutti e quattro i Vangeli, oggi ascoltiamo il racconto di Luca.
Nell'accostare questo episodio potremmo domandarci: con chi ci è più spontaneo identificarci, con le folle che attendono di essere sfamate?
Oppure con i discepoli, sollecitati da Gesù a prendersi cura della necessità della moltitudine?
Di fronte a Gesù come ci collochiamo, dalla parte di coloro che confidano nel suo gesto o da quella di chi vi collabora?
L'interrogativo non è banale, perché ci aiuta a discernere come il racconto di Luca si muova su due piani diversi, o meglio su due piani così interconnessi che l'uno ha bisogno dell'altro.
Ascoltando questo testo ci è spontaneo fissare lo sguardo sul miracolo di Gesù, che divide il pane affinché basti per la fame di tutti.
Non deve però sfuggirci un altro miracolo che Gesù opera: la guarigione del cuore dei discepoli.
Mentre sazia la fame delle folle, Gesù converte l'atteggiamento dei Dodici.
2) – Il brano liturgico omette i versetti immediatamente precedenti, che costituiscono il contesto in cui l'episodio avviene, offrendoci un'importante chiave di lettura.
I Dodici ritornano dalla loro missione, alla quale erano stati inviati all'inizio del capitolo; raccontano tutto ciò che hanno fatto e Gesù li prende con sé, per ritirarsi in disparte.
Tuttavia, "le folle vennero a saperlo e lo seguirono.
Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure".
Ecco un verbo importante: accogliere.
Subito dopo i Dodici gli si avvicinano dicendo: "Congeda la folla perché vada nei villaggi e nella campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta".
È evidente il contrasto tra l'atteggiamento di Gesù e quello dei discepoli: mentre Gesù accoglie, i discepoli congedano.
Si potrebbe immaginare un contrasto più netto?
Per questo motivo Gesù non può preoccuparsi solamente di sfamare i presenti, deve anche convertire il cuore dei suoi discepoli.
Come cura e guarisce le infermità fisiche, o sazia la fame, così cura e guarisce il cuore dell'uomo e colma la sua fame segreta di vita, di verità, di relazione.
3) – Con pazienza e gradualità Gesù fa compiere ai Dodici piccoli essenziali passi di conversione.
Innanzitutto li invita a capire che, anziché congedare le folle, devono accogliere il loro bisogno e prendersene cura in prima persona.
L'accoglienza esige e rende possibile una consegna di sé.
I discepoli comprendono che devono lasciarsi interpellare in prima persona, rimangono però chiusi in una logica vecchia: "Non abbiamo che 5 pani e 2 pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente".
La loro logica, se si sta aprendo al dovere di prendersi cura del bisogno delle folle, rimane però ancora chiusa nell'angusto orizzonte del "comprare il pane".
Gesù chiede il passaggio a un orizzonte del tutto diverso: dal comperare il pane al condividere ciò che si possiede.
4) – Il pane che Dio dona non soltanto sfama, ma converte il cuore degli uomini e trasfigura la logica del mondo.
I discepoli sono così chiamati a un ulteriore capovolgimento.
Ciò che hanno è davvero poca cosa: 5 pani e 2 pesci.
È niente di fronte al numero enorme dei presenti.
Tuttavia, il vero calcolo da fare non è quanto si possiede, ma se si è disposti a donarlo totalmente.
Se si dona tutto, la gente può ricevere tutto ciò di cui ha bisogno.
Purché questo dare sia un consegnare nelle mani del Signore, affidandosi a lui e alla sua grazia.
Il vero calcolo da fare non è se ciò che possiedo basta per tutti, ma se sono in grado di donarlo totalmente.
Inoltre, se si dona tutto ciò che si ha, è come se si donasse la propria vita.
Allora la parola di Gesù "date loro voi stessi da mangiare" assume un significato nuovo e ben più radicale: non sta semplicemente a dire "preoccupatevi voi stessi di dar loro da mangiare", ma "date loro la vostra stessa vita".
Nel segno del pane è la vita stessa che viene condivisa.
Il pane spezzato diventa così davvero un simbolo eucaristico: è il segno di un vita che si dona totalmente perché altri abbiano vita.
5) – In questa festa del Corpo e Sangue del Signore siamo invitati a contemplare non solo la presenza reale di Gesù nelle specie del pane e del vino, ma soprattutto a riconoscere quel Corpo di Cristo che dobbiamo diventare noi come Chiesa, a condizione di lasciarci convertire dalla parola e dai gesti di Gesù, che esigono il passaggio – ed è sempre un passaggio pasquale -
dal congedare all'accogliere,
dall'accogliere al prendersi cura,
dal prendersi cura al donare se stessi.
Non si può celebrare in verità l'Eucaristia se non accogliamo i due imperativi di Gesù: "Date voi stessi da mangiare", che anticipa il "fate questo in memoria di me".
Gesù nutre di pace, di luce, di vita le folle invitando anche noi a fare altrettanto.
Con l'Eucaristia vuole operare ancora, attraverso di noi e donarsi alla nostra gente.
Siamo noi la sue mani, il suo cuore, la sua bocca.
Le folle accorrono perché hanno sete di verità.
Le folle accorrono perché vogliono essere guarite dalle loro malattie.
Le folle che accorrono tornano a casa sanate e sazie di verità e di cibo.
Ma più di tutto hanno fame di Gesù.
Tutto passa.
Lui solo rimane.
Per questo li nutri di te.
6) – La festa del Corpus Domini ci invita ogni anno a rinnovare lo stupore per questo dono stupendo del Signore, che è l'Eucaristia.
Se c'è un tarlo che minaccia di rovinare la nostra vita, questo è l'abitudine.
Lo si vede soprattutto a contatto con le realtà più grosse, come ad esempio l'Eucaristia.
Ma ci basta riaccostarci ad una frase di Gesù, perché la realtà che egli ci propone ci stupisca di nuovo con tutta la sua sbalorditiva grandezza: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui".
Con queste parole Gesù si mostra veramente uomo-Dio: un uomo che non può non avere il desiderio di rimanere accanto a coloro che ha amato fino alla morte.
Accanto in realtà è dire poco, giacché, facendosi cibo e bevanda per noi ha realizzato un'intimità tale che questa realtà: "noi in lui, lui in noi", è diventata addirittura tangibile, almeno nel segno efficace del sacramento.
Veramente per capire un amore così grande, bisogna amare: altrimenti queste parole sembrano troppo smisurate, incomprensibili, inaccettabili.
Infatti quando Gesù le pronunciò, vicino al lago di Palestina, molti se ne andarono e non camminarono più con lui.
Invece, per chi crede, Gesù ha trovato il modo di continuare a camminare con noi, per tutte le strade del mondo, fino alla fine dei tempi.
Gesù in noi, e noi in lui.
Ma non si può immaginare quante crisi familiari si risolvano, quanti conflitti interiori si superino, quante ostilità si ricompongano, quante comunità si rinsaldino, quanti delitti si evitino, quanti uomini crescano nella rettitudine, nel dominio di sé, nella capacità di fare qualcosa per gli altri, quante decisioni generose si prendano, quanto egoismo si dissolva e quanto amore si dilati, per la comunione con Gesù nell'Eucaristia.
7) – L'eucaristia è la pagina più straordinaria di tutta la Rivelazione del Nuovo Testamento.
Sapere che Dio è amore, sapere che Dio manda il suo figlio a salvarci, a illuminarci con la sua parola, a dare la vita per noi e risorgere per noi, non sarebbe ancora sufficiente, se non ci fosse stata donata questa straordinaria possibilità di prendere parte in prima persona, e con una partecipazione profondissima, a questi misteri personali di Gesù: la comunione col Cristo Signore.
Mangiare e bere non sono solo il segno dell'intimità, ma addirittura dell'assimilazione, un'immedesimazione profonda dove il pane che ci nutre, in realtà, ci assimila a se stesso e ci insegna a pensare, a vivere, a ragionare come lui, a volere come lui.
Andiamo, allora, andiamo da Gesù.
Egli guarisce il corpo e lo spirito con la terapia dell'Eucaristia.
Quanti guariscono e quanti invece non guariscono mai perché credono in altri mezzi che, prima o poi, si rivelano inefficaci.
8) – L'Eucaristia non è che porti soltanto frutti buoni, non è nemmeno che abbia come primo scopo quello di aumentare l'unità con Dio e fra noi.
Sì, anche questo.
Ma il compito dell'Eucaristia è un altro: ha come fine il farci Dio ( per partecipazione ).
Mescolando le carni vivificate dallo Spirito Santo del Cristo con le nostre, ci divinizza nell'anima e nel corpo.
Ora Dio non può stare che in Dio.
Ecco perché l'Eucaristia fa entrare l'uomo, che se ne è cibato degnamente, nel seno del Padre.
Nello stesso tempo l'Eucaristia non fa questo di un uomo soltanto, ma di molti, i quali, essendo tutti Dio, non son più molti, ma uno.
Sono Dio e tutti insieme in Dio.
Ora questa realtà, che opera l'Eucaristia, è la Chiesa.
Che cos'è la Chiesa?
È l'uno provocato dall'amore reciproco dei cristiani e dall'Eucaristia.
La Chiesa è formata da uomini divinizzati, fatti Dio, uniti al Cristo che è Dio e fra loro.
Se vogliamo il tutto visto un po' all'umana, espresso cioè con termini umani – come un esempio che la Scrittura usa – la Chiesa è un corpo, il cui capo è Cristo glorioso.
È inconcepibile, è straordinario, quel tuo stare lì in silenzio nel tabernacolo.
Vengo in chiesa la mattina e lì ti trovo.
Ci passo per caso o per abitudine o per rispetto, e lì ti trovo.
E ogni volta mi dici una parola, mi rettifichi un sentimento, vai componendo in realtà, con note diverse, un unico canto, che il mio cuore sa a memoria: eterno amore.
Oh! Dio, non potevi inventare di meglio.
Lì è la vita, lì è l'attesa; lì il nostro piccolo cuore riposa, per riprendere senza posa il suo cammino.
È l'ultima lectio.
Ci risentiremo a settembre, speriamo in presenza, per chi può.
Don Osvaldo