Per la nuova evangelizzazione degli abitanti del primo mondo.
Senza missionarietà vissuta, senza un confronto delle nostre scelte con Gesù Cristo, non c’è attrazione
di Riccardo Mottigliengo già presidente del Centro "Giuseppe Toniolo" di Torino
Dall’utopica idea di un rinnovamento religioso possibile con l’avvento di “Società cristiane” o “Unioni cristiane” nate agli inizi del 1600 in Europa - fondate da laici desiderosi di prendere in mano le sorti di un mondo in enorme sviluppo orientandolo in senso cristiano -, non possiamo non considerare la realtà costruita in questi 400 anni.
Con la sua pace interna, con la costruzione della sua unione anche economica degli ultimi 60 anni, questa cultura, nel senso più ampio e complesso del termine, ha espresso il valore ( nell’accezione completa e non solo etica ) della pace.
Però l’affermazione di questo nuovo valore, proprio alla luce dell’evidenza e della trasparenza sempre maggiore di questo periodo, nel quale l’informazione ha quasi trasformato la cronaca in storia, ha ritardato lo sviluppo umano degli abitanti dei Paesi poveri.
Pochissima attenzione, in proporzione alle potenzialità espresse ed esprimibili dall’Europa, abbiamo posto ad un degno sollievo riequilibrante delle popolazioni povere, la cui situazione dipende ancora dalla comprensione e quindi condivisione profonda delle povertà più o meno vicine o lontane.
Abbiamo bisogno della nuova evangelizzazione, dal Magistero promossa, per mettere a frutto la cultura europea e renderla capace di sostenere e ribaltare decisamente e rapidamente le povertà esistenti e ormai vergognosamente notissime e prossime.
Il cristianesimo cattolico può e deve impegnarsi in modo nuovo per “far maturare coscienze adulte - scrive il teologo Bruno Forte -, desiderose di piacere a Dio in tutto, e pronte a pagare il prezzo della fedeltà a Lui in ogni scelta“.
Secondo Blaise Pascal, “al di fuori di un rapporto stretto, di una relazione fisica carnale con Gesù Cristo, non possiamo davvero capire né la nostra vita, né la nostra morte, né Dio, né noi stessi”.
“La Chiesa non fa proselitismo.
Essa si sviluppa piuttosto per attrazione”, ha detto il Papa nel maggio scorso ai vescovi latino americani.
L’essere attraenti comincia obbligatoriamente nelle nostre chiese dove, intorno al tabernacolo, si celebrano le funzioni religiose, la santa messa, al termine della quale il sacerdote invita i fedeli: “andate a portare pace”.
Quella pace che, come sottolinea Sant’Agostino, “non è la semplice assenza della guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti.
La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza.
È la ‘tranquillità dell’ordine’”; quella pace che, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, è “frutto della giustizia ed effetto della carità”.
Ecco la missione quotidiana, dovere iscritto nell’essere cristiano e reso possibile dalla comunione eucaristica: siamo impegnati a rifare il Vangelo nella nostra quotidianità.
Questa azione ha come scopo conseguente quello di cercare di far conoscere concretamente Gesù Cristo, porlo all’attenzione delle persone come evidente fondamento certo nelle continue scelte necessarie, obbligate, solo apparentemente banali, della quotidianità.
Il richiamo ad essere attraenti, e quindi in sintonia con Gesù Cristo, spinge alla nuova evangelizzazione che attraverso nuovi cristiani sia esempio di nuova forza vitale cristiana.
È questo il mezzo ed insieme il fine pieno di grazia, dono esclusivo
per
vivere la vera dimensione umana, perché la natura umana conservi
quell’integralità che è la sola dimensione che può far scoprire il
mistero
della vita.
È facile fare proseliti tra le persone fatte a pezzi.
L’associazionismo ad ogni livello prolifera nel mondo e nascono enti, movimenti fatti per associare.
Si snaturano concetti economici come le “fondazioni” a favore di dinamiche funzionali all’associazionismo stesso.
Il mutuo soccorso e le varie “catene” valorizzano l’incoerente e critico compromesso continuo che ne anima gli attori.
La disonestà intellettuale chiamata libertà di pensare ha sostituito l’onestà intellettuale e l’umiltà che la anima.
In un mondo di “sopravvissuti”, quando un “vivente” appare viene indicato come eccezione anomala che conferma le regole della sopravvivenza.
In termini razionali, cercare approdi per riuscire a vivere impone di non rinunciare a conoscere, in ogni dimensione, qualunque possibilità che aiuti, che sia un inizio, che quindi sia attraente.
Ciò che attrae non sa di essere attraente se non quando gli si “attaccano” gli attratti.
Una buona comunità parrocchiale “abbracciata” al suo tabernacolo, inginocchiata all’eucaristia, è certamente una realtà molto attraente.
Ma è una realtà “in chiesa”.
E non basta certamente questo atto privatissimo ad attrarre poi chi si incontra.
Una possibile visibilità che apra riflessioni e incuriosisca dipende dalle scelte quotidiane che si riesce a fare, non solo per vivere - anziché sopravvivere -, ma soprattutto per coinvolgere ed aiutare, senza nessun egoismo, gli altri a vivere.
Credo che solo quel segno di Croce mattutino metta in condizione chi lo fa di compiere queste scelte, di dimostrare agli altri che entrano nella sua scia che si può vivere, anche se la comunicazione e la cultura pubblicizzata da questo pavido mondo contemporaneo oscurano la bellezza della vita a favore di un apparente bellezza della sopravvivenza.
La missione che siamo abituati a considerare è quella che porta il Vangelo alle persone bisognose dei Paesi poveri, aiutandole anche concretamente: i missionari, specialisti in questa attività, dedicano loro la vita e incontrandole nella condivisione di ogni tipo di sofferenza costruiscono nuove realtà.
La santità di moltissimi missionari ne è una conferma anche storica.
Questa missionarietà è indubbiamente un elemento di forte rappresentazione di Gesù Cristo, del Suo Vangelo nella storia e anche nella cronaca.
I missionari sono le più belle figure del nostro cattolicesimo e forse dell’umanità intera.
Credo si debba sentire fortissimo il desiderio di imitarli innanzitutto intorno a casa.
Senza missionarietà vissuta non c’è attrazione.
Il Gesù Cristo visto in azione è sempre e comunque assolutamente convincente.
La parte di Chiesa Cattolica, popolo di Dio, insieme canonico di chierici e laici, non in missione, vive di luce riflessa.
Si scalda a questa luce.
Cosa vuol dire essere attraenti è di facile comprensione.
Difficile è esserlo davvero. Le persone capaci di attrazione caritatevole, i “chiamanti”, devono dimostrare una mancanza di obiettivi egoistici riguardo agli altri; una libertà gioiosa dai bisogni incatenanti, e non per inettitudine ma per signoria; una offerta di obiettivi più preziosi ( più umani, vantaggiosi, validi per tutti ); una vita “politica” e di “reciprocità” che sgorga da Dio.
Solo confrontando le nostre scelte con Gesù Cristo e attingendo alla sua ricchezza traboccante di grazia, possiamo farcela a convincere molti ad accettare la verità e quindi ad esprimere una nuova mentalità cambiando gradualmente modo di essere.
Siamo attraenti quando trabocchiamo d’amore, segno della presenza traboccante dei sentimenti di Gesù Cristo.
Il Signore dunque ci ha dato questo dono: di passare in mezzo agli altri come “non insignificanti”.
Teniamo presente come l’insignificanza sia una sottilissima tentazione dell’antico serpente: quella di non farsi notare.
Ancora una volta l’umiltà, male interpretata, diventa un alibi tanto insidioso.
Il teologo Bruno Forte fu tra i primi a vedere l’essenziale apporto dell’impegno dei laici in applicazione del Concilio.
Ecco cosa scrisse in “I laici nella Chiesa e nella società civile” ( Piemme, 2000 ): Alla Chiesa dell’inizio del terzo millennio il dolore del tempo, l’assenza di speranza, che è vera lebbra dell’anima, chiede l’audacia di gesti significativi ed inequivocabili, richiede di arare la verità dell’ultimo e di essere pronti a pagare il prezzo per essa nella quotidiana fatica che ci relaziona a ciò che è penultimo: solo così si potrà essere suoi testimoni per gli altri.
Occorre ritrovare la forza irradiante della passione per la Verità, in cui si fonda nella maniera più vera la dimensione missionaria della vita ecclesiale.
Non si tratta solo di compiere una scelta per il senso della nostra vita e della storia rivelato in Gesù Cristo, ma di offrire anche una testimonianza decisa di speranza come servizio agli altri, avendo lo sguardo rivolto al Dio che viene.
Così deve porsi chi crede che la verità si è detta in Gesù Cristo e va annunciata come via e promessa per il regno.
Amare la verità significa avere lo sguardo rivolto al compimento di questa promessa.
Il rilancio missionario connesso alla ‘nuova evangelizzazione’, pensato per la Chiesa italiana specialmente in ordine al progetto pastorale di valenza culturale, non domanda alcun atteggiamento integralístíco, che voglia propagandare un’ideologia, ma la testimonianza dell’alterità pura e forte di Dio, che si é detta in Gesù Cristo, e che sola riempie il nostro cuore di speranza e di pace.
Essere pronti a pagare il prezzo per questa verità in ogni comportamento è la dimensione di carità missionaria richiesta oggi in particolare ai credenti in Cristo, alle soglie del nuovo millennio.
Si tratta di far maturare coscienze adulte, desiderose di piacere a Dio in tutto, e pronte a pagare il prezzo della fedeltà a Lui in ogni scelta.
Vorrei concludere con questo passo tratto da “L’’innalzamento’ del figlio fulcro della vita morale” del teologo canadese Réal Tremblay ( PUL - Mursia 2002 ), che mi sembra importante porre a commento del Vangelo di Giovanni che riporta le parole di Gesù: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” ( Gv 12,32 ): … La nuova evangelizzazione non sarà proprio nuova se non rinunziando a comandare e spaventare l’uomo, preferendo attirarlo e sedurlo.
Per paradossale che ci possa apparire, il punto di partenza di questa ricerca del fondamento ultimo della morale cristiana sarà ciò che si presenta a prima vista come la realtà meno attraente che ci sia: la Croce di Cristo ( Is 53,2-3; Mt 15,33ss; 1 Cor 1,17ss ).
La sofferenza ispira il disgusto e l’avversione.
Spirando sulla croce in seguito ai supplizi della flagellazione romana, dell’incoronazione di spine, del portare la croce, Gesù non ha mancato di essere oggetto di tali reazioni.
Del resto, il profeta Isaia l’aveva già annunciate in termini insuperabili: non ha apparenza né bellezza […] disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti ai quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” ( Is 53,2-3 ).
E tuttavia Giovanni parla, citando il profeta Zaccaria, dello sguardo fissato su colui al quale il soldato colpì il fianco: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” ( Gv 19,37; Zc 12,10 ).
Dentro l’infinità di questo mistero la nostra missione quotidiana ha bisogno, proprio perché si rivolge ad un “mondo primo” ricco di cultura speculativa ma certamente approfondita e provata, di grandissimo impegno nel tentare di trasformare la nostra cultura personale in comprensione sia attraverso la sperimentazione del pensare e del dire sia nello studio continuo delle reazioni conseguenti al nostro comportamento, che deve essere sempre una novità in rapporto agli standard che ci avviluppano, convinti in questo che l’impossibile - possibile ci attende.
Acquisiamo o scopriamo la necessaria, indispensabile, onestà intellettuale o almeno riconosciamo la nostra disonestà per non bruciarci la coscienza.
La persona umana lo impone per affermare e non solo sbandierare la propria dignità.
I pezzi di persona, a volte evidentemente muscolari, a volte espressamente intellettivi, a volte apertamente sessuati, che incontriamo hanno bisogno di noi, per scoprirsi ancora pronti a vivere e non a sopravvivere.
La differenza sta proprio nel fine che ci poniamo, senza rinunciare a scoprirlo nel doveroso incontro con la storia delle vite che troviamo raccontata, ...magari partendo dalle “Confessioni” di Sant’Agostino, che 1600 anni fa ci guardava e ne soffriva.