L'ing. Giustino Nicoara

B32-A1

( Dell'Unione del SS. Crocifisso di Torino ).

Nacque il 24 Agosto 1899 nel paese di Luna Aries ( Turda ), nella Romania, da genitori cattolici di nazionalità rumena.

Questo paese ha 400-500 case.

Gli abitanti si occupano d'agricoltura; pacifici, lavorano volentieri e, tutti professano la religione cattolica romana; in questo paese c'è una chiesa bellissima, dove la domenica e i giorni festivi, vanno tutti, gli abitanti, perché sono tutti religiosi, a sentire la Santa Messa e la parola del Signore.

In questa chiesa fu battezzato Giustino, invece oggi lungo le mura della chiesa riposano i suoi resti.

Assai piaceva a lui questa chiesa, anche quando era bambino.

Aveva appena 2-3 anni e in compagnia di suo padre, Simion Nicoara, che era maestro della scuola cattolica dei ragazzi dello stesso paese, non fu assente neppure una volta dalla chiesa, la domenica e giorni festivi.

Lui, per primo, era pronto e eccitava anche i suoi ad andar presto alla chiesa.

Aveva 4-5 anni che si voleva fargli un palton da inverno, egli voleva e, insistendo, pregava il padre e la madre e tutti, perché facessero anche per lui un palton come hanno i preti con la croce sul dorso.

Con grandissima difficoltà si potè persuaderlo a non insistere.

Quando veniva qualcuno a chieder la carità, era interprete di questo miserabile, e gli portava, l'elemosina di casa e godeva della gioia di questo povero.

Le preghiere del Pater noster e dell'Angelus le imparò dalla madre sua insieme con le prime parole importanti.

Come bambino era spiritoso.

Un esempio

Era un giorno bellissimo e andava con il padre e il fratello per una via di campagna; correva avanti e indietro, volendo prendere col suo piccolo cappello di paglia le farfalle.

A un certo momento gli dice il padre: Giustino mio, sii buono e vai così come vanno gli uomini.

Lui resta interdetto per un momento e, dopo, continua il suo gioco.

Qualche tempo dopo, ancora una volta, gli ripete il padre: Giustino mio, sii buono e vai come vanno gli uomini.

Lui sta a guardar a lungo il padre e dice: Padre mio, io sono bambino e vado come i bambini, quando sarò uomo, andrò come gli uomini.

Il bambino era vivace, brioso, vispo come una farfalla e anche attento.

Al principio dei suoi 6 anni d'età mancava già delle carezze della mamma; era presso il letto di morte di lei quando la sua mamma - dopo di aver salutato l'ultima volta i suoi, baciandoli tutti - restituiva lo spirito suo al Signore.

I primi pensieri e nozioni morali e religiose ricavava dai racconti morali e religiosi, quali gli erano narrati dal padre suo.

Lui stesso, non molto fa, disse che negli anni suoi di bambino era così preoccupato di questi racconti religiosi che ancor allora si ricordava precisamente d'aver avuto un sogno nel quale aveva visto la SS. Vergine Immacolata vestita di bianco e circondata da Angeli.

Le sue scuole di bambino frequentò nella città di Turda.

Era studioso e diligente con buon comportamento.

Mai altercava o s'accapigliava con altri.

Non mancava mai dalla chiesa.

Ne dimenticava le parole del padre suo: sta attento e comportati bene.

Fece le scuole ginnasiali nella città di Blaj, sede metropolitana dei cattolici rumeni.

Questa piccola città, la quale ha 5-6 mila abitanti, che tutti sono cattolici, possiede un'accademia teologica per circa 120 studenti, possiede anche un ginnasio con 8 corsi per circa 6-8 cento studenti, anche un ginnasio per ragazze, le quali sono in numero di 600 - una scuola per i maestri, e una scuola d'arte e mestieri.

Qui frequentò Giustino gli otto corsi di ginnasio.

Qui acquistò le nozioni fondamentali e più importanti.

Come studente era il primo, lungo questi otto anni; in tutte le materie ebbe 100/100.

In questa città - che è la piccola Roma per i cattolici rumeni - nel ginnasio edificato all'ombra della cattedrale della SS.ma Trinità si fece ricco di cognizioni riscaldò il suo spirito nella nostra fede, nelle nostre credenze cattoliche.

Fin dal primo suo corso fu socio della Congregazione di Maria Immacolata; si confessava al minimo due volte al mese e ogni giorno faceva la Comunione.

Tutti i giorni si svegliava alle ore 6 per essere alla Cappella dell'accademia teologica, dove sentiva la S. Messa e dopo si comunicava.

Aveva sempre con sé il suo rosario e portava lo scapolare.

Per direttori spirituali ebbe il padre Dr. Giovanni Coltor, oggi canonico in Blaj, il Dottore Alessandro Nicolesco, oggi vescovo in Lugoj, e il Dottore Alessandro Russu oggi canonico in Blaj.

Così passò 7 anni in Blaj; quando era nel 7° corso ginnasiale entrò a far parte dell'Esercito, primavera del 1917.

Per concessione ministeriale pure in questa primavera fece l'esame dell'VIII corso e prendeva il baccellierato riuscendo primissimo in tutte le materie.

Il servizio militare lo fece al Regg. 50 fanteria di Alba-Julia.

Nell'inverno dell'anno 1917 arrivò sui campi di battaglia dell'Italia alla città di Mori - Trentino - dove restò circa 10 mesi.

A offensive e attacchi, grazie a Dio, non prese parte mai; la sua compagnia era per lo più di riserva.

Come si comportò durante questo periodo di guerra lo può dire il padre Don Giacomo Dompieri, che è parroco in Ala - Trentino - che era il confessore suo in guerra, e che era molte volte ricercato da lui per i suoi bisogni spirituali.

Il Rev. Padre scrive da Ala ( Trentino ) in una lettera al fratello di Giustino: « Durante il servizio militare visse fra di noi come un angelo, come il soldato più edificante; poiché anche dopo la laurea conseguita a Torino, desiderava ardentemente farsi sacerdote - missionario fra gli infedeli.

( Lei e famiglia ) hanno in cielo un santo, che io sento di dover invocare nei miei bisogni spirituali: O quam pulchra est casta generatio cum claritate ».

Nel Settembre 1918 tornava a casa per licenza di servizio e dopo non uscì più di patria.

Nell'anno stesso s'iscrive alla Facoltà di giurisprudenza di Cluj, ma non era contento di questa scienza.

Nell'anno 1919 con l'aiuto dello Stato Rumeno viene in Italia, sempre da lui tanto lodata, e si iscrive al R. Politecnico di Torino.

Nel luglio 1925 prende la Laurea d'ingegnere industriale con 75/100.

Eccolo, dunque, a Torino, in cui doveva formarsi definitivamente la sua vita spirituale cristiana perfettissima.

Vediamo le vie della Provvidenza: nel mese di settembre 1923 scrisse da Torino al fratello raccontandogli un caso molto interessante.

Nei primi giorni di settembre ( 1923 ), in tre notti consecutive, verso le ore 24 ebbe la stessa visione.

Gli pareva che l'anima gli si fosse separata dal corpo e si librasse sopra di lui ( nella stanza ).

Qualcheduno gli diceva: « Guarda, là è il tuo corpo, un cadavere che presto entrerà in putrefazione; merita che tu lotti in questa vita per quel putridume? ».

Dopo questo sogno si svegliò spaventato.

Passò la notte senza altri avvenimenti; svegliandosi la mattina, invece di alzarsi, prese un libro e rimase a leggere a letto.

Verso le ore 10-11 a. m. essendo sveglio, sì sentì invaso da un brivido.

Qualcuno gli disse: « Vedi, guarda codesta tua mano, presto sarà putrida.

Per essa vuoi tu lottare nella vita? »

S'alzò subito da letto, si vestì, e, inquieto e fors'anche irritato per questa persecuzione uscì per aver così modo di distrarsi.

Così camminando, trovò sul marciapiede un grande Rosario.

Si guardò intorno per vedere chi l'avesse perduto.

A circa 10-12 passi davanti a lui camminavano due monache.

Egli si affrettò, le raggiunse e domandò loro se non avessero perduto il Rosario.

Una di loro, sorridendo, gli rispose: « Grazie ».

Giustino scrisse al fratello: « Quelle parole mi andarono al cuore, empiendolo di gioia.

Ero molto felice e allegro.

La parola « grazie » io la compresi nel senso rumeno: Grazia, grazia divina, soprannaturale; e con dolcezza mi ricordai che ci fu un tempo quando anch'io ebbi un rosario e che adesso non ce l'avevo più ».

Andò a casa e per due giorni si preparò alla confessione.

Cercò un sacerdote colto e si confessò.

Nella confessione il sacerdote gli disse: Vedi, la santissima Maria Vergine non ti ha dimenticato ed ha scelto proprio il giorno 8 settembre, per ricondurti alla vita di prima e per farti rinascere spiritualmente.

Giustino si ricordò solo allora che era il giorno della Natività di Maria SS.

E la Provvidenza ormai vegliava sul suo diletto.

In una delle lettere del 1923 racconta ancora al fratello, che, una sera verso le 7-8, s'incontrò con un uomo ubriaco, il quale gli domandò quale tram andava nella direzione della sua abitazione.

Giustino pronto a far bene e nello stesso tempo pensando di fare un po' di proselitismo, andò con lui per condurlo a casa.

L'individuo abitava fuori della città.

Aveva colà una casa e un giardino.

Per la strada conversarono amichevolmente.

Arrivati all'uscio di casa, l'uomo insistette perché Giustino entrasse anche lui. Entrarono.

La moglie dell'uomo portò loro da mangiare e da bere, ma l'individuo da pacifico com'era cominciò a diventare sempre più aggressivo.

Passò alle minacce, dicendo che Giustino era un poliziotto che spiava la sua abitazione, perché sapeva che egli era comunista, ecc. ecc.

Giustino provò a calmarlo assicurandolo che era studente e mostrandogli il suo libretto con la fotografia, ecc.

Tutto fu inutile. Per di più il comunista tirò fuori un biglietto su cui era scritto:« N. N. T … … … T … …. ; Premiato Allevamento - Cani lupi - Esposizioni Internazionali 1921-1923 », lo dette a Giustino, dicendogli che non pensasse a sfuggire e che mangiasse e bevesse a piacimento.

Giustino pregava in sé il Signore e la SS. Inimacolata Maria.

La sua coscienza era tranquilla e solo da Dio aspettava lo scampo.

Nel cortile erano quattro cani lupi ammaestrati che l'avrebbero fatto a brandelli se avesse ardito uscire solo dalla casa.

Giustino insisteva perché l'uomo lo conducesse fino alla porta; infine questo gli disse: « Va bene, se ti affretti io pure sono pronto ».

Sua moglie stava impassibile senza dire una parola di difesa o di approvazione.

Il comunista entrò nella camera vicina.

Nel frattempo Giustino provò di convincere la moglie di lui, perché intervenisse in suo favore salvandolo dalle ire di quell'ubriaco.

Essa non rispose. In quel momento l'uomo tornò con un oggetto in mano: pugnale o rivoltella, non poté distinguere, che egli intascò dicendo: « Andiamo ».

Uscì e Giustino lo seguì. I cani erano presenti.

L'individuo tirò fuori una chiave per aprire una porta che conduceva verso il fondo del giardino.

Giustino gli osservò che non era quella la strada, ma l'altro gli rispose: « Seguimi e non ti muovere, se non vuoi essere sbranato dai cani ».

Giustino vedendo che le cose si mettevano al brutto, mentre l'uomo apriva la porticina, se la dette a gambe verso la parte dell'uscita sulla strada, passando, davanti ai cani che non si mossero, rimanendo impassibili.

L'uomo, bestemmiando e gridando, aizzò i cani dietro a lui, ma questi non si mossero.

Giustino era salvo e uscito sulla strada, fuggì verso il tram.

Da lontano sentì ancora le bestemmie del comunista.

Concluse la lettera dicendo: « Non vedi tu qui la mano di Dio che mi ha aiutato in questo pericolo di morte »?

La Provvidenza dopo che l'aveva riconquistato definitivamente a sé si valse per perfezionare l'anima di lui della nostra Unione del SS. Crocifisso.

All'Unione del SS. Crocifisso era stato diretto da un sacerdote della Parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo, dal quale si era confessato e al quale aveva richiesto di essere indirizzato a una Società di carattere religioso.

I ritiri ai quali fu assiduo, lo confermarono nella fede, che in principio fu un po' turbata da dubbi che con ogni cura cercava di combattere.

Si offerse con slancio ad essere impiegato nell'apostolato catechistico e nell'insegnamento nella scuola serale della R.0.M.I.

Fu attivo Catechista della Parrocchia di S. Croce e lo stesso Mons. Assom all'annuncio della sua morte dichiarò che era stato meravigliato della sua assiduità e della sua bontà coi ragazzi.

Cercò con uno zelo ardentissimo e prudenza somma di indirizzare giovani alla vita religiosa e parecchi devono a lui di aver potuto seguire la loro vocazione.

La sua carità pei poveri si manifestava in modo spiccatissimo nel preparare il necessario per la visita annuale che l'Unione fa ai ricoverati della Piccola Casa del Cottolengo negli ultimi giorni di Carnevale.

Il pensiero della morte gli era stimolo a far bene al prossimo e lo condusse ad un grado straordinario di. fervore.

Fu ubbidientissimo al suo confessore e ne seguiva a puntino i consigli e le raccomandazioni.

Dovendo recarsi in pubblici alberghi per consumare le sue colazioni, si turava bene gli orecchi con del cotone per non sentire e bestemmie e il turpiloquio.

Era fervoroso nel trarre al bene i suoi compagni di Politecnico è manifestava con coraggio le sue idee senza rispetto umano, tanto che i suoi amici, e, parecchi, ebrei, che l'avevano classificato di una categoria speciale, lo lasciavano in pace.

Si studiava di pregare con frequenza coll'uso delle giaculatorie ed era assiduo alla veglia dell'adorazione notturna.

E fedele rimase all'Unione del SS. Crocifisso: in una sua lettera al Direttore della stessa, da Cluj, il 4 febbraio 1926, scriveva: « In quanto a me, vorrei, che mi considerassero sempre come un socio effettivamente presente in Torino, sebbene mi trovi così lontano da Loro.

Ed anche nelle preghiere voglio rimanere unito a Loro.

Quanto mi piacerebbe di ritornare in Italia, ma per adesso mi trovo ancora sempre in mezzo a grandissime difficoltà materiali non tanto per me, che per i miei familiari.

Non avendo poi molto tempo per scrivere, pregherei il signor Direttore di fare i miei saluti a tutti i miei confratelli dell'Unione del SS. Crocifisso, al Rev. Sig. Cappellano e a tutti i Rev. Fratelli delle Scuole Cristiane che ho conosciuto ».

Ritornato in patria non poté trovare un posto adatto a lui, e s'impiegò alle ferrovie rumene - dove aveva pochissimo stipendio e lavorava dalle 8 alle 17 ogni giorno - andando col treno da Cluj e ritornandoci la sera.

Ogni mattina sentiva la S. Messa e si comunicava presso i Padri Francescani di Cluj e i Padri di altri Ordini.

Era molto contento quando sentivano volentieri le sue narrazioni di vite dei santi; le avrebbe narrate giorno e notte senza alcuna fatica!

Racconta suo fratello: « Un giorno che io e mia moglie andammo fuori di casa, lui, chiamò i miei bambini e narrò, secondo la loro piccola comprensione, degli Angeli e del Signore Gesù e di Maria SS. »

« Fu un miracolo per me quando sentii che il bambino mio più grande ( Eugenio di 5 anni ) mi narrò del Signore Gesù e il mezzano ( Emilio di anni tre e mezzo ) mi interrogò: quando moriamo noi?

Io sorpreso domando: perché? Lui mi risponde: Io voglio morire per essere un angelo in cielo con il Signore Gesù.

Andava ogni giorno a trovar suo padre che è adesso invalido e cieco da tre anni.

E parlavano insieme della vita dei Santi.

Per la strada spesso gli andavo dietro senza che lui m'osservasse e sempre lo vedevo modestissimo.

Era ottimista e allegro in società, sorrideva ed era modesto.

Disse molte volte a suo padre che voleva entrare nella Compagnia di Gesù ».

« Una sera, essendo riuniti tra diversi amici, discutevamo questioni di fede e di morale ».

« Giustino dice che non è permesso a un uomo di fede di peccare, e purché abbia volontà, con l'aiuto di Dio non peccherà.

La discussione si svolse su questo punto, sì che io, a un dato momento, gli feci la domanda: « Tu sei sicuro che durante la tua vita non peccherai? ».

Egli rispose: « Sì, sono sicuro; finche avrò vita, non peccherò! »

Quest'affermazione mi sconcertò e gli dissi: « Come puoi affermare con tanta sicurezza una cosa simile?

S. Pietro fu apostolo e cadde, e tu puoi affermar codesto »?

Egli rispose: « Io sono sicuro che non peccherò, preferisco la morte piuttosto che fare un solo peccato, foss'anche solamente col pensiero ».

Io, credendo che fosse una sua testardaggine, gli dissi un po' ironicamente: « Tu sei santo oppure stai per diventare santo? »

Egli non rispose, ma chiuse gli occhi e abbassò la testa ».

È vissuto tra noi e non l'abbiamo compreso; appena adesso cominciamo a comprenderlo ».

Così era la vita di Giustino.

Il 18 Maggio 1926 la morte crudele lo rapì e il 20 Maggio ritornò nel paese suo natìo, Luna Aries, accompagnato dal rimpianto di tutti quelli che l'avevano conosciuto e onorato, e all'ombra della chiesa dorme il suo sonno perpetuo.

Il sarcofago e la vettura funebre erano coperti da più di 20 corone e anche da tanti mazzi di fiori.

L'accompagnamento era composto da studenti della scuola « Arti e Mestieri », dove era anche lui professore, da impiegati e lavoratori dalla ferrovia con musica, circa 2.000, e inoltre da giovani, amici, intellettuali, sacerdoti e moltissimi conoscenti e non conoscenti: più di 3.000 persone l'accompagnarono alla tomba.

Ecco cosa scrive di lui il « Katholikus Vilàg » rivista francescana rumena del giugno 1926, pag. 214-215.

« Morte innocente fra i respingenti del treno.

C'era una volta …. nel cielo un angelo con voglia di grandi iniziative.

Volò a terra « in incognito » e si vestì da bimbo.

Si nascose le ali sotto la giacca e sembrava che avesse una gobba …

Gli altri bambini però lo deridevano, finché una volta capitò fra le ruote di un carro.

Le ruote gli rovinarono il corpo, ma da sotto il vestito tutto stracciato ricomparvero le ali, e l'angelo se ne ritornò al cielo …

Se aveste conosciuto l'ingegnere Giustin Nicoara mi avreste domandato tutti: Non è questo l'angelo della fiaba? Può darsi.

Chi lo conobbe, militari, operai, preti si domandavano tutti: d'onde vengono così sulla terra nera queste anime bianche?

Soltanto che l'ing. Nicoara rimase qualche anno di più sulla terra dell'angelo della fiaba, perché visse 27 anni.

Il bambino ogni anno si portò a casa le più belle pagelle, poi fu anche soldato in guerra, e ora aveva il diploma di ingegnere di uno dei politecnici più noti nel mondo.

Ogni mattina faceva la comunione, sentiva la messa e poi al lavoro.

E dopo il lavoro passava anche in chiesa a pregare e poi a casa da suo padre cieco per leggergli dalla Sacra Bibbia e dalle vite dei santi.

E giorni fa, nella sua vita santa, avvenne la stessa storia sanguinosa, perché se ne potesse andare in cielo.

Dirigeva l'officina di riparazioni delle ferrovie ad Apahida, e per salvare un operaio rimase schiacciato fra i respingenti di due carrozze.

Rovinato terribilmente, rinvenne in sé e si fece dare la croce delle Missioni che portava sempre con sé per averla negli ultimi momenti.

E chiese di esser portato in chiesa, e mandò in frantumi un vetro dell'automobile quando vide che non volevano obbedirgli.

Il Professore Iacobovici, che tentò di salvarlo con un'operazione, disse di non aver mal visto il miracolo di un uomo che consolava i suoi dopo aver perduto il 90 per cento del suo sangue.

Genie - disse a sua sorella - se guarisco mi faccio frate, se no sarò l'amico degli uomini in cielo - e furono le - ultime sue parole.

E parlammo con suo fratello, capitano.

Ci mostrò lettere arrivate fresche, fresche da Roma, Parigi, Torino, che provano che lui non aveva che amici.

Nella poltrona siede suo padre e parla forte con suo figlio morto: « Lasciategli avvicinare i piccoli », e apre le braccia e coi capelli bianchi sembra una statua immobile, la statua del dolore e della rassegnazione ».