I nostri ritiri spirituali |
B65-A5
In cappella. Attraverso, le finestre vediamo, come attraverso lo spiraglio d'un forziere, le ricchezze della natura: lo smeraldo dei campi, l'oro del sole, il turchese del cielo - ricchezze di tutti e di ciascuno.
Perciò in questa cappellina la Messa pare una Messa al campo; mancano, è vero alla « Elevazione » gli squilli dell'« attenti! », ma basta il suono della campanella, a ricordarci che arriva il Re dei Re.
Ore 9,30. - La predica del Can. Rossi rileva la grandezza di Gesù Cristo, « mediatore » tra l'umanità e Dio.
Tutto il bene che noi uomini possiamo fare, tutto l'apostolato dipende principalmente da Gesù Cristo; egli è la sorgente a cui attingiamo: « Io sono la vite, disse, e voi siete i tralci ».
Grazie a Gesù Cristo, noi siamo diventati « onnipotenti », poiché possiamo praticare la virtù e arrivare al possesso del Bene infinito.
In una seconda predica, il Can. Rossi considera Gesù Cristo come Sacerdote e vittima.
Il Figlio di Dio è morto in croce perché la riparazione fosse compiuta nella maniera più perfetta e più giovevole all'uomo: egli venuto, a noi ( « ecco, ci è nato un pargolo - ci fu largito un figlio » ) e noi a nostra volta dobbiamo andare a Gesù. Felice dovere.
Nella Messa si ripete la nascita e la redenzione Partecipiamo dunque attivamente al sacrificio della Messa, cercando di capirne il profondo significato; esso è l'offerta di ciò che abbiamo di più caro, di più prezioso, davanti a cui le ricchezze di cui scrivevo or ora sono come polvere: è l'offerta di - Gesù Cristo!
Offerta fatta a Dio, al fine di adorare, propiziare, ringraziare ed espiare.
La conferenza di Fr. Teodoreto è la conclusione che possiamo trarre dalle sublimi considerazioni fatte: Come Gesù Cristo si è offerto al Padre, così noi offriamoci alla Divinità.
Guerra dunque al peccato: lavare, purificare l'anima.
Il Fr. Teodoreto termina consigliando la confessione settimanale, fatta in modo che il Padre Spirituale ( bene scelto ) ci conosca completamente; e ricorda ancora le tre stazioni di San Carlo: prima della Confessione il Santo si fermava a considerare il Calvario, l'Inferno e il Paradiso.
Non parlo delle meditazioni, preghiere, letture, ricreazioni che hanno reso varia la luminosa giornata.
Far penitenza: questo è il tema proprio quaresimale, svolto lietamente ( perché no? ) dal caro Fratello d. S. C. Le sue arguzie ci sono piaciute, anche perché cosi bisogna affrontare la Quaresima: con lieto cuore: « Servite Domino in laetitia ».
La penitenza, egli spiegò, va fatta sul serio: Gesù ha insegnato: « … questa sorta di demoni non si caccia che con le preghiere e i digiuni ».
Ora, se non tutti possono praticare il digiuno alimentare, tutti possono sostenere privazioni di vario genere.
Il Fratello ha suggerito come esempio alcune penitenze.
Anche il Padre ha parlato argutamente.
( La Sapienza è amica dell'arguzia opportuna; né bisogna credere che i nostri ritiri spirituali, poiché ci fanno pensare all'oltretomba e alla religione, siano una specie di macchina in cui si entra lieti per uscirne mesti; no davvero: se mai il contrario.
Del resto, « la vita senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente, o continuo, o stolido o tragico »: parole cristiane del Pascoli scritte nella prefazione ai Canti di Castelvecchio, 1910, Bologna p. VII ).
Il frate, dicevo, ha parlato argutamente della virtù dell'umiltà: e più precisamente del, sereno nascondimento, in cui devono vivere coloro che hanno la fortuna di non essere chiamati a « far chiasso »; e sono i più.
La loro vita si svolge senza tanto agitarsi; e se sono buoni, essi, come S. Giuseppe, seguono Gesù nel lavoro sereno; ma non, come la Vergine, nelle cure della vita pubblica.
I vanagloriosi li chiamano « mediocri »: ma quando mai hanno capito la grandezza i vanagloriosi, che magari confondono fama con infamia?
La grandezza è nei buoni; poiché questi sono più che uomini: sono altri Cristi
Termino con un brano Divino: « ...ragguarda costoro che sono vestiti del vestimento nuziale, cioè della carità, adornato di molte vere e reali virtù, uniti sono con meco per amore.
E però ti dico che se mi domandassi: Chi sono costoro? risponderei - diceva il dolce e amoroso Verbo: - sono un altro Me, perché hanno perduta e annegata la propria volontà, e vestitisi, unitisi e conformatisi con la mia ». ( S. Caterina da Siena. « Libro della Divina Dottrina », a Cura di M. Fiorilli; 1928, Bari, p. 4 ).
M. S.