Il Fratel Teodoreto F. S. C. |
B141-A2
Giovanni Garberoglio nacque a Vinchio d'Asti il 9 Febbraio 1871, figlio del Monferrato e genuino rappresentante di quella gente forte e vivace da cui uscirono S. Giovanni Bosco, S. Giuseppe Cafasso, il Card. Massaia e Fra Leopoldo.
Ebbe da natura una complessione robusta, un temperamento sensibilissimo, un carattere volitivo.
Si sarebbe detto che un segreto istinto lo facesse volgere verso le cose più alte, e un intimo entusiasmo lo sostenesse a perseguirle.
La sua giovinezza serena e già tutta piena di fervore religioso intese presto la voce di Dio che lo chiamava alle ascensioni della vita perfetta, e riconobbe il proprio ideale nella missione del religioso educatore.
Superate alcune difficoltà opposte dalla famiglia, l'il Ottobre 1887, a sedici anni, Giovanni Garberoglio entrò nell'Istituto dei Fratelli delle Scuole cristiane e divenne Fratel Teodoreto,
Nella vigna del Signore entrava con lui un nuovo operaio eccezionalmente valido e già il divino vignaiuolo vedeva novelli filari e tralci ricchi di grappoli turgidi.
Il giovane religioso aveva un'andatura rapida e decisa, tanto all'esterno quanto nelle vie dello spirito.
I compagni di noviziato notarono il suo impegno e l'insolito fervore e furono presi da quel senso di ammirazione e di rispetto che sorse poi spontaneo in tutti coloro che lo avvicinarono negli anni più maturi a mano a mano che cresceva la sua fama di eccezione.
Dopo i primi voti, emessi il 1° Novembre 1889, venne assegnato alla comunità di S. Pelagia, che conduceva le scuole elementari della Regia Opera della Mendicità Istruita, un'opera fondata per la istruzione gratuita dei figli del popolo.
Questo fu il campo della sua attività di educatore per quasi tutta la vita.
Gli inizi non furono facili: non riusciva a tenere la disciplina in classe e i superiori erano perplessi.
Egli si rivolse a S. Giuseppe con quella fede che gli era caratteristica, obbligandosi a compiere in tutta la vita una pratica a suo onore se gli avesse ottenuto le grazie necessario per far bene la scuola.
Fu esaudito prontamente e pienamente.
Egli acquistò un'autorità straordinaria e le sue classi diventarono esemplari.
I suoi confratelli, colleghi di insegnamento di quel tempo, alcuni dei quali più anziani di lui, lo consideravano un insegnante perfetto.
Nel 1891 fu chiamato a prestar servizio militare, ma poté restare a Torino, nella Caserma S. Croce attigua alle scuole della R.O.M.I.
Tutto il tempo libero lo passava nella sua comunità religiosa e non vedeva il momento di ritornare fra i suoi confratelli.
Raccontava egli stesso più tardi scherzosamente che quando tornava in caserma dalla vicina comunità impiegava un tempo esattamente doppio di quello che vi aveva impiegato nell'andata.
Il suo Visitatore Provinciale era sorpreso nel vedersi consegnare regolarmente la cinquina dal soldato Garberoglio, mentre ad altri Fratelli militari doveva mandare periodicamente qualcosa che sopperisse al trattamento di caserma scarso e grossolano.
Il soldato Garberoglio si giustificava accennando al suo fisico robusto e sviluppato, il quale però solo per il dominio che egli ne aveva non reclamava di più.
Era il suo stile. Nulla di diverso dagli altri nelle occupazioni, diverso solo il modo di affrontarle.
Senza averne l'aria e con la massima naturalezza era sempre spiritualmente nelle posizioni avanzate.
Terminata la parentesi del servizio militare, riprese la scuola ai poveri, che non lascerà più fin che gli dureranno le forze.
Nel 1897, ancora prima della professione perpetua, che farà solo nel 1899, era già Vice-Direttore della comunità di S. Pelagia. Incominciava ad affermarsi anche la sua eccezionale prudenza.
Nel 1906 fu mandato nel Belgio, alla Casa Madre dell'Istituto, per compiere il secondo noviziato.
I Fratelli delle Scuole Cristiane usano riunire i migliori elementi dell'Istituto, che hanno già compiuto un primo tirocinio di insegnamento, per dar loro un'ulteriore preparazione alla vita religiosa e all'attività apostolica.
Ivi si mettono in comune tutte le esperienze e si impara a conoscere le opere dell'Istituto in tutto il mondo.
Il Fr. Teodoreto fu interessato particolarmente alle relazioni dei confratelli sulle opere post-scolastiche, intese a potenziare il profitto della scuola, e concepì l'idea di approfondire l'educazione spirituale dei suoi allievi, continuandola anche dopo il compimento dei corsi scolastici, in modo da portare i migliori alla vita di perfezione in mezzo al mondo.
Questa fu l'idea generatrice dell'Unione Catechisti, realizzata più tardi, dopo molte riflessioni e preghiere, e con l'aiuto di Fra Leopoldo.
Giovanni Garberoglio con la mamma, nel 1887.
Nel 1910 fu nominato Direttore della comunità di S. Pelagia, la quale era costituita di 35 Fratelli e dirigeva 6 scuole con un totale di 28 classi e circa 1100 allievi.
AI nuovo Direttore si prospettarono subito tre problemi specifici:
1) il riconoscimento giuridico delle scuole della comunità, che erano sempre rimaste delle scuole private, pur avendo quasi un secolo di vita, e che incominciavano ad essere avversate dalle autorità scolastiche laiche;
2) L'istituzione di opere di perseveranza, che mancavano affatto a S. Pelagia essendo state soppresse preesistenti perché non davano di più i risultati voluti.
Questa mancanza di opere in una famiglia religiosa tanto importante era una grave lacuna;
3) la villeggiatura estiva dei Fratelli, che dovevano trascorrere l'estate a Torino in grandi strettezze finanziarie.
Per averne un'idea basti sapere che nessun lavoro si era potuto fare per rendere meno esposto il dormitorio comune, collocato sotto i tetti con le finestre aperte sul cortile di uno stallaggio e dove i Fratelli alzandosi d'inverno trovavano la brina sulle coperte.
Anche i Fratelli più anziani e rivestiti di autorità scarseggiavano dei più comuni oggetti personali per la toeletta e si servivano di vecchie latte e di ingegnosi ripieghi.
Finché si trattava di praticare l'austerità non era certo il Fr. Teodoreto a cercare delle mitigazioni.
Ma la mancanza di sollievo dopo le fatiche dell'anno scolastico incideva sulla salute dei religiosi e molti deperivano.
Alle preoccupazioni e alle preghiere del Direttore rispose la Provvidenza.
Un giorno gli si presentò una donna che diffondeva la Divozione alle cinque Piaghe e gli offrì un foglietto, incollato ai margini di una immagine di Gesù Crocifisso, sul quale era stampata la preghiera di Fra Leopoldo.
Era una delle prime copie della Divozione, che Fra Leopoldo incominciava a propagare con l'aiuto di pie persone.
La donna gliela raccomandò dicendogli che era stata composta da un frate favorito da rivelazioni soprannaturali e assicurandolo che era molto efficace.
Il Fr. Teodoreto la trovò interessante e, con il consenso dei suoi superiori, ai quali pure piacque assai, promise che l'avrebbe fatta recitare ogni giorno nella sua comunità se avesse ottenuto le grazie necessario per superare le difficoltà in cui si dibatteva la sua famiglia religiosa.
A loro volta i Fratelli di S. Pelagia accettarono volentieri la nuova pratica che si iniziò senz'altro.
In breve tempo si ottenne il riconoscimento delle scuole nella forma desiderata e, prima che terminasse l'anno scolastico, l'intervento di un generoso benefattore consentì ai Fratelli di S. Pelagia di acquistare una villa a Pessinetto, in Valle di Lanzo, dove la comunità poté da allora trascorrere le vacanze e organizzare inoltre ritrovi per gli allievi, giornate di ritiro e corsi di esercizi spirituali.
Rimaneva la questione delle opere di perseveranza e quel proposito maturato dal Fr. Teodoreto fin dal 1906 e non ancora tradotto in pratica perché la sua prudenza lo faceva avvertito che i mezzi idonei non erano ancora a sua disposizione.
Erano sei anni che egli pregava e aspettava un segno dal cielo e mai più avrebbe immaginato che il foglietto della Divozione a Gesù Crocifisso presentategli da quella signora sarebbe stato il primo anello di una catena di grazie con l'aiuto delle quali egli avrebbe realizzato ad esuberanza il suo progetto ed iniziato una complessa opera di rinnovamento spirituale e sociale.
Le persone che diffondevano la Divozione a Gesù Crocifisso avevano la proibizione di parlare di Fra Leopoldo e perciò il Fr. Teodoreto non lo conosceva affatto, ma alcune circostanze fortuite glie ne fecero scoprire il nome e la residenza nel Convento di S. Tommaso.
Dopo qualche titubanza, risolta nella preghiera, decise di andarlo a consultare.
Fra Leopoldo che a sua volta non conosceva il Fr. Teodoreto si mostrò nel primo incontro affabilmente riservato.
Ma quella sera stessa consultò il Signore per sapere come comportarsi e si sentì esortare ad avere piena confidenza con il Fr. Teodoreto perché questi era un uomo « di cui ci si poteva fidare ».
Incominciarono allora tra i due servi di Dio quei colloqui riccamente fecondi che durarono fino al 1922 quando Fra Leopoldo fu chiamato al premio eterno.
Il Fr. Teodoreto ebbe il merito di intuire il valore spirituale di Fra Leopoldo, cuoco del convento, ed ebbe la virtù di accettare i consigli di un uomo così povero di cultura umana.
Quella del Fr. Teodoreto non era credulità, ma intuito e prudenza superiore, fede viva e umiltà vera.
Questo suo atteggiamento interiore Io rese intelligente dei voleri di Dio, lo fece docile strumento della Sapienza eterna e gli consentì di iniziare un movimento la cui ampiezza egli stesso non afferrava fino in fondo.
Una delle prime cose di cui egli parlò a Fra Leopoldo fu il proposito concepito durante il suo secondo noviziato, di coltivare la vita di perfezione nei giovani chiamati a restare nel mondo.
Fra Leopoldo, consultato il Signore, intese la seguente risposta: « Dirai al Fratel Teodoreto che faccia quello che ha in mente ».
Questa frase riferita subito al Fr. Teodoreto ebbe un effetto grande: ruppe gli indugi, ispirò sicurezza, mosse all'azione e sostenne in ogni difficoltà, talmente che il Fr. Teodoreto la considerava una parola creatrice.
La sua fede gliela faceva considerare parola di, Dio, la quale poteva così esercitare in lui tutta la sua efficacia.
In questa frase non c'è alcuna direttiva nuova circa l'opera da iniziare: ciò che il fr. Teodoreto « ha in mente » è sufficiente per adesso.
Ciò che occorrerà in seguito verrà rivelato a suo tempo.
Ma essa dà la certezza che l'opera è ispirata da Dio, che Dio la vuole, e quindi Egli la porterà a compimento.
Il proposito del Fr, Teodoreto prendeva corpo, si determinava, e andrà via via assumendo la forma definitiva con gli elementi nuovi che la Provvidenza fornirà a tempo opportuno.
Nasceva così l'Unione Catechisti del SS.mo Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, che col tempo assumerà la forma di Istituto Secolare e darà origine alla Casa di Carità Arti e Mestieri.
Per espressa volontà del Signore Fra Leopoldo trasmise la Divozione a Gesù Crocifisso quale sorgente inesauribile di vita nuova, all'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che ne divenne il custode e il propagatore tramite l'Unione Catechisti.
Fra Leopoldo divenne l'oracolo consultato in tutte le occasioni, affinché in tutto si realizzassero i disegni di Dio.
Del resto le parole di Fra Leopoldo non erano soltanto parole, ma spesso recavano, dei segni straordinari.
Il 31 gennaio 1915 il Fr. Teodoreto era ricoverato nell'infermeria di Grugliasco per un grave attacco di nefrite.
Ivi gli giunse un biglietto di Fra Leopoldo che gli riferiva quanto aveva inteso nell'adorazione del 31 gennaio 1915 e che era così concepito: « Dirai al Fr. Teodorato che gli mando la benedizione e con essa la guarigione ».
« Dunque spero presto di vederlo ».
Appena ricevuto questo biglietto il Fr. Teodoreto si trovò completamente guarito.
Si alzò immediatamente e se ne venne a Torino dove riprese le sue occupazioni.
Il passaggio dall'ambiente surriscaldato dell'infermeria al freddo rigidissimo che c'era fuori non gli dette il menomo fastidio.
La scuola Vittorio Amedeo III della R. O. M. I.
Intanto era scoppiata la prima guerra mondiale e la accompagnavano gli sconvolgimenti immani e i gravi problemi sociali che tuttora agitano l'umanità, protesa nell'affannosa ricerca di un ordine nuovo.
L'opera del Fr. Teodoreto che pure è destinata a portare nuova luce alla soluzione del problemi sociali e reca un nuovo strumento per la formazione di nuove generazioni, non poteva non risentirne le conseguenze, tanto più che essa era proprio al suo sorgere e nel primo periodo della sua vita.
In certi momenti fu ridotta a un filo.
Ma il Fr. Teodoreto non si lasciò mai scoraggiare e tirò avanti imperturbabile, fiducioso nell'intervento di Dio a tempo opportuno.
Possiamo caratterizzare tre momenti salienti nella collaborazione tra lui e Fra Leopoldo:
1) la spontanea e totale accettazione della Divozione a Gesù Crocifisso, intesa come rinnovamento e potenziamento della vita interiore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, dei Catechisti del SS. Crocifisso e di tutto il mondo lasalliano, cioè delle centinaia di migliaia di allievi ed ex allievi e delle loro famiglie in tutto il mondo, fino a trasbordare fuori in ogni paese o gruppo sociale, dove può giungere Reco delle Scuole Cristiane;
2) la fondazione dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, concepita come continuazione, coronamento ed estensione della opera educatrice dei Fratelli;
3) il fiducioso inizio della Casa di Carità Arti e Mestieri, strumento di salvezza per le classi operaie e ispiratrice di un orientamento nella condotta delle scuole.
La storia complessa e movimentata di questa opera ne fa risaltare più che mai l'origine dall'alto.
Nel 1919 al Fr. Teodoreto, nella direzione della Comunità di S. Pelagia, era succeduto il Fr. Isidoro di Maria.
Il nuovo Direttore che vedeva chiaramente le necessità degli operai e rifletteva sugli esempi di S. Giovanni Battista de La Salle, che alle scuole popolari e tecniche aveva orientato l'attività nascente del suo Istituto, voleva aprire presso la sua comunità una scuola di arti e mestieri, ma le difficoltà da superare erano molte e gravi.
A sua insaputa Fra Leopoldo, ignaro dei progetti del Fr. Isidoro, proprio in quel tempo andava annotando nel suo diario delle frasi che il Signore gli veniva dicendo e di cui non capiva la portata; frasi scarne, riportate fedelmente e senza alcun commento:
« Per salvare anime, per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità per far imparare ai giovani arti e mestieri ».
« Ormai è tempo che manifesti la mia volontà: voglio una Scuola di Carità Arti e Mestieri ».
Lo stesso Fra Leopoldo pensò di far vedere questi scritti al Fratel Teodoreto per averne qualche chiarimento.
Possiamo immaginare la sorpresa di quest'ultimo, che non solo conosceva i progetti del suo Direttore, ma si adoprava con tutto l'impegno per vederli realizzati e che nella coincidenza delle due ispirazioni vide chiaramente il dito di Dio.
Le rivelazioni di Fra Leopoldo circa la Casa di Carità, portate a S. Pelagia e sottoposte ai Superiori dell'Istituto, furono accolte dai Fratelli, che si sentirono incoraggiati e sicuramente consigliati, e si misero al lavoro.
Si organizzò subito un Comitato, composto di personalità autorevoli e capaci di dare alla iniziativa un efficace contributo e tutto sembrava avviarsi verso il successo.
Purtroppo le parole di Fra Leopoldo esposte al Comitato furono mal capite, male interpretate e male applicate e divennero segno di contraddizione.
La Scuola di Arti e Mestieri fu aperta, ma senza tener conto delle direttive nette e risolute che, tramite Fra Leopoldo, Gesù andava dettando; e assunse tutt'altra fisionomia.
Invano il Fratel Teodoreto fece tutto quello che era in suo potere perché si seguissero le direttive del suo santo amico.
In quell'occasione Egli e Fra Leopoldo, uniti nelle stesse convinzioni e negli stessi propositi, ebbero a sopportare una delle prove più dure della loro vita, perché constatavano che i disegni di Dio venivano svisati, e umilmente subirono tutte quelle conseguenze della reazione provocata dalle loro affermazioni.
Fra Leopoldo morì in questa amarezza. Invece il Fratel Teodoreto ebbe la consolazione di vedere sorgere più tardi la Casa di Carità Arti e Mestieri, per opera dei suoi Catechisti, realizzata fedelmente secondo le direttive date dal Signore a Fra Leopoldo.
Il Fratel Teodoreto sapeva attendere. Sapeva che la Provvidenza di Dio ha i suoi tempi e i suoi metodi, che l'uomo da solo non può fare nulla e che la attività umana, quando non è mossa e guidata dalla grazia, è febbre inconcludente.
Il suo istinto l'avrebbe portato ad agire subito, a prendere le redini nelle sue mani, a preoccuparsi e, fatalmente, a inquietarsi, e invero spesso nella sua vita si intravvidero queste inclinazioni.
Ma la grazia lo trovò sempre docile e mortificato, sempre pronto a rinnegarsi, a uscire di sé per seguire il cenno venuto dall'alto.
Convinto che bisogna soprattutto lasciar fare al Signore, si abbandonò sempre più perfettamente nelle sue mani.
Fra Leopoldo gli aveva riferito questa frase di Gesù: « Dirai al Fratello Teodoreto da parte di me, Gesù, padrone di tutti i Santi e delle Santificazioni, che se si sente di fare il sacrificio di tenersi come corpo morto, questo sarebbe il compimento della sua santificazione » ( 3 - 6 - 1921 ).
Il Fratello Teodoreto non se lo fece dire invano. Ingaggiò una delle battaglie più dure della sua vita, ma l'esito fu trionfale.
Questo totale abbandono in Dio lo svincolava sempre più dalle cose terrene, ma non diminuiva la sua attività, anzi la potenziava, inserendola profondamente in quella intensissima tranquilla attività con cui Iddio governa il mondo.
Egli era sempre più il servo fedele pronto ad ogni cenno del suo Signore, ma rimaneva tranquillo e tutta la sua persona rifletteva una serena pace.
Si muoveva con Dio e perciò dove Egli interveniva si facevano cose importanti e durature.
Sua Eminenza il Card. Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino; il P. Fabbri dei Sacramentini, predicatore;
ed il Fratel Teodoreto tra i Catechisti, alla chiusura degli Esercizi Spirituali 1949.
Una delle passioni del Fratel Teodoreto era la formazione dei suoi giovani confratelli di religione.
Egli non interveniva in modo molto appariscente, come altri suoi eminenti confratelli dotati di grande cultura, come ad esempio il Fratel Goffredo e il Fratel Giocondo, ma fu senza dubbio una delle forze più costruttive delle nuove reclute del suo Istituto.
Ne aveva avuto una missione speciale e glie lo confermò anche Fra Leopoldo con questo messaggio del Signore:
« Dirai al Fratel Teodoreto che sono tanto contento di lui, e gli raccomando i giovani, siano Fratelli delle Scuole Cristiane, siano i giovani del SS.mo. Crocifisso, gli uni e gli altri » ( 16 - 8 - 1914 ).
Queste parole caratterizzano bene l'opera educativa del Fratel Teodoreto.
Egli mira all'opera perfetta, tende a occuparsi delle élites, pur senza trascurare le masse.
Nei suoi lunghi anni di scuola educherà delle schiere di giovani, ma avrà cura particolare di formare gli educatori, di perfezionare coloro che Dio ha scelto, sia tra le file del suo Istituto, sia tra i consacrati viventi nel secolo.
Del resto l'apostolato non è forse in certo modo la proiezione dell'anima propria su coloro che la Provvidenza ci affida?
Il carattere totalitario e generoso del Fratel Teodoreto non poteva non inclinarlo specialmente verso coloro che avevano scelto la parte migliore.
A pro di essi egli santificava anzitutto se stesso e moltiplicava le preghiere, conscio che la vita procede dalla vita e che tutto dipende dalla grazia di Dio.
Ai suoi confratelli si dedicava particolarmente durante l'estate, quando le attività ordinarle si rallentano per dar luogo ad un necessario periodo di riposo.
L'occasione gliela davano i superiori, affidandogli i corsi di esercizi spirituali di un mese o di venti giorni, che costituiscono la preparazione prossima dei giovani Fratelli alla loro professione triennale o perpetua.
Terminato l'anno scolastico a S. Pelagia, si ritirava alcuni giorni a Pessinetto per un serio e diligente lavoro di preparazione.
Poi scendeva in città, alla casa di esercizi, solitamente Villa Nicolas, ed iniziava con slancio il suo lavoro: conferenze, rendiconti individuali, preghiere, assistenza.
Quanti giovani fratelli ricevettero dalle sue parole e dal suo esempio un'impronta indelebile e lo ricordano ancora con affettuosa venerazione.
Poi c'erano gli Esercizi spirituali annuali dei Catechisti ed anche a questi interveniva.
E poi … chiedeva ai suoi superiori di partecipare per conto suo a qualche corso di esercizi perché, diceva, altra cosa è farli fare agli altri, altra cosa è il farli per sé.
E qualche volta fu anche accontentato.
Intanto l'Unione Catechisti metteva profonde radici ed era come un alveare fra i fiori, da cui l'incessante lavoro delle api spande un sommesso brusìo.
Nel 1924 il Fr. Teodoreto, tenute presenti tutte le parole di Fra Leopoldo e l'esperienza del decennio trascorso, aveva compilato il regolamento definitivo e l'aveva presentato per l'approvazione al nuovo arcivescovo di Torino, Mons. Giuseppe Gamba.
Questi, appena conobbe l'Unione Catechisti, dichiarò che essa non poteva essere considerata un'Associazione di Azione Cattolica o una Pia
Unione, ma piuttosto una vera famiglia religiosa e invitò, senz'altro, il Fratel Teodoreto a rivederne il regolamento, includendovi i tre classici voti religiosi.
Questi non se lo fece ripetere. Gli apparvero chiare allora certe parole di Fra Leopoldo, che accennavano ad un « ordine che verrà », e utilizzando il regolamento osservato sino allora dai Catechisti, preparò una regola dove c'era riflessa tutta la sua fervida anima imbevuta dello spirito di S. Giovanni Battista de La Salle e ardente di amore per Gesù Crocifisso.
Questa regola piacque assai al Card. Gamba e a tutti coloro che la esaminarono, ma non poteva comprendere alcuni elementi che allora erano giudicati essenziali per la vita religiosa, come la vita comune, e l'Unione Catechisti non poteva trovare la sua sistemazione giuridica.
La Sacra Congregazione del Concilio, a cui era stato deferito il suo esame, in una sua seduta plenaria l'approvò ad esperimento per cinque anni, ma poi tutto rimase sospeso fino al 1947, allorché, maturati tempi nuovi, venne emanata la costituzione « Provida Mater Ecclesia » che disciplinava tutto un movimento di opere nuove che fermentava nella Chiesa e istituiva gli Istituti Secolari.
Soltanto allora il disegno di Dio si faceva del tutto chiaro e l'opera del Fratel Teodoreto riceveva il suo coronamento e si consolidava in modo definitivo.
La posa della prima pietra delta Casa di Carità Arti e Mestieri in Torino.
Il Fratel Teodoreto sta firmando la pergamena di fondazione.
Frattanto era sorta anche la Casa di Carità Arti e Mestieri secondo le direttive di Fra Leopoldo.
Nessuno si era proposto di riprendere un'iniziativa che si era dimostrata così difficile da realizzare.
Tuttavia non si potevano dimenticare le parole del Signore: come si poteva pensare che tanti segni straordinari fossero passati invano?
Era rimasto quindi in alcuni, e specialmente nel Fratel Teodoreto, un atteggiamento di vigile attesa. E i fatti corrisposero.
I Catechisti, che nel 1922 lavoravano in varie Parrocchie alla periferia di Torino, avvertivano le gravi difficoltà create dagli sbandamenti sociali di quel periodo e pensarono di venire in aiuto agli operai, non con sussidi materiali, ma con l'istruzione professionale, che avrebbe facilitato assai la ricerca di lavoro e ottenuto migliori retribuzioni, e, inoltre, avrebbe richiamato il popolo alla Parrocchia per l'educazione religiosa.
Si iniziarono così timidamente i primi corsi professionali festivi presso la Parrocchia di Nostra Signora della Pace.
Ci si accorse subito di aver affondato il piccone in una ricca miniera.
In breve bisognò uscire dalla Parrocchia per trovare dei locali più adatti di quelli che essa potesse offrire, e la Provvidenza fornì i mezzi necessari, che erano cospicui e che umanamente parlando sarebbe stato follia sperare, data la povertà dei Catechisti.
Incominciò così la vita autonoma della Scuola nella prima sede umilissima di via Feletto, dove ai semplici corsi festivi si aggiunsero presto quelli serali e in breve si diede ospitalità a parecchie centinaia di allievi ogni anno.
Come si doveva chiamare la Scuola? Casa di Carità, naturalmente.
E dove trarre l'ispirazione per il suo programma?
C'erano lì tutti gli scritti di Fra Leopoldo, ancora freschi, vibranti, pressanti, e si cerco di essere fedeli ad essi.
Poteva bene sorgere il dubbio che fosse legittimo per i Catechisti far proprie le direttive che, tramite Fra Leopoldo, erano state date ai Fratelli per la Scuola di Arti e Mestieri, ma su questo punto, così fondamentale, il Fratel Teodoreto non ebbe mai alcuna esitazione: il messaggio di Fra Leopoldo aveva una portata ben più ampia e non si esauriva nell'organizzazione di una determinata Scuola.
L'Unione Catechisti era tutta collocata nella scia di Fra Leopoldo e la Provvidenza di Dio aveva abbastanza dimostrato, attraverso gli eventi, che i detti di Fra Leopoldo erano per i Catechisti una guida sicura ed una sorgente inesauribile di sviluppi fecondi.
Dunque si procedette per quella via.
La Casa di Canta Arti e Mestieri in Torino: allievi del corso diurno
Tuttavia, pur superata questa fondamentalissima pregiudiziale, la Casa di Carità di Via Feletto aveva posto dei problemi che nessuno sapeva risolvere.
Che cos'era mai una scuoletta festivo-serale, sia pure con un migliaio di allievi, tenuta da un gruppo di insegnanti volontari, tutti animati da grande zelo, ma pur sempre dei dilettanti in materia di insegnamento, di fronte alla opera poderosa descritta da Fra Leopoldo come un grande strumento di rinnovazione religiosa e sociale?
Certo essa esercitava una benefica influenza sugli allievi e otteneva dei risultati quanto mai incoraggianti.
Ma, evidentemente, solo una scuola diurna, diretta da insegnanti di professione, avrebbe potuto garantire profondità e continuità all'opera educativa.
E come si poteva arrivare a questo, se l'Unione Catechisti è tutta costituita di elementi che vivono nel secolo e attendono alle più disparate occupazioni?
O forse che essa avrebbe dovuto trasformarsi, a poco a poco, in una congregazione d'insegnanti e costituire un doppione più o meno opportuno, più o meno caratterizzato, di istituzioni già egregiamente funzionanti e perdere la sua primitiva ed originale impostazione?
A tutti questi interrogativi se ne aggiungeva un altro ancor più tormentoso i perché l'Unione Catechisti si sviluppava così adagio?
Fra Leopoldo assicurava che i figli della Pia Unione sarebbero stati straordinariamente numerosi e invece gli anni passavano: venti, trenta, quarant'anni dalla fondazione ed essi continuavano ad essere l'evangelico piccolo gregge.
È vero che le strutture si consolidavano, i disegni di Dio si chiarivano e si lavorava in profondità, ma l'epifania del nuovo Istituto secolare appariva ancora sempre lontana e le braccia per il lavoro, che si ampliava senza soste, erano troppo poche.
Il Fratel Teodoreto non sapeva rispondere a tutti questi interrogativi, o almeno non manifestava su tutti la sua idea.
Egli conosceva però e indicava le linee fondamentali, lasciando alla Provvidenza di Dio la determinazione degli ulteriori sviluppi e attendendo con ferma fede un intervento che tardava assai.
In silenzio ed umiltà profonda Egli sopportava una grande prova che lo accompagnò fino alla fine.
Novello Abramo Egli non vide l'adempimento delle promesse, sebbene ne abbia visto qualche segno.
Come Mosè egli guidò il suo popolo per quarant'anni nel deserto, ma non entrò nella terra promessa e soltanto la salutò di lontano.
Quanti problemi, quante difficoltà e contraddizioni.
Egli ne soffriva intimamente, vivamente, ma sempre in pace e mai ebbe a manifestare il minimo dubbio o la minima impazienza: studiarsi di intendere i voleri di Dio, sforzarsi di tradurli fedelmente in atto, ecco tutto il suo impegno.
Il resto appartiene al Signore e tutto ciò che Egli dispone è accettato adorando, anche se talvolta l'amarezza può invadere tutta l'anima e la natura vorrebbe gridare: fino a quando, o Signore?
Alle difficoltà interne si aggiunsero quelle dell'ultima guerra.
Era la seconda volta che l'Unione subiva l'urto di una conflagrazione e questa volta le conseguenze furono assai più gravi, benché nessuno dei Catechisti, per una evidente, specialissima protezione, ne sia rimasto vittima.
Tutte le sue attività subirono un arresto, le opere di formazione dei giovani Catechisti distrutte, la Casa di Carità ridotta agli estremi.
Eppure, proprio alla vigilia della guerra si era decisa la costruzione di una nuova sede per la Casa di Carità perché la vecchia non era più idonea e il 31 maggio 1940, cioè dieci giorni prima che scoppiassero le ostilità, si era acquistato un ampio terreno per farvi sorgere un edificio decoroso e razionale.
Passò la bufera, e i catechisti riavutisi dal generale disorientamento, osarono affrontare l'impresa della nuova costruzione, benché occorressero centinaia di milioni di lire, e cioè una possibilità finanziaria assolutamente sproporzionata alle loro forze.
Eppure, vi riuscirono, anche se lo sforzo fu grande.
La necessità di scuole per operai si faceva sempre più viva e l'esigenza di una completa formazione umana, cristiana e professionale degli operai si rivelava come una delle maggiori istanze sociali dei nostri giorni.
Mentre si stava preparando la nuova sede della Casa di Carità, una grande industria torinese si rivolse ad essa per l'organizzazione stabile di corsi diurni per i propri dipendenti.
Qualche Catechista si mise a disposizione della Scuola lasciando i propri impegni professionali. Si era ad una grande svolta.
Il Fratel Teodoreto riconobbe l'intervento di Dio in tutte queste circostanze, che indicavano la soluzione di tanti problemi.
Con l'istituzione dei corsi diurni la Casa di Carità subì una profonda trasformazione e le parole di Fra Leopoldo ebbero pieno compimento.
La Scuola fu affidata ai Catechisti che per professione esercitano, l'insegnamento e l'istituto mantenne la sua caratteristica: esso, pur lasciando ciascun membro nella sua attività professionale, poté assumersi una importante opera scolastica e giovarsi di tutti i vantaggi che da un'opera simile gli possono derivare.
Lo studio approfondito degli scritti di Fra Leopoldo rivela che la Casa di Carità deve avere una caratteristica inconfondibile, che ne faccia un'opera tipica, destinata ad orientare la scuola operaia di oggi e ad ispirare un ampio movimento inteso alla educazione umana, cristiana e sociale degli operai e alla armoniosa collaborazione di tutte le classi di cui si compone la società.
Il Fratel Teodoreto accolse con fede questa visione, lavorò, soffrì e attese l'ora della Provvidenza, e la sua gioia fu grande allorché vide iniziarsi l'attuazione di un disegno di salvezza così grande.
Il Collegio San Giuseppe dei Fratelli delle Scuole Cristiane in Torino.
La freccia alta, a destra, indica la finestra della camera abitata dal Fratel Teodoreto.
L'altra, a sinistra, indica la finestra della camera dov'egli morì.
A partire dall'ultima guerra, il Fratel Teodoreto si era sempre più appartato dall'attività esteriore, che l'età e la malferma salute non gli consentivano più e si era dato sempre più alla preghiera, alla penitenza e allo studio di Fra Leopoldo.
Nel 1944 ne aveva pubblicato la biografia, frutto di diligenti indagini e di lunghe riflessioni.
Fu un'opera compiuta e documentatissima, che illustra assai bene il suo soggetto e ne costituisce ormai la sorgente più abbondante e più sicura di informazioni.
Nel 1941 aveva avuto la gioia di vedere iniziata la causa di beatificazione di Fra Leopoldo e di deporre al suo processo, quale teste di primaria importanza.
Poi aveva assistito alla traslazione della salma di lui dal cimitero alla Chiesa di S. Tommaso, divenuta da allora in poi meta più frequente delle sue visite, che gli ricordavano le visite di una volta, fervide di cordialità e di spirituali entusiasmi.
Negli ultimissimi anni, esaurita la prima edizione della sua biografia, stava preparandone la seconda, richiesta con insistenza da ogni parte e desiderava di rifarla completamente, utilizzando le deposizioni dei vari testi al processo di beatificazione, ma la malattia lo interruppe ed egli andò a raggiungere il suo santo amico prima di averne potuto pubblicare la vita per la seconda volta.
All'inizio del 1946 si era ammalato gravemente e tutti ritenevano che fosse alla fine, ma egli invece si riebbe.
Fra Leopoldo gli aveva detto che il Signore non l'avrebbe chiamato al premio eterno finché l'Unione Catechisti non fosse definitivamente consolidata e per questo consolidamento mancavano ancora dei fatti importantissimi.
Ed ecco nell'agosto del 1946 il riconoscimento giuridico dell'Unione Catechisti da parte dello Stato; nel giugno del 1948 la sua erezione in Istituto Secolare da parte della Chiesa e nel febbraio 1949 l'approvazione delle Regole; nel giugno 1949 le prime dieci professioni perpetue dei catechisti.
Ormai egli considerava terminata la sua missione e attendeva il cenno dell'ultima chiamata.
Intanto il suo spirito si raffinava sempre più, subiva un'evoluzione assai grande, sebbene poco appariscente.
Egli diventava sempre più semplice, assolutamente abbandonato al beneplacito di Dio, tutto preso da quell'amore intimo, dolce e profondo che è la caratteristica del suo protettore, S. Giovanni Evangelista e che vibra in tutte le pagine di Fra Leopoldo.
Nell'agosto del 1949 ebbe il primo attacco di quel male che stroncherà la sua fibra robusta.
Mentre stava discorrendo con un suo confratello si arrossò vivamente in volto e perdette improvvisamente l'uso della parola.
Capì subito la gravita del male, ma non se ne mostrò impressionato: faceva dei cenni per dire che non poteva più parlare e intanto rideva, come di una cosa buffa.
Si lascio curare con estrema docilità e riacquistò in parte l'uso della parola, ma non fu più lui.
Fino all'ultimo conservò perfetta lucidità di mente, ma le forze lo servivano male e la parola gli veniva difficile e ingarbugliata.
Praticamente non poteva fare più nulla, egli così attivo per temperamento e per abitudine e le comunicazioni con l'esterno si riducevano sempre più, creandogli intorno il silenzio.
In queste condizioni il suo studio continuo era l'unione con Dio e il pensiero di compiere tutto il suo dovere.
Una lettera al suo direttore spirituale apre uno spiraglio nella sua anima, che un istintivo pudore e una profonda virtù tenevano costantemente velata.
Dopo aver descritto il suo programma quotidiano egli domandava: « In tempi così difficili come oggi per la Chiesa, basta una vita così? ».
Anch'egli sentiva l'ansia di non fare abbastanza e di non corrispondere pienamente alla sua chiamata.
Sicuramente all'esterno non aveva nulla di straordinario, ma la sua ricchezza era tutta interiore.
E la sofferenza non gli mancava, sebbene fosse difficile agli estranei avvertirla sotto il suo sorriso e la sua imperturbabile serenità.
Solo qualche intimo avvertiva da qualche leggero tremito nelle mani o nella voce o da qualche lampo negli occhi che la sua serenità era il frutto di una vittoria.
E solo da qualche cenno fugace e indiretto si potevano intuire in lui dei momenti di angoscia, specialmente la sera e quando le forze lo abbandonavano.
Ai familiari appariva tranquillissimo, affabile, docile a tutte le prescrizioni, ubbidiente anche all'infermiere.
Arrivò così con alti e bassi fino al maggio 1954, pregando veramente senza interruzione, soffrendo in solitudine, prendendo parte quando poteva alla vita dell'Unione Catechisti, dove la sua presenza, pure in silenzio quasi continuo, portava una nota di intima gioia e di spirituale fervore.
Il 9 maggio 1954 ricorreva il 40° anniversario della fondazione dell'Unione Catechisti e se ne stava preparando una degna commemorazione.
Il Fratel Teodoreto era ricoverato nell'infermeria del Collegio S. Giuseppe per una lieve indisposizione, ma sperava di potersi alzare per il giorno della festa.
Invece proprio alla vigilia, fu colpito per l'ultima volta dal male e fu trovato a terra accanto al lavabo dove si era recato per la toeletta.
Non rinvenne più, né più pronunciò alcuna parola.
L'occhio spento, il respiro affannoso, le ultime resistenze della vita fisica che sta per spegnersi.
Probabilmente intendeva tutto quello che avveniva e si diceva attorno, ma non si fece più intendere.
Rimase così fino alle prime ore del 13 maggio, quando il respirò mancò: fece qualche sforzo per respirare ancora … Ricadde per sempre, soffocato.
La generale trepidazione con la quale fu seguita la malattia si mutò in grande commozione e rimpianto allorché fu diffusa la notizia che il Fr. Teodoreto non era più in questo mondo.
Un'immensa folla visitò piamente la sua salma composta in atteggiamento di sereno riposo e la accompagnò al cimitero, nonostante la pioggia fastidiosa.
Da ogni parte si pregava, ma ognuno era convinto che tutte quelle preghiere salissero in cielo non per suffragare, ma per impetrare.
Ciascuno, riandava con la mente alle parole ed agli esempi del Fr. Teodoreto e proponeva di scolpirli sempre più a fondo nella propria anima e di tradurli in realtà di opere nella vita quotidiana.
C. T.
La camera ardente, nel Collegio San Giuseppe