Nel ricordo di Fratel Teodoreto |
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È tanto naturale che chi ha vissuto lunghi anni a fianco del Fr. Teodoreto, come i suoi catechisti, e ne ha in cuore un vivo rimpianto, sia richiamato a lui da tutte le cose tra cui visse, che formarono il suo mondo esteriore e che egli sinceramente e puramente amò.
Ed ecco che le vacanze estive in montagna rammentano le gite in Val di Lanzo da lui organizzate quando l'Unione era ancor giovane, per visitare la grotta di Lourdes a Martassina, oppure il santuario di S. Ignazio sopra Lanzo.
Gite così allegre e così pie, che lasciavano negli animi impronte durature, non solo per la gioia che procura la solenne bellezza dei monti e la lieta compagnia, ma più ancora per il clima spirituale in cui si svolgevano ed i buoni propositi che facevano nascere.
Veramente egli non le chiamava gite ma pellegrinaggi ed erano autentici pellegrinaggi, ricchi di preghiere e di insegnamenti, anche se non mancavano il gioco, le facezie e le risate di gusto, risate contagiose, che si comunicavano a tutti, compreso il Fr. Teodoreto.
Più tardi furono i catechisti a organizzare delle visite a lui a Pessinetto ed a scegliere per le loro ferie il Pian della Pietra, poco lontano dalla casa estiva dei Fratelli.
E appunto al Pian della Pietra, vicino al loro Fondatore, i catechisti iniziarono la serie dei loro campeggi estivi, ai quali prese parte spesse volle lo stesso Fr. Teodoreto.
Che festose accoglienze egli faceva ai suoi giovani non mai considerati in blocco, ma avvicinati uno per uno, con sì evidente cordialità, con rispetto e distinzione.
Quante visite reciproche in Val di Lanzo, quante passeggiate insieme alternando ricreazioni allegre e conversazioni edificanti, giochi e preghiere in comune.
Più tardi ancora i soggiorni in Val Soana in sua compagnia, autentica vita di famiglia del Padre con i suoi figli, serena, affettuosa, tutta orientata verso il Signore.
Non c'era pericolo che di quella compagnia si sentisse del peso o della noia, anzitutto per quella sua raffinatissima carità cosi umile e soave, cosi schietta e comprensiva che infondeva in cuore la consolazione e il coraggio e metteva ciascuno a suo agio, e poi perché aveva il segreto di dare importanza a tutte le cose, di metterle in rilievo e di farne argomento e mezzo per elevarsi a Dio, suscitando così l'interesse ed il fervore.
Egli non era estraneo a nessuno e non era indifferente ad alcuna cosa.
A contatto della natura si trovava pienamente a suo agio e godeva visibilmente delle bellezze semplici e grandiose che il creato offre continuamente allo sguardo dell'uomo.
In montagna osservava con interesse il lavoro dei secoli sui fianchi dei monti e nelle gole solcate dai torrenti, i villaggi pittoreschi, i ghiacciai, le acque, le erbe.
Di notte era attratto a contemplare il cielo stellato.
I catechisti ricordano ancora il suo atteggiamento estatico in una sera limpida, con lo sguardo levato al firmamento, tutto immerso in quella immensità dì mondi e di spazi, riconoscendo costellazioni, calcolando distanze e orbite tra esclamazioni di stupore.
Durante una gita in Val Soana con i Catechisti si era fermato più volte a guardare gli abeti, sempre così diritti e slanciati e a piombo, anche sui fianchi più ripidi dei monti e sopra i burroni più paurosi e li aveva definiti il simbolo della rettitudine.
Come non pensare che così appunto era la sua fisionomia morale, tutta slancio e rettitudine, che nulla poteva far deviare?
Il Fratel Teodoreto a 75 anni
Arrivati ad una sorgente limpida e generosa si fermò un istante ad ascoltarne il misterioso mormorio ed a mirarne l'onda luminosa, poi ne attinse, si fece lentamente un gran segno di croce e ne bevve.
Ma in quel semplicissimo atto, compiuto con tutta naturalezza e spontaneità c'era la solennità d'un rito e un senso così vivo di religiosità che tutti rimasero a guardarlo ammirati.
Quello era l'atteggiamento dell'uomo innocente che si accosta alla creazione con occhio puro, e in quel gesto vi era in certo modo tutto il Fr. Teodoreto.
Non era la prima volta che egli facesse impressione con il suo modo di fare il segno di croce.
Egli compiva normalmente questo atto con tanta gravita e con così vivo spirito religioso che tutti restavano edificati.
Lo notava nelle sue memorie anche Fr. Arcangelo di v.m. suo grande ammiratore, discepolo ed emulo.
Dalle parole e dagli atteggiamenti del Fr. Teodoreto appariva sempre l'uomo di Dio, l'autentico religioso, non avulso dal mondo, anzi ben inserito nella società degli uomini e sinceramente partecipe alla multiforme loro vita, ma che di ogni cosa ha compreso il vero senso e tutto riporta alla primitiva consacrazione, perché tutto vede nella luce di Dio in cui ogni cosa è valorizzata e nulla è idolatrato e tutto costituisce arricchimento personale e scala per salire.
La sua conversazione, senza pretese, non era mai banale e se di preferenza volgeva sulle cose dello spirito, che gli riempivano il cuore ed a cui risaliva continuamente con naturalezza, si intratteneva volentieri anche sugli argomenti più svariati, secondo le circostanze: dai lavori agricoli al progresso della tecnica; dall'architettura cittadina alla storia locale; dagli usi e tradizioni alle espressioni caratteristiche del linguaggio e soprattutto ai problemi dell'educazione e dell'apostolato.
Benché sorvolasse sempre su quello che lo riguardava, era facile avvertire che ricordava con compiacenza la vita semplice del suo paese e della sua famiglia, le persone, i fatti e le tradizioni di quel suo caro mondo giovanile.
Ne gli mancava una nota di umorismo, che gli taceva cogliere gli aspetti comici della vita e punteggiava di schietta allegria la sua conversazione.
Ascoltava con interesse le barzellette e ne raccontava pure lui, magari nel bei mezzo di una discussione seria, procurando così un momento di generale distensione.
Fine intuitore delle necessità altrui, veniva subito al pratico e si metteva a disposizione.
Un giorno gli si presentò un giovane, munito di una lettera di raccomandazione, per domandare di essere assunto come domestico al Collegio San Giuseppe.
Fr. Teodoreto, osservata la faccia patita del giovane, gli domandò se avesse già fatta colazione e, sentito che era ancora digiuno, lo portò immediatamente in refettorio e lo fece rifocillare bene.
Dopo di che: « Adesso possiamo pensare all'impiego » gli disse, e lo accompagnò dal Direttore.
Quel giovane, scoraggiato da una serie di guai e di insuccessi si sentì rinfrancato da quei riguardi e come rinascere a nuova vita.
Distribuzione di diplomi a nuovi catechisti, Torino, Villa Nicolas Superiore ( dietro a Sua Eminenza il Card. Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino, si vedono, da sinistra verso destra, il Fratel Leone di Maria, allora direttore del Collegio San Giuseppe, ed il Fratel Teodoreto ).
Estate 1946, campeggio dei catechisti a Ronco Canavese, Val Soana ( in mezzo al gruppo, è il Fratel Teodoreto )
Il Fratel Teodoreto alla chiusura del Capitolo dell'Unione, nel 1948
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Fr. Teodoreto non era affatto un rinunciatario.
Egli, così padrone di sé da essere ammirato da tutti come un modello; così puro di cuore da rifletterne la luce in tutta la persona, così libero interiormente, non pensò che fosse necessario disprezzare le cose buone della vita per raggiungere la perfezione e fu sempre umanissimo.
Ma appunto perché così umano e partecipe delle realtà di questo mondo il Fr. Teodoreto prendeva le cose sul serio e s'impegnava a fondo.
Nulla era più contrario alla sua psicologia della superficialità e della leggerezza.
I faciloni che si accontentano di abboracciare, la gente frivola che non ha intenzioni serie e i disillusi che per nulla si abbattono gli davano fastidio.
Non li mortificava, non li criticava, ma li lasciava da parte.
Non pare che la natura l'avesse fornito di doti eccezionali e nel suo Istituto non fu mai investito di alte cariche.
Tuttavia fin da ragazzo godeva di un notevole ascendente in famiglia e sui suoi compagni.
E se ci fu una vita che abbia lasciato delle tracce profonde e durature questa fu proprio la sua.
Gli era connaturata una grande saggezza e un chiaro buon senso che gli consentivano di afferrare in tutte le cose l'aspetto essenziale e di evitare gli inganni.
Ed era un conquistatore deciso e prudente che sa entusiasmarsi durevolmente per le grandi imprese e raggiungere le sue mete a qualunque costo.
Tutta la sua vita è improntata a questa chiara prudenza, che lo faceva consigliere ricercato ed apprezzatissimo, ed a questa ferma risolutezza nel perseguire un grande ideale da cui nulla poté farlo deviare, né la resistenza che oppone la natura a chi la vuoi dominare, né la difficoltà di una regola che disciplina implacabilmente ogni atto, all'interno ed all'esterno, né le contraddizioni che la vita non lascia mai mancare e che spesso provengono proprio di là donde meno si aspetterebbero.
La perfezione fu da lui come aggredita.
L'ideale della santità balenato alla sua mente giovanile divenne il tema dominante della sua vita, la sua passione, il suo sapore.
In tutte le sue lettere, in tutte le sue istruzioni ai catechisti, in tutti i suoi scritti domina il richiamo continuo alla santità.
Il card. Gamba, dopo di aver letto le regole compilate dal Fr. Teodoreto per i catechisti, diceva appunto che vi si respira come un diffuso profumo di santità.
Egli perseguiva la santità con tanta modestia, amabilità e discrezione che non urtava nessuno, ma edificava tutti.
Quando però propose l'ideale dell'Unione Catechisti parve a molti che le sue mire fossero eccessive e irraggiungibili.
Qualche ecclesiastico, tra i più autorevoli della città lo disse rigorista e giudicò tinte di rigorismo le sue direttive ai catechisti.
Egli si esaminò seriamente, perché era sua abitudine non trascurare mai alcun appunto che gli venisse fatto.
Ma concluse che senza qualche rigore non si sfugge alla mediocrità e proseguì nella sua Via, proponendo la stessa conclusione ai catechisti ed esortandoli a non rimanere a metà nelle cose dello spirito.
« L'Unione » diceva loro « deve prendere dal presente secolo i caratteri di ardimento e di slancio ».
Questo ardimento e questo slancio, ritemprati ogni giorno in una orazione umile ed intensissima e fondato sopra una incrollabile fiducia nella paterna bontà di Dio non trovavano poi proprio tutte consenzienti le facoltà e le inclinazioni della sua natura, né tutte favorevoli le circostanze esteriori, ma egli seppe dominarsi tanto da far sembrare che la virtù gli fosse naturale.
Ma Dio solo sa che cosa dovette costare al suo temperamento sensibilissimo quella conformità perfetta, agli ordini dei superiori, quel distacco totale da sé in tutte le iniziative, quel tirarsi costantemente in disparte affinché si compisse fedelmente l'opera di Dio e mai apparisse la sua persona, quella fedeltà assoluta ai voleri di Dio, comunque manifestati, spesso in contraddizioni sconcertanti.
Di fronte alle difficoltà non perdeva mai la calma.
Un occhio esperto avrebbe potuto notare un lieve arrossarsi o impallidirsi del volto, una lieve flessione nella voce, un silenzio più prolungato, quasi trattenendo il respiro, mentre gli occhi si abbassavano repentinamente per un raccoglimento più intenso.
Erano le uniche rivelazioni dei colpi più rudi che riceveva, ma tutto aveva appena la vibrazione di una sfumatura e poteva anche passare inosservato.
Una imperturbabile serenità, una perpetua uguaglianza di carattere, un sorriso pronto per tutti, un'affabilità umile e sincera caratterizzavano il suo tratto esterno e rivelavano una virtù eccezionale.
Chi ha mai visto il Fr. Teodoreto alterato o spazientito o di cattivo umore?
Chi gli ha mai udito pronunciare una frase, una parola men che saggia, men che prudente, men che caritatevole?
Eppure non viveva in solitudine, ma in perpetuo commercio con la vita.
I suoi impegni erano molti, svariati, assorbenti, preoccupanti e davano un continuo assalto al suo ordine interiore.
In una adunanza del consiglio direttivo dell'Unione si era parlato della necessità di escludere dalle riunioni quegli elementi che non dimostravano di capirne Io spirito e il Fr. Teodoreto aveva fatto questa dichiarazione: « Non è il caso di giungere a delle espulsioni.
Diamo a tutta la vita dell'Unione un tono di fervorosa spiritualità e la zavorra si eliminerà da sé ».
Quel termine zavorra, così inconsueto sulla bocca del Fr. Teodoreto riferito ai suoi giovani fece sorridere qualcuno.
Egli se ne accorse e rimase interdetto, temendo di avere scandalizzato, e alla successiva adunanza domandò perdono a tutti di quell'espressione che gli era sfuggita.
Racconta un catechista che quando si presentò la prima volta all'Unione per partecipare a una giornata di ritiro non conosceva nessuno ed era un po' a disagio.
Tutti i catechisti stavano raccolti in silenzio, ma il Fr. Teodoreto si accorse subito dell'isolamento del nuovo venuto, lo avvicinò affabilmente e lo invitò a passeggiare con lui sul terrazzo della casa, interessandosi delle sue questioni personali.
Quel colloquio persuase il giovane di aver trovata la sua strada e decise della sua vocazione.
Da questi episodi appare il grande rispetto che il Fr. Teodoreto aveva per i suoi giovani, la profonda umiltà e la delicata carità con cui li avvicinava.
Egli era un educatore di grande prestigio e di rara efficacia, che non tollerava il minimo disordine.
Quando assumeva quel suo aspetto serio e grave anche i caratteri più forti si sentivano piccini piccini.
Tuttavia non li trattò da eterni minorenni e quando li vide formati lasciò che assumessero le loro responsabilità ed occupassero il loro posto nella società con piena autonomia.
Nell'Unione Catechisti si era riservato unicamente l'ufficio di Consigliere e lasciava al Presidente tutte le decisioni.
« Bisogna che egli cresca e che io diminuisca » andava dicendo.
Questa fede e questo distacco, proprie di un santo, sono anche il segreto della fecondità e la condizione indispensabile di ogni opera educativa.
C. T.
La consegna delle Regole ( Sabato Santo, 16 aprile 1949, Villa Nicolas Inferiore, Torino )
al centro, seduto, il Fratel Teodoreto.