Nostri lutti |
B156-A8
Don Giuseppe Gianella, zelatore e benefattore, morto a Torino il 25 Febbraio 1961.
Ferrero Caterina, zelatrice e benefattrice, morta a Torino il 9 Febbraio 1961.
Fiorio pierina Ved. Gurgo Salice, zelatrice, morta a Torino il 18 Marzo 1961.
Li segnaliamo alle preghiere di suffragio dei nostri lettori.
Sabato 6 maggio scorso alle 17,30 la scolaresca della Casa di Carità era schierata davanti alla Scuola in mesta attesa, pregando sommessamente.
Un mesto corteo di macchine e autobus, facenti scorta ad un furgone mortuario si arrestò sul piazzale.
Il Parroco di N.S. della Salute impartì l'assoluzione alla salma del catechista Dr. Cario Demaria e la Scuola porse l'estremo saluto a chi vi aveva speso per tanti anni i tesori del suo cuore e della sua intelligenza.
Da oltre un anno il Dr. Demaria aveva lasciato l'insegnamento; un male inesorabile, il martirio dell'età moderna, lo aveva colpito, spezzando la sua attività e la sua fibra con spasimi indicibili.
I più giovani non l'avevano mai visto e si chiedevano: chi è il Dr. Demaria?
Certo, non era uno che amasse farsi notare: comportamento semplice, modesto amava rimanere nascosto nel suo lavoro professionale e nel suo apostolato, intenso, ma senza strepito.
Dalla famiglia aveva ereditato una profonda fede religiosa.
Si ricordano ancora, le sue espressioni di viva ammirazione per la pietà materna e per la figura della sorella, che consumò la vita nella sofferenza, in uno spirito intensamente religioso.
Le necessità familiari lo obbligarono a interrompere le scuole dopo le classi medie inferiori e ad impiegarsi, ancor molto giovane, presso un agente di cambio.
Perciò dovette compire i suoi studi di Ragioneria e quelli universitari durante le ore libere dal lavoro, indurandosi fin da ragazzo ad orari pesantissimi, che in tutta la sua vita non si alleviarono mai e costituirono un grave, perenne sacrificio.
Lavoro di impiego con orari interminabili, studi, pratiche di pietà, impegni di apostolato si disputavano il suo tempo e le sue energie, fino all'ultimo brandello.
Eppure egli arrivava a tutto e non si lamentava mai, anzi arrivò dove pochi sanno giungere, fino a tutelare il suo apostolato alla Casa di Carità con l'abilitazione all'insegnamento e l'iscrizione all'albo degli insegnanti e fino ad affermare la sua posizione professionale di dirigente con la iscrizione all'albo dei Revisori dei Conti.
Fin dai suoi primi impieghi dimostrò rare attitudini al lavoro bancario e si formò una competenza specializzata, in lunghi anni di lavoro.
Segnalato alla STET e da questa assunto quale Capo Ufficio Azioni si prodigò nella nuova funzione, riscuotendo la stima e l'affetto sincero che l'avevano sempre accompagnato in tutti i suoi impieghi.
In tutta la vita lo guidò un vivo spirito di fede, che gli faceva affrontare con tanto impegno il suo dovere professionale e nello stesso tempo con tanto distacco; e inoltre una viva ed operante carità, che lo induceva a mettere tutto sé stesso e tutte le sue cose a disposizione degli altri, con un tratto delicato e generoso, che lo faceva amare da tutti.
Largheggiava in modo veramente liberale, dando in beneficenza gran parte delle sue retribuzioni.
L'incontro con la Casa di Carità, alle Sue prime timide esperienze presso la Parrocchia di N.S. della Pace, negli anni dal 1925 al 1929, gli dischiuse nuovi orizzonti di dedizione e di vita interiore, attraverso la vocazione catechistica, inserendolo nello stato di perfezione e nell'apostolato della scuola.
Compì regolarmente il suo noviziato nel 1930 ed emise i primi voti nel 1932 a Chieri.
Nel 1949 eretto ormai l'Istituto Secolare dei Catechisti, fece i voti perpetui a Castelvecchio, nelle mani del Card. Fossati, venuto a ricevere il primo gruppo di professioni perpetue dell'Unione Catechisti.
Da allora si oriente decisamente verso la completa offerta di sé a Dio, in una autentica vita di consacrazione, attraverso la sua attività professionale e l'apostolato catechistico, intimamente persuaso degli ideali dell'Unione.
Convinto dell'importanza dell'apostolato dei laici, tutto il suo tempo libero era dedicato ad esso.
Fu economo Generale dell'Istituto, Catechista presso la Parrocchia, assistente alla Messa del Povero, ma soprattutto insegnante presso la Casa di Carità Arti e Mestieri.
Fin dalle prime lezioni il catechista, Demaria si affermò per un insegnamento piano, facile, si direbbe affettuoso, di cui gli allievi, in maggioranza anziani, erano entusiasti.
Egli vedeva nei suoi allievi la realizzazione delle promesse fatte da Gesù Crocifisso a Fra Leopoldo, ed era santamente orgoglioso di cooperare all'educazione degli operai con la sua attività ed il suo sacrificio.
Oltre trent'anni è durato il suo insegnamento in mezzo ai giovani della Casa di Carità, sempre disinteressato, non solo senza mai percepire un centesimo di ricompensa, ma dando ancora generosamente del suo, dopo di aver dedicato tutte le sue cure.
Ultimo gesto di liberalità fu il suo testamento, con cui legò alla Casa di Carità tutto il suo patrimonio.
Lezioni, ripetizioni, conversazioni con gli allievi gli davano modo di compiere un'azione formativa veramente a fondo sui giovani, per le sue doti paterne, la sua cultura e gli studi fatti.
Si ricordano ancora i suoi accorati appelli per una vita di onestà e di grazia, per la frequenza ai Sacramenti e per la divozione a Gesù Crocifisso ed alla Madonna.
Presso la Messa del Povero svolse la sua missione di catechista con intelligenza ed amore, prodigandosi in una attività assistenziale multiforme, non disgiunta, mai dallo spirito cristiano proprio di un amico e di un fratello, trovando sempre per ogni assistito una parola adatta, un aiuto materiale e morale, un ricordo nelle preghiere.
Durante la sua malattia parecchi poveri si recavano all'Ospedale per chiedere notizie alla Suora od alla infermiera, e pregavano per ottenere una miracolosa guarigione.
Il P. Agostino Gandolfo S.J. che fu in relazione con lui come cappellano della STET e che lo assistè con grande cura durante il lungo anno di malattia, visitandolo spesso presso i vari ospedali in cui fu ricoverato scrive di lui quanto segue: « Due virtù, in modo particolare, ho ammirato nel Dottor Carlo Demaria: la carità e la sofferenza cristiana.
La sua sensibilità naturale venne perfezionata dall'educazione cristiana e dalla illuminata devozione al Crocifisso.
Egli desiderava vivamente di tare del bene e anzitutto un bene spirituale alle anime.
Ricordo con quanto impegno si dedicava perché la Pasqua alla Stet portasse abbondanti frutti spirituali e anche quest'anno, ormai immobile alle Molinette, mi domandava con premura come era riuscita.
Non sposatosi, considerava la Casa di Carità Arti e Mestieri come la sua famiglia, a cui dedicava il tempo e le, forze che gli rimanevano fuori degli obblighi d'ufficio, della carità aveva un concetto giusto, perché pagava col sacrificio personale.
Nell'ultimo anno della sua vita fu duramente provato nella salute e fu nel dolore che egli rivelò la profondità e la solidità delle sue virtù.
Il dolore non improvvisa le virtù, ma rivela il progresso spirituale ottenuto attraverso le forti convinzioni e il lungo paziente esercizio.
Egli seppe soffrire cristianamente.
Sentì il dolore, ma lo accettò con spirito di fede e con rassegnazione alla volontà di Dio.
Come Gesù nell'orto degli ulivi, diceva: « Padre, se è possibile, passi da me questo calice; però non la mia, ma la Tua volontà sia fatta ».
Più di una volta ho pensato che il Dottor Carlo Demaria, ebbe dal Signore la grazia di poter soffrire, quasi a coronamento delle virtù praticate in vita e di sacrifici noti soltanto a Dio.
Non c'è dimostrazione più sicura di vera virtù né sorgente più ricca di meriti che accettare cristianamente la sofferenza.
Passano i dolori, come passa la vita; ma i meriti acquisiti e la gloria che si dà a Dio rimangono in eterno.
Durante la permanenza all'Istituto Santa Corona di Pietra Ligure, mi scrisse varie volte e le sue lettere erano sempre pervase da intenso spirito religioso.
In data, 3-9-60 mi diceva: « Penso quanto saremo riconoscenti alla nostra umanità che fu compagna fedele della nostra anima e sua degna abitazione.
Il ricordo di tutto ciò che ha sofferto e meritato sarà una bella consolazione al termine della, nostra carriera mortale ».
In data 6-8-60: « Mi sento molto più animato a soffrire quel tanto che il Divin Padre vorrà, con la sicurezza, che alla fine tutto ridonderà alla maggior gloria di Dio ».
E in data 24-8-60: « Questi frequenti interventi ( … ) mi sembrano tante pugnalate nella schiena.
E fino a quando? Lo sa il Signore! Si direbbe che Egli mi rinnovi sempre l'acqua e il sangue perché lo possa versare in unione col sangue e l'acqua sgorgati dal Divino Crocifisso e cosi unito lo possa offrire al Divin Padre per gli stessi tini per i quali N.S. Gesù si immola continuamente sugli Altari ».
Sapendo che anch'io avevo sofferto nella salute, mi scrisse queste belle parole: « La sua salute è tanto preziosa e le batoste a cui fu ed è sottoposta è l'elemento che darà grande fecondità alla Sua attività apostolica ed evangelica.
Lei è veramente il Gesù totale: Gesù che evangelizza, Gesù che soffre e Gesù che salva le anime ». ( 3-IX-60 ).
Nelle molte visite che gli ho fatte durante la sua lunga degenza negli ospedali, desiderava spesso confessarsi, volendo ottenere una sempre maggior purezza d'animo e fervore.
Si comunicava ogni mattina e trasfondeva in altri la sete di Dio.
Uno dei suoi compagni di camera, dopo molti anni si confessò e si comunicò e lasciando l'ospedale benediceva quella malattia che gli aveva fatto ritrovare il Signore attraverso l'esempio e la parola del Dott. Carlo Demària.
A Santa Corona si fece subito notare come un'anima chiaramente superiore, e da tutti era circondato da rispetto e da stima.
Quanta edificazione mi diede vederlo ,laggiù, a mensa in un angolo del tavolo e insieme a persone di condizione sociale e intellettuale tanto inferiore a lui!
Pensavo che il Dott. Demaria aveva veramente imparato le grandi lezioni che Gesù ci dà dalla Croce.
La sua morte fu un tramonto sereno, luminoso, invidiabile, anche se fino all'ultimo istante tu straziato dal dolore.
Ebbi l'ultimo colloquio con lui la vigilia della sua morte.
« Padre, mi parli del Paradiso. Come si fa a descrivere il Paradiso? ».
Gli domandavo: « Desidera, dottore, andare in Paradiso? ».
E la risposta era senza esitazione: « Oh, sì ; lo desidero tanto! Desidero solo andare in Paradiso e vedere la Madonna.
Niente di più bello che vedere la Madonna in Paradiso ».
Parlava lentamente, con fatica.
Gli occhi erano semiaperti.
Mi dava l'impressione che avesse già un piedi sulla soglia del Paradiso e che attendesse che la mano della Madonna gli aprisse la porta.
Furono le ultime e le sole parole del Dottor Carlo Demaria.
Quando penso a lui, lo vedo così ».