La famiglia « Chiesa domestica » |
B188-A2
Per definire la Famiglia cristiana alla luce della fede, si potrebbero utilizzare i testi biblici del Genesi, del Vangelo, delle Epistole, particolarmente di S. Paolo.
Preferisco servirmi di un testo dell'ultimo Concilio; per la precisione, della ultima parte del paragrafo 11 della Costituzione Lumen Gentium.
Sembra abbastanza completo.
Eccolo nello stile piuttosto pesante che caratterizza i documenti di questo genere: « I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa, si aiutano a vicenda, per raggiungere la santità nella vita coniugale, e nell'accettazione ed educazione della prole, ed hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio.
Da questo connubio, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali, per la grazia dello Spirito Santo, diventano col Battesimo, figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo Popolo.
In questa che si potrebbe chiamare « chiesa domestica », i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale ».
I coniugi cristiani sono dunque due figli di Dio uniti nella grazia, da un sacramento.
Il loro amore assomiglia a quello di Cristo e della Chiesa.
Strumenti della potenza creatrice di Dio, essi chiamano alla vita i membri del Popolo di Dio.
Sono chiamati alla santità, e con i bambini - di cui sono i primi educatori - essi formano, e questo è la perla del testo sopra citato, una « chiesa domestica ».
La Famiglia, chiesa domestica!
E così è già messa in evidenza la grande dignità personale dei genitori.
Fin qui - penso - tutti d'accordo.
La seconda parte del primo punto da trattare - differenziazione dei ruoli nella Famiglia - è, al contrario, un terreno vivacemente combattuto oggigiorno.
È normale.
La Famiglia, istituzione fondamentale di un mondo in subbuglio, partecipa necessariamente alla corrida di idee, di sogni, di esperienze di questo mondo.
Tutti conosciamo il testo di San Paolo: « Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l'uomo è capo della donna come anche Cristo e capo della Chiesa …
E voi, mariti, amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei … » ( Ef 5,22 ).
Oggi. questo testo è fortemente contestato.
Forse perché lo si legge frettolosamente e accecati dalla passione per la libertà così cara ai nostri contemporanei.
« Come … come … come Cristo … ».
Certo Gesù è il Maestro e il Signore.
Si è fatto « servitore »; si è sacrificato sulla Croce.
Come Cristo …
Citerò due documenti soltanto, il primo, del 1966, è apparso sulla « Vita Spirituale », rivista dei Domenicani francesi, in seguito ad una inchiesta.
È un testo assai polemico di una scienziato convertito.
Ecco la parte che ci interessa: « Non si proclama abbastanza l'uguaglianza fondamentale dei due sposi.
Sono letteralmente ossessionato di sentire dappertutto nella chiesa che l'uomo è il capo della famiglia - che la sua moglie è il suo aiuto - che l'uomo rappresenta il modello assoluto, e la donna una immagine di questo modello - che la donna si definisce in rapporto all'uomo e ai figli, e non l'inverso ».
Ho l'impressione che non si prenda la donna abbastanza sul serio; viene trattata paternalisticamente come un grande fanciullo.
Questo proviene:
- dalla vecchia misoginia ebrea;
- da una cattiva interpretazione di S. Paolo ( non si distingue sufficientemente l'apporto assoluto e universale dell'Apostolo dei Gentili, dagli elementi condizionati dalla realtà della sua epoca );
- dal fatto che il clero, che decide tutto in materia, non comprende la donna.
La donna è - allo stesso titolo dell'uomo - un essere umano libero, cosciente, responsabile, adulto, autonomo ( nel senso della filosofia classica ).
Non deve dunque venire determinata per mezzo del suo marito, dei suoi figli, della sua professione.
Non deve venire determinata - a priori - per mezzo del suo sesso.
La donna non è una « funzione » ( sposa, madre ), ma è prima di tutto una persona … che poi è sposa e madre.
Il secondo documento - più pacato - viene dal Canada, dal Congresso Internazionale per la « Psicoterapia dei conflitti coniugali » ( 1966 ).
Anche qui non rapporterò che la prima parte del documento, quella che riguarda direttamente il nostro problema: « Un caso frequente di difficoltà coniugali è quello della donna maritata presso la quale il ruolo di sposa e di madre soffoca l'essere personale.
Il primo atto del dramma è quello della sposa.
Un matrimonio che non riempie le attese sul piano interpersonale, che frustra una legittima attesa, porta la donna ad identificarsi - ed a sentirsi identificata - ad una "utilità".
Sono "legioni" ( sic ) gli uomini per cui la persona della donna è inesistente; essi non conoscono che la sposa = possesso e la madre dei loro figli.
Una spiritualità equivoca, una interpretazione tendenziosa del testo di S. Paolo, sulla pretesa autorità del marito sulla sposa, non sono estranei ad una certa mentalità, ove si rende "regale" la situazione del maschio.
Vi sono dei libri, e non sono pochi, e nemmeno spesso i meno importanti, che presentano la sposa come "la ricompensa dell'uomo", dopo il duro lavoro del giorno.
Di qui a dire che la donna è nata solo per il piacere dell'uomo, non c'è che un passo.
Sorge qui tutta una drammatica lotta psichica.
Inconsciamente la donna si sente invitata a giocare regressivamente un ruolo … di oggetto posseduto.
Se essa resiste e non cede a questa regressione … i conflitti coniugali sono inevitabili … ».
Giunti qui, ci si può chiedere come allora interpretare oggi il testo di S. Paolo, e creare una autentica spiritualità del matrimonio, che rispetti lo sboccio delle persone dei due sposi?
Parecchie coppie anziane hanno saputo egregiamente superare il conflitto di autorità.
Nel 1971, una di queste coppie scriveva: « Da noi, apparentemente, è la donna che fa andare avanti, materialmente, il focolare.
Invece, condividiamo assai le preoccupazioni dei bambini: salute, educazione, studi, e i lavori della casa: fare gli acquisti, lavare i piatti, cucinare.
Con vent'anni di anticipo, prefiguriamo forse la coppia di domani per cui ci avranno sempre meno dei compiti specifici di marito e moglie ».
Per molti giovani, la questione di autorità nel matrimonio non è già più che una battaglia di retroguardia.
Nel resoconto della Settimana Sociale di Metz, in Francia, nello scorso luglio ( 1972 ), si può leggere: « Il fatto, per le ragazze, di fare gli stessi studi dei ragazzi e di conoscere la vita professionale almeno prima del loro matrimonio, cambia le relazioni tra marito e moglie.
Finito con l'uomo che sa tutto e comanda.
Durante la Settimana Sociale ho sentito delle giovani coppie esprimere la loro stizza di fronte a delle affermazioni di questo genere; "Stiamo andando verso l'uguaglianza!"
Loro dicevano: "È già fatto! Le vostre rivendicazioni non ci riguardano più" » ( A. Séve ).
Un breve studio del Prof. Sahuc - specialista in materia - concluderà questo discusso argomento dell'autorità nella Famiglia.
« L'uomo e la donna hanno delle nature che esigono delle condizioni particolari per realizzarsi pienamente.
L'uno e l'altra hanno lo stesso diritto al rispetto dovuto alla loro biologia singolare.
A questo livello essi sono uguali.
Ma questa uguaglianza diverge in due orientazioni definite: la maschile e la femminile.
La giustizia - che è il rispetto dei diritti di ciascuno, comporta per l'uomo il diritto di essere uomo, e per la donna il diritto di essere donna.
L'uomo è sempre disposto a mostrarsi delicato verso una donna che presenta una profonda femminilità.
Si prodiga - con dignità - per mettere a disposizione di un valore umano, la sua forza maschile, per scartare da questa natura delicata tutto ciò che potrebbe esaurirla, brutalizzarla, ferirla.
La sua cortesia non è una concessione alla debolezza, ma un omaggio alla delicatezza femminile.
Dal canto suo la donna è, essa stessa, incline a rispettare l'uomo che possiede un valore virile.
Cede il passo per lasciarlo esercitare la sua forza maschile senza ostacolarlo nella sua espressione.
Non si tratta di un timore di fronte ad una brutalità, ma di un omaggio reso ad una potenza d'uomo.
Tramite questo mutuo rispetto, l'uomo e la donna cedono a turno il passo, dando all'altro il posto che gli è dovuto.
Questo significa riconoscere due valori distinti che sono tutta la ricchezza della natura umana.
Si tratta - insomma - di una reciproca preminenza di amore ».
San Paolo, trovandosi in mezzo a noi in questo momento, si esprimerebbe forse così: « Il marito è il primo responsabile della Famiglia davanti al Signore.
Cosciente della difficoltà della sua missione, egli fa costante appello allo spirito di collaborazione e d'iniziativa della sua sposa, per promuovere il bene comune della Famiglia ».
Ed eccoci arrivati all'ultimo punto: la catechesi familiare.
Il Concilio Vaticano II ha parlato molto chiaramente: « I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole.
Vanno pertanto considerati come i primi principali educatori di essa » ( G. E., 3 ).
« I genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede » ( L. G., 11 ).
« Soprattutto nella famiglia cristiana … i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo secondo la fede che hanno ricevuto nel battesimo; lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nel consorzio civile e nel popolo di Dio » ( G. E., 3 ).
Se adesso mi si chiede un « piano di azione » per questa catechesi, allora meglio dire subito che l'ampiezza del problema mi blocca.
C'è da tenere conto: Del « clima » della famiglia, dell'età dei bambini, del temperamento e del carattere del bambino, dell'ambiente in cui vive il bambino fuori casa, dell'evoluzione del sentimento religioso, dei diversi piani che comporta questa educazione: psicologico, affettivo, emozionale, mentale, sessuale, sociale, ecc.
Tutt'al più posso tentare di dare due suggerimenti:
Per i piccolissimi: « Non è sufficiente limitarsi al piano esplicito delle formule da trasmettere, dei gesti da imporre.
Questo è indispensabile.
Occorre però che il "clima" familiare sia in armonia con il progetto educativo.
Occorre cioè che il comportamento dei genitori suggerisca al bambino un'idea corretta di Dio.
Di un Dio, che si dà, e non di un Dio tirannico o bonario.
È tramite i suoi genitori che il piccolo bambino si fa un'idea di Dio … » ( Oraison-Holstein ).
Per i bambini:
- Non basta dire quel che bisogna fare.
Occorre dire come bisogna farlo.
L'insegnamento migliore è sempre l'esempio.
- Non è mai troppo presto per educare il bambino ( 4-6 anni ) al giudizio, alla libertà, alla responsabilità.
Non c'è sano uso della libertà senza giudizio.
Non sarà mai troppo presto per dire al fanciullo, la cui coscienza comincia a destarsi: "Hai fatto bene?", "È male?",, "Che ne pensi?" - E non l'inverso come spesso facciamo e cioè: "Hai fatto male! sei in errore!".
Più ci sostituiamo al giudizio del fanciullo, più contribuiamo all'atrofia di questa facoltà.
- Non mai separare la formazione religiosa dalla formazione umana in tutti i suoi settori.
La fede è una maniera di considerare la vita e di darle un senso: quello di Dio.
Non c'è nessun bambino normale che non voglia diventare come il padre o la madre.
Non c'è nessun bambino normale che non chieda ai genitori di potersi associare alla loro preghiera, se è stato lasciato libero di farlo o no.
L'unico mezzo per insegnare ai bambini a pregare sta nel fatto che i genitori preghino, e che preghino non per « dare buon esempio » ma per convinzione.
Se gli educatori vogliono evitare che il fanciullo divenga alla fine veramente critico nei loro confronti, e colpisca nella sua critica l'autorità come tale, devono adoprarsi per tempo perché in lui giunga a maturità la dote del « giudizio », della vera critica piena d'amore.
Non per nulla Dio ha donato al fanciullo una così forte tendenza a porre domande.
Il fanciullo pone domande dapprima in modo superficiale, poi scavando sempre più profondamente verso il perché.
Se i genitori rispondono malamente: « Questo non ti riguarda! Ti deve bastare che lo dica papa », il fanciullo diventerà poco a poco critico nei confronti del padre e della madre, sentendo la diffidenza: « Perché non me lo dicono?
Forse non lo sanno neanche loro, oppure non pensano bene di me ».
Qui nascono le disposizioni di una critica pericolosa, o forse perfino di una futura morbosa mania della critica.
Se invece i genitori danno una spiegazione piena di amore e corrispondente alla capacità di comprensione del fanciullo e lo incitano ad andare a fondo delle questioni, se pur il fanciullo, non comprenderà subito tutto del valore fondamentale di ogni cosa, si approfondirà in lui la fiducia che sostiene moralmente la sua ubbidienza: « Deve pur essere così, come dicono papa e mamma. Loro lo sanno ».
La fiducia si illuminerà e avrà fondamenti più saldi, nella misura in cui sarà curata la capacità di « giudizio ».
Non si cambierà in critica negativa nel momento in cui il fanciullo scoprirà che la saggezza e la perfezione morale dei genitori hanno limiti possibili ». ( Haring )
La parrocchia è la « somma » di tutti i cristiani che la formano.
Essa non può dare - come aiuto - che ciò che i suoi membri posseggono.
Se la parrocchia conta degli uomini e delle donne di alto valore umano ( non si parla di « scienza » ), capaci di trasmettere questo valore e pronti a farlo, allora tutta la parrocchia ne sarà arricchita, soprattutto i giovani.
Ma quanti sono gli operai formati e disponibili?
I nostri sacerdoti - per zelanti che siano - sono pochi e oberati di lavoro.
Dobbiamo chiedere a Dio delle vocazioni - ma anche esaminare ciò che potremmo fare noi stessi, per il bene comune, soprattutto per i giovani ( ragazzi, fidanzati, giovani sposi ).
Prima di dialogare, bisogna imparare a farlo.
Tutti, oggigiorno, parlano di dialogo, ma spesso nessuno ascolta il vicino.
Per molti il dialogo significa monologo.
Un vero dialogo ha luogo quando due anime s'incontrano, presentano il loro punto di vista, ascoltando quello dell'altro, cercano assieme un accordo, per la verità, non « per aver ragione ».
La polemica è « un tono » sbagliato già in partenza, è un fallimento nel fine.
Dalla polemica non si ricava nulla:
- ne per la verità ( la si nasconde, non la si cerca );
- ne per l'altro ( che rimane offeso );
- ne per sé ( si rimane chiuso nei propri pensieri ).
Nessuno possiede la verità.
Ciascuno ne ha una scintilla.
Se le mettiamo in comune, ci avviciniamo alla Verità piena: Gesù Cristo.
Quando non c'è affiatamento … « sedersi »!
Molti matrimoni sono in crisi per la mancanza di dialogo tra i coniugi.
Esiste un « mezzo » per sormontare questa difficoltà: il « dovere di sedersi » ( Foyers Notre-Dame ).
È difficile trovare in italiano una espressione che renda pienamente il concetto che è questo: marito e moglie - una volta al mese - devono trovare una serata tutta per loro, per sedersi l'uno accanto all'altro e parlarsi; per fare il bilancio della loro vita familiare.
Questo dialogo da risultati strepitosi.
E i figli? Si trova una famiglia di fiducia, che accetti di tenerli per la serata.
Non c'è bisogno di prediche.
La fede è come un profumo che sottilmente inonda tutto, illumina tutto di una luce nuova.
Per parlare di Dio non è necessario usare termini teologici; lo stesso vocabolo « Dio » è spesso inutile.
Alcuni parlano semplicemente di bambini, casa e giardino, tavola e letto, e il loro discorrere è pieno di fede, di speranza, di ringraziamento e di invocazione.
Altri invece scodellano alta teologia, ma non ne resta che vuoto e spesso anche irritazione.
Non è il « che cosa » - ma il « come », che realizza la « comunicazione »
« Ciò che tu sei rimbomba così forte che non si sente più ciò che tu dici » ( Emerson )
Il grande principio: agire in maniera tale da conservare sempre la fiducia del figlio.
Dunque non « indagare », « spiare », « perquisire ».
Meglio vedere tutto in piena luce … e far affidamento.
Quando si vede qualcosa, quando il figlio parla di qualcosa - anche se urtante - rallegrarci della buona occasione, non di « fare la predica », ma di discutere amichevolmente.
Di fargli capire che un solo film visto prima dell'età, può avvelenare tutta la vita … che un solo libro letto senza maturità sufficiente può bastare per incrinare la fede o rovinarla.
Dio ci chiede di seminare, con amore, nel modo che ci sembra migliore.
Sopravviene l'inverno, il freddo, il gelo … Tutto sembra morto. Ma non è vero.
Viene la primavera. La neve si scioglie, la terra si riscalda.
I nuovi germogli appaiono … Così per i figli, se si è seminato con amore al tempo giusto.
Dall'ultima lettera della mamma di un figliolo prodigo moderno ( 30 anni ): « Credo che Waltr cominci a riflettere.
È lui che mi chiede di andare a visitarli. Non rifiuto. Ho perdonato. Ma non dimentico la sofferenza … ».
Fr. Loseph