Il quinto centenario della nascita di S. Tommaso More |
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Tra le varie ricorrenze che si celebrano quest'anno ce n'è una che in Italia, dove tutta l'attenzione è concentrata ( giustamente ) sulla S. Sindone, non sarà forse neanche notata, ed a cui, tuttavia ci sembra di dover dedicare qualche pensiero; vogliamo dire il quinto centenario della nascita di S. Tommaso More, avvenuta a Londra il 7 febbraio 1478.
A parte il fatto che ogni Santo è gloria di tutta la Chiesa ed è un modello proposto a tutti, l'interesse per S. Tommaso More è dovuto a varie circostanze che ce lo fanno sentire particolarmente vicino.
Anzitutto egli è un santo laico e secolare, cioè appartiene alla schiera dell'immensa maggioranza dei semplici cristiani, che attendono ai compiti di questo mondo osservando i dieci comandamenti.
I santi che si onorano sugli altari sono per lo più Vescovi, o preti e frati: basta scorrere le pagine di un qualsiasi calendario.
Ed è naturale che coloro i quali hanno rinunciato a tutto per seguire il Signore siano arrivati più in alto e in maggior numero alla perfezione.
Ma che arrivino all'eroismo delle virtù coloro che sono immersi fino al collo nei mestieri e nelle professioni civili, negli impegni familiari, sociali, culturali e politici, che non si sono mai sognati di fare dei voti o di dedicarsi alle missioni, è cosa che colpisce di più ed è anche un esempio più efficace e necessario, un'apologià più convincente.
La grazia di Dio non è impedita da alcuna situazione umana, e in qualunque condizione umana si può amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutto se stesso.
Tommaso More, padre di famiglia, avvocato, letterato, umanista insigne, elevato al più alto grado sociale dopo quello del Re, eccelleva per impegno, ma ancor più per una profonda fede, che illuminava il suo essere ed animava ogni atto, e per una gentilezza che rendeva amabile la sua virtù eccezionale.
Anche S. Francesco di Sales raccomandava l'amabilità nel compiere il bene; ed è inutile insistere sull'importanza di questa raccomandazione.
S. Tommaso More era un insigne umanista, in relazione con tutti gli intellettuali dell'epoca, fra cui Erasmo di Rotterdam.
« Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, - scriveva S. Paolo ai Filippesi, - tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri ».
S. Tommaso More si collocava in questa ampiezza di visione, lontana da qualsiasi angustia, mettendo in luce tutti i valori naturali, che sono tutti in origine nella creazione e risolvendo per la civiltà a cui apparteneva l'eterno problema della Chiesa di esprimere il messaggio evangelico secondo la mentalità di ciascun popolo.
La cultura, l'arte, le relazioni sociali, la finezza del tratto, l'arguzia finissimo erano l'ambiente in cui egli collocava i valori trascendenti dello spirito.
Quale richiamo per la nostra società così grossolana e maleducata, infarinata di tante nozioni e di tecnicismo, ma superficiale e vuota di sapienza.
La cultura di S. Tommaso More era amplissima, ma soprattutto era profonda la sua competenza professionale, in tutti i campi della sua attività, e ciò sia per l'attrattiva del sapere, sia per esigenze di onestà.
Ma ciò che l'ha messo particolarmente in luce e ha determinato la sua sorte fu la sua coerenza morale assoluta ed eroica, la sua rettitudine che, illuminata da un'intelligenza acuta, scorgeva fino in fondo le esigenze del dovere e non tollerava cedimenti e compromessi.
Fu proprio questa coerenza che gli costò la vita.
Ed era fatale: un'anima così nobile non poteva evitare il conflitto con un Re grossolano e corrotto quanto si può dire, qual era Arrigo VIII.
Non che il More abbia detto qualche cosa contro il Re; anzi, la sua condotta fu prudentissima e si ammantò di silenzio.
Ma il silenzio di More non bastava al Re.
Questi voleva un'esplicita approvazione del suo divorzio e una adesione alla sua polemica contro il Papa.
Un uomo politico dalla coscienza un tantino più elastica avrebbe trovato mille ragioni e maniere di accomodamento con le pretese del Re, tanto più che sapeva benissimo quello che l'attendeva.
Era una di quelle situazioni in cui la fedeltà si deve pagare con la vita.
E Tommaso More, il gran Cancelliere d'Inghilterra non esitò a sacrificare tutto: la sua testa cadde sotto la mannaia.
Salì il patibolo con grande dignità e l'ultimo gesto fu un atto di umorismo tipicamente inglese: « Lasciami spostare la barba » disse al carnefice.
« Essa non è rea di tradimento ».
Aveva 57 anni ed era noto in tutto il mondo più per il suo valore personale che per la sua carica politica di primo ministro.
Paolo VI lo definì « martire della libertà dovuta all'imperativo della propria coscienza cristiana ».