L'umiltà di Fratel Teodoreto

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La santità per essere autentica deve anzitutto essere completa, e cioè esercitarsi in tutto il campo della morale e nella pratica, almeno potenziale, ossia per quanto lo consentono le circostanze, di tutte le virtù.

Una grave lacuna in qualsiasi settore la comprometterebbe decisamente, come una sola mancanza grave contro qualunque comandamento produrrebbe nell'anima quella spaventosa condizione che viene indicata con il termine di morte spirituale.

In secondo luogo dev'essere stabile, e cioè un possesso abituale e duraturo, non certo pacifico e privo di lotta, ma normalmente vittorioso: vìvere in stato di grazia è la prima e fondamentale esigenza, condizione normale di amicizia con Dio, non passeggera o comunque non troppo spesso turbata.

Non si dice sano un individuo che troppo spesso cade malato.

Ma questo è unicamente frutto di lotta.

La vita dell'uomo su questa terra è una milizia, ci avverte la S. Scrittura.

E con quale insistenza l'Apocalisse ripete le sue promesse in forma di premio al vincitore: il Paradiso non è fatto per i vinti.

Gli eterni indecisi non concluderanno mai nulla, mentre chi è risoluto sperimenterà quanto diceva il Fr. Teodoreto ai catechisti, che la virtù è tanto più facile quanto più viene pratica con fervore e diligenza.

Tutto questo non impedisce che nella vita spirituale vi siano dei periodi dì maggiore e di minore diligenza e fervore, né che vi siano dei settori in cui si riesce a raggiungere maggior perfezione, anche in dipendenza delle circostanze in cui la Provvidenza di Dio pone i suoi servi: sono appunto queste che imprimono le caratteristiche a ciascuno di loro.

Se ci domandiamo quali furono le virtù caratteristiche del Fr. Teodoreto possiamo rispondere subito che una di esse fu certamente l'umiltà, tanto questa era evidente in tutte le sue manifestazioni e tanto era l'insistenza con cui vi ritornava nei suoi insegnamenti.

Si dirà che questa è la base dell'edificio spirituale e che tutti i santi furono umili.

É vero, ma ciò non toglie che la virtù possa essere praticata con particolare accentuazione e in maniera diversa.

Anche il Papa deve praticare l'umiltà, ma le sue manifestazioni saranno differenti da quelle di una suora, di un padre di famiglia, di un ragazzo, ecc.

L'umiltà è una virtù molto difficile, non solo perché impone il rinnegamento più costoso, che è quello dell'amar proprio, ma anche perché deve affrontare un nemico scaltro e sleale, che sa camuffarsi e insinuarsi e facilmente irretisce; un nemico che non è mai debellato definitivamente e rinasce dalle sue ceneri.

Non dice S. Francesco di Sales che l'amor proprio morirà un quarto d'ora dopo di noi?

Un nemico che è perfino capace di giovarsi degli atti virtuosi a lui contrari con la perfida insinuazione di una lode.

Non si tratta mai di contraddire la verità, perché la verità è premessa di qualsiasi virtù, ma anzi di affermarla compiutamente, e in questa prospettiva l'umiltà venne definita « la verità applicata a se stessi con rigore e fino alle ultime conseguenze », ma di possedere un'intima consapevolezza della condizione creaturale e di natura decaduta che non esclude la fiducia nel Redentore.

Formato alla scuola francese ( fin troppo francese ), Fr. Teodoreto conosceva certamente quella professione di umiltà che propone S. Giovanni Eudes: « Nihil sum, nihil habeo, nihil possum, nihil valeo, servus inutilis sum, natura filii irae, novissimo virorum et primi peccatorum … ».

A questo basso concetto di sé, unito a un grande riguardo verso gli altri, che gli faceva cedere il passo e lo rendeva premuroso verso tutti, egli ispirò sempre la sua condotta.

La finezza del tratto, caratteristica del mondo lasalliano ( per lo meno com'era ai suoi tempi ) non era soltanto "forma" per lui, ma rispondeva ad un intimo sentire, radicato nell'umiltà e nella carità.

Nessuno lo sorprese mai a scattare davanti ad una improvvisa contrarietà.

Diventava pallido, oppure arrossiva, abbassava gli occhi e taceva, ma era evidente lo sforzo per dominarsi, anche davanti ad un interlocutore piuttosto scarpone ( quanti ne incontrò! ) oppure ad una grave contrarietà.

Depositario di un messaggio, e portatore di un progetto la cui importanza e certezza gli si facevano sempre più evidenti, egli non assunse mai l'aria del profeta e tanto meno atteggiamenti di contestatore di fronte alla sordità dell'ambiente.

Parlò con rispetto e con libertà a tutti i suoi superiori, compresi i superiori generali, dai quali era ascoltato con interesse e stimato, anche per la fama di santità di cui godeva, ma non riuscì a smuovere nessuno, nemmeno quando sorsero delle opere, come la Casa di Carità.

Allora egli si chiuse nel silenzio, lasciando parlare appunto le opere, o come egli diceva, la Provvidenza di Dio, a cui attribuiva tutto.

Un atteggiamento di totale distacco Fr. Teodoreto lo assunse proprio nei rapporti dell'opera di cui era fondatore e cioè con i suoi catechisti, ai quali diede una organizzazione autonoma e lasciò piena libertà e responsabilità, persino nella determinazione delle Regole che sottopose alla discussione del Consiglio generale dei Catechisti, punto per punto.

E non è detto che i catechisti fossero sempre del suo parere.

Ad esempio non piaceva loro il riflesso della pignoleria francese, che dalle Regole dei Fratelli ( di allora ) era passata in quella dei catechisti.

Era uno spettacolo che commuoveva durante le adunanze del Consiglio vedere il Fondatore nell'atteggiamento dell'ultimo consigliere sottomettersi al parere comune, e qualcuno ne rimaneva perfino imbarazzato.

La fede profonda che animava ogni suo atto aveva la sua radice in una profonda umiltà sempre attenta agli ordini e alla volontà di Dio.

Tutte le sue manifestazioni avevano l'impronta della semplicità e della autenticità, frutto di una tenace conquista ed espressione di una vita inferiore assai avanzata.

Chiunque avvicinava il Fr. Teodoreto avvertiva subito, dietro i suoi modi affabili e soavi la vibrazione di uno spirito superiore, ma lui rimaneva in atteggiamento di servizio, pur con lieta disinvoltura, e metteva ciascuno a proprio agio.

Riceveva molte visite e tutti rimanevano edificati dai suoi colloqui.

Egli ne approfittava sempre per diffondere e raccomandare la devozione a Gesù Crocifisso: dietro la figura di Fra Leopoldo cercava abilmente di scomparire, anche se questo gli diventava sempre più difficile.

Durante la vita ebbe più volte a subire delle prove dolorose, e queste hanno sempre anche un aspetto umiliante, come lo dice poeticamente il libro di Giobbe.

Gesù Crocifisso non è solo il sofferente, ma anche l'umiliato.

Fr. Teodoreto ebbe molto a soffrire per la tragica morte della mamma e poi cadde ripetutamente ammalato, in modo grave.

Durante una di queste, pur conservando piena lucidità di mente, non riusciva più a parlare e copriva la sua sofferenza con un sorriso.

Una volta che lo andai a trovare mi voleva dire qualche cosa e faceva dei cenni con la mano, tentando anche di articolare la parola, ma vi riuscì e scoppiò in una risata.

In quella risata però io ci sentii un singhiozzo.

Nella sua ultima malattia, verso la fine perdette i sensi e un rantolo penosissimo lo scuoteva tutto.

In quel rantolo a me pareva di udire le parole di Gesù in croce: « Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».

Ma non era l'abbandono, caso mai un abbraccio più stretto. Fr. Teodoreto è l'eroe della vita comune e fino al termine della vita camminò per la strada che percorrono tutti.

La sua grandezza era nascosta nell'interno e in quel 13 maggio 1954 incominciava il cammino della gloria, perché le parole del Signore si avverano sempre: chi si umilia sarà esaltato.

C. T.

In preghiera con lui e per lui, 14 Maggio 1954